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DIO è "Amore" (1 Gv.: 4.8) o "Mammona", "Ricchezza" ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006)?! AL GOVERNO DELLA CHIESA UN PAPA CHE PREDICA CHE GESÙ E’ IL FIGLIO DEL DIO "MAMMONA" ("Deus caritas est") È .... CHE LA SUA CHIESA È LA CHIESA DEI "SACERDOTI DI AMMONE" (Freud)!!!

LA CARITÀ?! L’ECUMENISMO DEGLI AFFARI. Un convegno: Comunità di Sant’Egidio, Vaticano, Ortodossi - tutti d’accordo!!! I poveri sono il tesoro prezioso ("caritas") della Chiesa. Una nota di Marco Tosatti - a cura di Federico La Sala

FILOLOGIA E TEOLOGIA: "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO" NON E’ L’EVANGELO!!! E la Grazia ("Charis") di Dio ("Charitas"), l’amore evangelico ("agàpe"), non è il "caro-prezzo" del Dio "Mammona" ("Deus caritas est", Benedetto XVI, 2006)!!!
mercoledì 5 maggio 2010
[...] L’importante - ha evidenziato Filaret - è "che la carità sia gratuita, fatta senza pomposità e pubblicità". Inoltre, chi fa beneficenza "non fa preferenza di persone, deve abbracciare tutti, inclusi i nemici, a dispetto delle differenze di religione e cultura", ha aggiunto il metropolita.
Nel corso del convegno è intervenuto anche il vice decano del Collegio cardinalizio Roger Etchegaray, che ha sottolineato come "carità e beneficenza debbano diventare la giustizia di domani". (...)

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> LA CARITA’?! L’ECUMENISMO DEGLI AFFARI. ---- E LA FINE DELA BELLA PRIMAVERA DEL DIALOGO (di Giampiero Comolli - Il dialogo: una cura per l’Italia stretta tra paura e indifferenza).

mercoledì 16 giugno 2010

Il dialogo: una cura per l’Italia stretta tra paura e indifferenza

di Giampiero Comolli (l’Unità, 16 giugno 2010)

Dialogo: fino a non molto tempo fa pareva un valore accettato volentieri dalle forze politiche, dalle istituzioni religiose, dalla società civile. Dialogo come disponibilità a comprendere le ragioni dell’altro e a discutere assieme per delineare un orizzonte comune, un insieme di regole condivise, destinate a favorire la convivenza e lo sviluppo di un armonico tessuto sociale. Come non essere d’accordo con un simile ideale?

Eppure, da qualche anno a questa parte, la tela di relazioni, intessute proprio dalla pratica del dialogo, pare slabbrata, strappata in più punti. E la parola «dialogo», utilizzata prima da tutti come una moneta corrente, si trova oggi sotto attacco. Si levano infatti da più parti, sempre più aspre per non dire proterve, le voci di coloro che il dialogo non lo vogliono affatto, lo rifiutano in nome di una rivendicazione prepotente e sfacciata dei propri interessi, da difendere senza cedimenti, senza più quelle aperture all’altro che il buon uso del dialogo necessariamente richiede.

Ma come mai è finita la bella primavera di questa parola dalle connotazioni così ospitali? E cosa comporta invece il nuovo autunno della chiusura su di sé, nel quale oggi siamo essere entrati?

Se lo chiedono Vincenzo Paglia e Franco Scaglia in un libro nobile e appassionato, significativamente concepito proprio come un dialogo, una conversazione a due, sui tanti problemi che oggi affliggono il nostro Paese: dalla crisi della politica e della società civile, al dramma della precarietà lavorativa, all’enorme, irrisolta questione dell’immigrazione, fino alle ingiustizie determinate da un mercato sempre più globale e sganciato da ogni prospettiva etica.

