«Il martirio è la sconfitta di ogni eclissi di Dio, il suo ritorno in pienezza attraverso l’offerta della vita da parte dei suoi figli»
DI ANGELO SCOLA (Avvenire, 12.12.2009) *
Qual è la risposta suscitata dal Dio che si è reso a noi familiare e ci parla lasciandosi dire nella lingua umana? L’uomo, oggi come sempre, non può che percorrere, a sua volta, la strada del Testimone degno di fede. Di fronte a Colui che ci ha amati per primo e ci ama in ogni istante come se fosse l’ultimo, gli uomini sono chiamati a coinvolgersi.
Se Cristo è venuto per rendere testimonianza alla verità, all’uomo tocca dar testimonianza a Lui e di Lui, Verità vivente e personale, di fronte alla sempre risorgente pretesa di «incanalare quest’acqua selvaggia nelle turbine dell’umanità a vantaggio di quest’ultima» (Von Balthasar). Invece la «ferita inferta alla storia del mondo con l’apparire di Cristo continua a suppurare». Per questo l’«in-contro » con il fratello uomo non potrà mai evitare il «contro», vale a dire l’urto di una originalità irriducibile ad ogni tentativo di addomesticare la novità che viene da Dio.
Di tale irriducibile novità però nessuno dovrà avere timore se i cristiani, resistendo alla tentazione dell’egemonia, sapranno fare della loro differenza la via di una proposta umile e tenace. Essa è propria del soggetto cristiano personale e comunitario in cui, per dirla con Guardini, la Chiesa avviene nelle anime (persone).
Parliamo di un soggetto capace di assumere la dimensione ecumenica e quella del dialogo interreligioso come intrinseche alla vita di fede. Questo soggetto può proporre senza pretese egemoniche, in una società plurale, l’avvenimento di Cristo in tutte le sue implicazioni antropologiche, sociali e cosmologiche.
La grammatica del narrare Dio è la grammatica testimoniale che domanda un cambiamento radicale di mentalità nella pratica e nella concezione della vita.
Diventa allora necessario liberare la categoria di testimonianza dalla pesante ipoteca moralista che la opprime perché la riduce, per lo più, al tema della coerenza di un soggetto. La testimonianza brilla invece in tutta la sua integrità, come metodo di conoscenza pratica e di comunicazione della verità e come valore primario rispetto ad ogni altra forma di conoscenza e di comunicazione: scientifica, filo-sofica, teologica, artistica, eccetera.
In concreto per il cristiano la testimonianza consiste nell’obiettiva sequela di Gesù, carica del coraggio di riconoscerlo di fronte al mondo, come fece Lui stesso chiamato a giudizio da Pilato.
Solo la testimonianza degna di fede com-muove la libertà dell’altro e lo invita efficacemente alla decisione. La narrazione che Dio fa di sé e quella che permette a noi di fare su di Lui e a suo nome, trova così nel martirio cristiano, «col quale il discepolo è reso simile al suo maestro» (LG 42), la sua piena manifestazione.
Il martirio, grazia che Dio concede agli inermi e che nessuno può pretendere, è un gesto insuperabile di unità e di misericordia. Il martirio è la sconfitta di ogni eclissi di Dio, è il suo ritorno in pienezza attraverso l’offerta della vita da parte dei suoi figli. Una consegna di sé che vince il male, perfino quello «ingiustificabile», perché ricostruisce l’unità, anche con colui che uccide.
Come Gesù prende il nostro male su di sé perdonandoci in anticipo, così il martire abbraccia in anticipo il suo carnefice in nome del dono di amore di Dio stesso, da tutti riconoscibile almeno come assoluto trascendente (verità).
Restano sempre commoventi, a questo proposito, le parole del testamento spirituale di padre Christian de Chergé, priore del monastero trappista di Notre-Dame de l’Atlas in Tibhirine (Algeria), da lui scritto ben tre anni prima di venir trucidato con i suoi monaci: «Venuto il momento, vorrei poter avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di chiedere il perdono di Dio e quello degli uomini miei fratelli».
* Sul tema, nel sito, ai cfr.: