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EBRAISMO E DEMOCRAZIA. PER LA PACE E PER IL DIALOGO, QUELLO VERO, PER "NEGARE A HITLER LA VITTORIA POSTUMA" (Emil L. Fackenheim, "Tiqqun. Riparare il mondo")

ISRAELE E IL NODO ANCORA NON SCIOLTO DI ADOLF EICHMANN. FARE CHIAREZZA: RESTITUIRE L’ONORE A KANT E RICONCILIARSI CON FREUD. Alcune note - di Federico La Sala

A EMIL L. FACKENHEIM. (...) il merito di aver ri-proposto la domanda decisiva: “come fu possibile la hitlerizzazione dell’Imperativo Categorico di Kant? E perché è ancora attuale oggi?”
sabato 2 agosto 2014
[...] La prima volta che Eichmann mostrò di rendersi vagamente conto che il suo caso era un po’ diverso da quello del soldato che esegue ordini criminosi per natura e per intenti, fu durante l’istruttoria, quando improvvisamente dichiarò con gran foga di aver sempre vissuto secondo i principî dell’etica kantiana, e in particolare conformemente a una definizione kantiana del dovere.
L’affermazione era veramente enorme, e anche incomprensibile, poiché l’etica di Kant si fonda soprattutto (...)

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> ISRAELE E IL NODO ANCORA NON SCIOLTO DI ADOLF EICHMANN. ---- DAVID GROSSMAN: "Resto in Israele, la patria degli ebrei ma la pace coi palestinesi è essenziale... l’esistenza di due Stati non ha alternative"(di Fabio Scuto).

mercoledì 8 settembre 2010

"Resto in Israele, la patria degli ebrei ma la pace coi palestinesi è essenziale"

David Grossman: "Il futuro del Paese più importante dei confini territoriali"

di Fabio Scuto (la Repubblica, 08.09.2010)

-  I miei detrattori dovranno continuare a sopportare le mie idee: l’esistenza di due Stati non ha alternative
-  Non è vero che voglio andar via: nell’intervista alla tv inglese è stata estrapolata una frase fuori contesto

«In quell’intervista alla tv inglese ho parlato di me e della mia famiglia, di come vedo in Israele la mia patria, del mio futuro e dei miei figli; da lì è stata estrapolata fuori contesto una frase, anzi una parte, e i giornali ci hanno fatto i titoli. Ai miei detrattori, a quelli che non aspettano altro per attaccarmi, voglio dire: resto qui e dovranno continuare a sopportarmi con le mie opinioni». Non ha perso il filo della sua ironia, ma certamente David Grossman è molto arrabbiato: «Le mie parole sono state riportate in maniera imprecisa, fuori dal loro contesto». Da tempo - in Israele e nel mondo - il cinquantaseienne scrittore israeliano non è più un privato cittadino, ma un’icona, un punto di riferimento obbligato, per la chiarezza del suo pensiero e del sentimento che lo anima. Dopo la drammatica morte del figlio Uri, ucciso in combattimento con gli Hezbollah negli ultimi giorni della guerra del 2006, Grossman si è trovato «in una situazione estrema», in cui ha esaminato cose diverse, l’idea di lasciare Israele «è stata pure evocata, ma al solo scopo di scartarla».

Ci parli di quei giorni...

«Dopo quella tragedia mi sono tormentato la mente, in quei momenti è il dolore a guidare i tuoi pensieri. Niente ti sembra più scontato, guardi alla tua vita e ti fai delle domande, per esempio: se non fossimo stati qui non sarebbe accaduto. Ma la risposta dentro di me allora come oggi è stata chiara: sono nato qui, appartengo a questa terra, vedo il mio futuro qui e da 30 anni questo posto è il centro di tutto ciò che dico e scrivo. Per noi israeliani la patria è qui, qui dobbiamo affrontare la realtà e affrontare il nostro futuro. E in tutta quell’intervista ho parlato di questo e di quanto sia forte il mio desiderio che Israele sia davvero la "casa" che dovrebbe essere per noi ebrei».

Non è la prima volta che lei diventa un bersaglio per le sue opinioni...

«È mio pieno diritto avere opinioni di sinistra. Essere a favore della spartizione di questa terra in due Stati, di fare rinunce per arrivare alla pace. Ma detto questo è necessario sapere che queste convinzioni vengono proprio da una preoccupazione profonda, da un impegno, da un amore per questa terra. Ci sono persone che la pensano come me e altre che aspettano ogni scusa per attaccarmi. Mi spiace per la loro reazione ma io sono e resto qui. In genere sono felicemente contento di essere un loro bersaglio ma questa volta non posso collaborare, diventare un bersaglio per una cosa che non ho fatto e non ho detto, proprio no. Ripeto sono e resto qui e dovranno continuare a sopportarmi con le mie opinioni»

È preoccupato per il futuro di Israele?

«Sono sempre preoccupato per il futuro del mio Paese. Israele viene sempre più isolato e io credo che invece il futuro sia di essere integrato e di essere il paese che deve essere, cioè uno Stato che esplora, che espande le sue capacità e che realizza il suo grande potenziale. Ma tutto questo dipende dalla capacità di vivere in pace con i Paesi vicini, ma certo non sappiamo se la pace sia garanzia che ciò accada veramente. Viviamo in una regione molto imprevedibile e tanti elementi estremi stanno provando a fare di tutto per assassinare questa pace. Quello che posso garantire è che se non c’è nessuna pace la nostra situazione sarà sempre più pericolosa».

E timori per la democrazia interna?

«Sì certamente ne ho. Perché se continuiamo a vivere in situazioni così estreme la gente sarà presa dall’ansia e dalla disperazione, ci saranno sempre più estremisti che sfrutteranno questa situazione. I nazionalisti, i fondamentalisti e molti altri con le loro promesse di rapide e facili soluzioni. L’unico modo per rimanere veramente noi stessi e per affrontare ciò è guardare la realtà dritta negli occhi, in tutta la sua complessità e possibilità. E di ricordare che noi abbiamo ricevuto una meravigliosa opportunità dalla Storia quando è nato Israele nel 1948 e dobbiamo essere rispettosi di questo privilegio. Dobbiamo capire che il futuro di Israele, la sua identità di Stato e quella dei suoi cittadini sono cose molto, molto, più importanti dei problemi sui confini territoriali».

Grossman che sensazione ha ricavato dalla ripresa del negoziato di pace a Washington dopo quasi due anni di gelo diplomatico?

«Molto dipende dai due leader, sono loro che devono prendere delle decisioni. Io spero che superino le paure e le diffidenze reciproche e che capiscano che la pace è la sola alternativa per noi, per avere una vita qui, per avere una vera vita. Ma penso anche che dopo anni di violenza talvolta noi non agiamo sempre nel vero interesse e spesso abbiamo fatto la scelta sbagliata. Domani sera per noi ebrei è Rosh Hashanah, è Capodanno, il mio auspicio per il nuovo anno è che finalmente saremo tanto coraggiosi da fare l’inevitabile: trovare una soluzione-compromesso per questa terra e non importa quanti problemi avremo poi per questa fragile pace, ma loro la mantengano. O almeno per una volta ci provino davvero».


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