Come molti già sapranno, Vincenzo Paglia è vescovo di Terni e consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio; mentre Franco Scaglia è uno scrittore cattolico, autore di saggi, romanzi e reportage, spesso ambientati in Terra Santa. Evidente dunque, anzi dichiarata con franchezza, è l’appartenenza di entrambi alla Chiesa di Roma, così come con passione viene testimoniata dai due autori la fede cristiana e la Parola evangelica, accolta non solo quale scelta di vita ma anche quale visione interpretativa, attraverso cui comprendere lo sconsolante processo di inaridimento che affligge oggi il nostro Paese: un’Italia sempre meno disponibile alle buone usanze del dialogo, ma che proprio per questo ha smarrito se stessa e deve quindi mettersi In cerca dell’anima (come recita il titolo del libro, appena edito da Piemme).

La diagnosi dei due amici scrittori è al tempo stesso severa e accorata. «Inerzia» si chiama «l’epidemia che ha colpito il Belpaese afferrandone le coscienze. Un’inerzia che infiacchisce l’anima nel profondo e offre il terreno alle derive violente»: priva di ambizioni e svuotata del proprio futuro, l’Italia vive una «caduta etica», oscilla fra l’indifferenza e la paura nei confronti degli altri, «chiude gli occhi agli ideali e alla speranza», perché coltiva oggi solo una «parvenza di passione», quella di chi è ripiegato nella difesa del proprio immediato interesse.

Le ragioni di questo generale immiserimento vanno individuate, secondo i due autori, non solo nell’inadeguatezza della nostra politica, ma prima ancora nel processo di una globalizzazione governata dalle pure logiche finanziarie di un mercato a propria volta svincolato dal controllo di una buona politica. Proprio in quanto globale e spietato, il nuovo mercato è divenuto così fonte di spaesamento generale: lungi dall’allargare le coscienze, ha creato precarietà e paure, «ha spinto a rinchiudersi ancor più nel privato, e questo ha prodotto inerzia, immobilità».

Al posto di quella «cultura dell’accoglienza che ha segnato profondamente la nostra storia», si è diffusa allora la propensione perniciosa alla «ricerca del capro espiatorio», di quell’estraneo (per religione, etnia, cultura) su cui scaricare di volta in volta le proprie ansie, le proprie colpe, «il veleno del disprezzo». Immersi come siamo «nel grigio della rassegnazione», abbiamo però di fronte a noi una strada maestra per edificare di nuovo «un paese saldo e robusto».

Questa via di salvezza sta appunto in un’«arte del dialogo», da praticare a ogni livello: fra cattolici e laici, fra religioni diverse, fra fede e scienza, fra italiani e immigrati, tutti chiamati a operare insieme nella ricerca delle nuove regole per una pacifica e fruttifera convivenza. Regole la cui definizione deve appunto risultare dal generoso contributo di tutti: infatti «in questa società nessun ceto e nessuna singola istituzione è addetta o arbitra del bene comune, che deve essere, invece, misura dell’operato di ciascun individuo e di ciascun gruppo. La Chiesa stessa non può arrogarsi il compito della sintesi».

Occorre leggere con attenzione e con favore questo libro che idealmente si rivolge a chiunque, anche a chi cattolico non è. È facile oggi considerare la Chiesa di Roma come un’istituzione chiusa su se stessa, ripiegata nella difesa del proprio ordinamento gerarchico.

Ma la prospettiva aperta da Vincenzo Paglia e Franco Scaglia ci presenta invece il volto di una Chiesa come «comunione dei fedeli», aperta al mondo, schierata innanzitutto dalla parte dei più deboli, dei poveri. Così, se la generosa sollecitazione al dialogo che ci viene dai due autori deve essere accolta con gioia da chiunque abbia a cuore le sorti del nostro Paese, il loro libro si rivela importante anche per un altro motivo: esso ci fa conoscere quello che potremmo forse definire «il volto più bello del cattolicesimo», un volto che in questi tempi di passioni tristi tende a rimanere oscurato.

-  Vincenzo Paglia, Franco Scaglia,

-  «Incerca dell’anima- Dialogo su un’Italia che ha smarrito se stessa», Edizioni Piemme, Milano, 2010, pagine. 290, euro 19,00


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