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IDENTITA’ E FETICISMO. Per la critica dell’economia politica e della teologia "mammonica" ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006)

DIO E’ VALORE ("CARITAS") E LA LEGGE DEL LAVORO, "NELLA VIGNA DEL SIGNORE", E’ QUESTA!!! RASSEGNARSI (?)!!! L’apologetica risposta di U. Galimberti a Luciano Ferrari - a cura di Federico La Sala

L’IDENTITA’ DELL’ITALIA E IL SONNAMBULISMO DEI FILOSOFI, DI FRONTE ALL’ATTACCO DELLA GENTE DALLA DOPPIA TESTA E DALLA LINGUA BIFORCUTA
giovedì 24 dicembre 2009 di Federico La Sala
[...] Il mercato, infatti, non ha volto, il mercato è nessuno. Ed è vero, come ci ricorda Romano Madera in Identità e feticismo (Moizzi editore) che "Nessuno, come già ci segnalava Omero, è sempre il nome di qualcuno", ma questo qualcuno, nel mercato globalizzato, è invisibile. Di qui la rassegnazione e la disperazione che affliggono sia la classe imprenditoriale sia la classe dei subordinati, per la prima volta nella storia non più in contrapposizione, ma entrambi sottomessi alla dura (...)

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> DIO E’ VALORE ("CARITAS")!!! RASSEGNARSI (?)!!! ---- "Contro gli idoli postmoderni" (P. Sequeri). "Come fare. Per una resistenza filosofica"(R.Ronchi). Due saggi analizzano le difficoltà degli adulti di oggi

giovedì 19 luglio 2012

Come superare il mondo di Narciso

Due saggi analizzano le difficoltà degli adulti di oggi

di Massimo Recalcati (la Repubblica, 18.07.2012)

L’idolo della crescita e dell’espansione senza misura di cui si è nutrito l’Occidente ha rivelato il suo limite: l’uomo come “misura di tutte le cose” ha alimentato l’illusione narcisistica di una libertà senza debiti che si è beffardamente ribaltata - in questa grande crisi finanziaria - nella realtà di un debito smisurato.

Due libri di resistenza, duri e forti, scritti da due teste non omologate, fuori serie, ci introducono alla necessità di pensare l’uomo in modi diversi. Si tratta di Contro gli idoli postmoderni (Lindau) di Pierangelo Sequeri e Come fare. Per una resistenza filosofica di Rocco Ronchi (Feltrinelli).

La loro lettura del disagio della nostra Civiltà utilizza lenti teoriche diversissime. Sequeri - teologo di fama internazionale - sa riprendere e attualizzare la parola biblica facendola dialogare con quella della filosofia contemporanea più alta con una originalità unica. La sua prospettiva è quella di un sostenitore convinto della necessità di un ritorno alla radici umanistiche del cristianesimo in un’epoca che sembra ridurre a carta straccia ogni riferimento alla dimensione etica e insostituibile della responsabilità singolare. Ronchi è invece uno studioso di Bataille e Blanchot, di Sartre e Bergson, di Lacan e Deleuze, da tempo impegnato a ricordarci che la filosofia non può mancare l’appuntamento con l’assoluto in un’epoca dove questo compito - pensare l’assoluto - sembra suscitare solo la pacca sulla spalla di una critica ironica che ha preso congedo da ogni pretesa di dire la Verità ultima.

Sequeri è un teologo e pensa a Dio, ma cristianamente si rivolge innanzitutto all’uomo: l’anima dell’Occidente ha bisogno di rifondare un altro umanismo, non antropocentrico, non narcisistico. Ronchi è un filosofo che critica spietatamente la retorica umanistica che celebra l’Uomo come centro del mondo e si rivolge ad un Assoluto materialistico come espressione della potenza infinita della vita al di là dell’uomo. Ma non si deve confondere la prospettiva di Ronchi con una riedizione nostalgica dell’assoluto della vecchia metafisica. La sua scommessa è quella di glorificare il tempo non come scadimento, esaurimento dell’essere, ma come manifestazione assoluta dell’essere. Rovesciamento di Emanuele Severino: il nichilismo non è attribuire essere al divenire, ma pensare il divenire come esaurimento dell’essere, laddove il divenire è invece la sua manifestazione assoluta e non la sua falsa apparenza.

Ronchi cerca l’assoluto nel mondo, nella sua forza impersonale, nella sua potenza vitale. Se Sequeri mette al centro dell’assoluto l’uomo, Ronchi scarta l’uomo per mettere al centro l’inumanità impersonale dell’assoluto. Se il primo insiste a pensare il mondo come donazione, come indebitamento dell’uomo a un’offerta e a una Grazia che lo trascendono, il secondo parte dal presupposto che «l’uomo non è l’unità di misura del mondo», che «il mondo non è per l’uomo e l’uomo non è per il mondo». Eppure queste due voci così diverse finiscono per porre la stessa domanda: cosa resta in un tempo dove tutte le grandi narrazioni del mondo - come ripete l’adagio postmoderno - sono evaporate? Come si può trarre soddisfazione dalla vita, senza cadere nel circo iperedonista, senza perdersi, senza inseguire l’idolo narcisistico dell’espansione senza misura e della frenesia della “mobilitazione totale”? Cosa resta oggi se nei luoghi in cui si gioca la partita dell’umano, Narciso ha preso il posto del Prometeo di Marx e del Dioniso di Nietzsche?

Per Sequeri resta il dono della testimonianza, la responsabilità degli adulti nel rendere generativo il processo di filiazione. Per Ronchi «restano i post, vale a dire coloro che si definiscono reattivamente sulla base di una impotenza a essere comunisti, fascisti, padri, ecc. Restano gli esausti», ovvero coloro che possono farla finita con la retorica della riduzione del mondo a risorsa da sfruttare infinitamente. Quello che resta non è l’io del narcisismo, l’io del cogito, l’io come autoaffermazione di sé, ma piuttosto l’infinito della vita dalla cui potenza noi ci difendiamo attaccandoci, in una illusione di padronanza, al nostro piccolo Io. Il mondo della vita non è terra di conquista e l’antropocentrismo non può essere l’ultima parola dell’Occidente.

Ecco il punto dove le acque di questi due libri convergono: esiste una soddisfazione che non si riduca alla soddisfazione sterile e mortifera di Narciso? Si può godere in modo diverso rispetto al godimento sterile di Narciso e di Caino? Esiste una alternativa al falso divenire dell’iperedonismo e la sua ideologia del benessere, del corpo obbligatoriamente in forma, della celebrazione narcisistica della libertà?

Non c’è libertà se non nell’assunzione della solitudine del nostro godimento, sostiene Ronchi, ma non c’è libertà se non come esperienza della donazione al di là dell’Io, impegno nella trasmissione di una eredità, di una filiazione generativa.

È questo l’appello che Sequeri rivolge con voce alta e chiara a noi adulti: «Che vogliamo fare? Credenti o non credenti, quanto siamo, è ora di onorare l’impegno senza svicolare in dialoghi troppo socratici: o siamo contro l’idolo che mangia i bambini, o siamo fiancheggiatori della sua devozione intoccabile... Andate, liberateli, fateli lavorare. Battetevi con le unghie e coi denti perché abbiano la migliore formazione possibile... sperano di trovare qualcuno che non cerchi pateticamente di imitare la loro insicurezza».


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