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RIPENSARE L’EUROPA. PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO. ANCORA NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN !!!

FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA. Un breve saggio di Federico La Sala, con prefazione di Riccardo Pozzo.

In questa lezione incontriamo un altro Kant (...) Foucault scopre in Kant il contemporaneo che trasforma la filosofia esoterica in una critica del presente che replica alla provocazione del momento storico (...)
venerdì 3 maggio 2024
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
SIGMUND FREUD E LA LEZIONE DI IMMANUEL KANT: L’UOMO MOSE’, L’ UOMO SUPREMO, E LA BANALITÀ DEL MALE. I SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA ATEA E DEVOTA E LA RIVOLUZIONE COPERNICANA. NOTE PER UNA RI-LETTURA
QUESTO L’INDICE (il testo completo è allegato - qui in fondo - in pdf):
I
PRIMA PARTE:
SIGMUND FREUD, I DIRITTI UMANI, E IL PROBLEMA DELL’ (...)

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> FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. --- Europa e Shoah, la legge del silenzio (di Furio Colombo)

lunedì 28 gennaio 2013

Europa e Shoah, la legge del silenzio

di Furio Colombo (il Fatto Quotidiano, 27 gennaio 2013)

      • Pubblichiamo uno stralcio dell’intervento di Furio Colombo al Palazzo dei Congressi di Lugano nel giorno in cui la Svizzera italiana ha deciso di dichiarare il 27 gennaio "Giorno Internazionale della Memoria".

Come entra il parlare di Israele, qui, oggi, come voi mi avete chiesto, del mio libro dal titolo disperato La fine di Israele, che Il Saggiatore ha pubblicato nel 2007? Intanto vi sono grato di questo invito, e sono grato di questa vostra scelta. Di dichiarare il 27 gennaio il vostro giorno della memoria. Perché mi consente di ritrovare e collegare alcuni momenti della mia vita anche lontani tra loro, ma tutti legati da un filo che non si può rompere.

Uno avviene nella mia classe al liceo D’Azeglio, subito dopo la fine della guerra e il ritorno a Torino. In quel liceo, in quella classe, dove tutti i miei insegnanti avevano partecipato alla Resistenza o erano stati comandanti partigiani, noi studenti chiediamo, con inutile insistenza, ai professori: “Perché non si parla delle leggi razziali? Perché ci comportiamo come se non fossero mai esistite o fossero un episodio fra tanti di una guerra terribile?”. La risposta, detta o non detta, è sempre stata la persuasione che la Resistenza ci aveva liberato non solo dal fascismo ma da tutti gli orrori del passato.

Quando, molti anni più tardi mi trovo a narrare, come giornalista, la guerra dei Sei giorni, spostandomi tutto il tempo dalle alture del Golan al Sinai, dalla Giordania al Negev, da Gerusalemme a Suez, mi rendo conto, dall’immensità dell’attacco (tutto il mondo arabo in armi finanziato da tutto il petrolio in quel momento disponibile nel mondo) scende sul piccolo Stato con l’impegno di eliminarlo, e capisco due cose. La prima è che la vera colpa di Israele è di esistere. A quel tempo non c’era alcuna politica di Israele che potesse essergli imputata come espansionistica o aggressiva (dalle alture del Golan, se mai, addestrati cecchini siriani sparavano e uccidevano nelle finestre delle più vicine case israeliane, situate molto più in basso). La seconda è che non c’è un dopo Shoah, come c’è un dopoguerra, perché la spaventosa vicenda viene usata come una colpa (“le vittime sono diventate i carnefici”), come una conferma (“di chi è la colpa se gli ebrei sono tanto odiati?”) o come un inganno (l’intero movimento negazionista, dall’Europa agli Stati Uniti, fino alla continua invocazione del presidente iraniano Ahmadinejad persino di fronte all’Assemblea generale dell’Onu).

Ma nel “dopo Shoah” che non può venire si apre ben presto la questione del Sionismo. Fino al punto da equiparare il sionismo al razzismo in una risoluzione formale delle Nazioni Unite che resterà in vigore per un decennio senza particolari reazioni di tutti gli Stati membri, con l’eccezione degli Stati Uniti. L’Europa, Stati, governi, Unione, università e mondo della cultura, non ha mai dato segno di esistere a garanzia dello Stato di Israele o almeno della volontà e capacità di fermare e mediare il conflitto.

In Italia la questione del Sionismo (ovvero della ostilità e condanna del sionismo) è diventata subito politica, una bandiera sollevata, purtroppo, non solo dalla Destra ma anche dalla Sinistra. Infatti una parte della sinistra italiana ha preteso di ignorare che il mondo e la visione di Theodor Herzl (vedi il suo unico romanzo, Altneuland - Nuova Terra) era un sogno socialista del tutto simile, per il Medio Oriente, a ciò che il Manifesto di Ventotene è stato per l’Europa.

Quando, nel 1987, mi è stato chiesto di scrivere l’introduzione al primo studio universitario americano sulle leggi razziali in Italia (The Italians and the Holocaust di Susan Zuccotti, Nebraska University Press) ho ripreso l’argomento che ha sempre orientato la mia vita pubblica e che mi avrebbe portato a scrivere, presentare, sostenere fino alla approvazione della Camera e del Senato italiani, la Legge che istituisce questo giorno, “il Giorno della Memoria”.

In Italia non può esserci un dopo Shoah perché la cultura del Paese non ha mai riconosciuto la sua parte di colpa. In Italia quel tremendo delitto è stato trasferito, come in un evento psicanalitico, alla responsabilità di altri, nazisti e tedeschi. L’Italia ha voluto vedere se stessa come un Paese vittima, dunque, non un Paese che, con il suo governo di allora, molti attivissimi partecipanti italiani, le sue leggi dettagliate e ignobili approvate all’unanimità e l’immenso aiuto del silenzio, è stata complice del delitto.

In quella introduzione ho scritto ciò che - alcuni anni dopo - avrei ripetuto nelle “considerazioni preliminari” che precedono i due articoli della Legge sul Giorno della Memoria: La Shoah è un delitto a cui l’Italia ha partecipato, e soltanto sapendolo e riconoscendolo può tentare di diminuire il senso della vergogna. L’Europa, pacificata al punto di diventare Unione Europea invece che teatro di ricorrenti massacri, è nata dai campi di sterminio, con i sentimenti, le immagini, le parole, l’indicibile esperienza che ci hanno lasciato cittadini fondatori di un mondo salvato, come Primo Levi ed Elie Wiesel. E uomini che hanno tentato la salvezza dei sommersi, come Raul Wallenberg e Giorgio Perlasca. Ma proprio per questo l’Europa, dove tutto è avvenuto con la immensa complicità del silenzio, non può fingere di non avere responsabilità per la sopravvivenza di Israele. Proprio questo ho voluto dire nel mio libro, La fine di Israele, con il suo titolo estremo. Ho voluto dire ciò che non può accadere. È l’unico passaggio - per l’Europa che della Shoah è stata protagonista e responsabile - di entrare nell’era sconosciuta del dopo-Shoah.


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