Giuseppe Dossetti, «sentinella» della Costituzione fino alla fine
di Roberto Monteforte (l’Unità, 10 marzo 2010)
Un grande sogno: una nuova generazione di credenti impegnati in politica al servizio della comunità, attenti al raggiungimento del bene comune, difensori dei fondamentali valori umani etici e sociali, la vita, la famiglia, ma anche il diritto al lavoro, alla difesa della dignità della persona. Lo ha invocato il presidente della conferenza episcopale italiana Angelo Bagnasco, ne ha parlato recentemente anche il segretario di Stato Tarcisio Bertone.
Segno che per la Chiesa vi è un vuoto preoccupante nella politica italiana. Un vuoto che pone domande e non solo ai credenti su cosa sia oggi la politica, quella «pulita». È difficile non osservare una deriva pericolosa, una perdita di senso, un appannamento dei riferimenti etici fondamentali. La nascita del Pd anche a questo ha inteso rispondere.
Per questo può essere utile tornare a riflettere sulle radici, sulle fondamenta della nostra Repubblica, a ciò che esprime la Costituzione repubblicana, allo straordinario sforzo di sintesi alta tra le culture democratiche del nostro paese che essa esprime. Un patrimonio che va trasmesso e attualizzato. È anche in questa chiave che oggi pare utile tornare a riflettere sulla figura di Giuseppe Dossetti: cattolico, antifascista, tra i fondatori della Democrazia cristiana e tra i padri della nostra Costituzione. Una vita ricca. Seguendo la sua profonda vocazione spirituale, nel 1951 lascia la politica, nel 1959 è ordinato sacerdote, sarà stretto collaboratore dell’arcivescovo di Bologna, cardinale Giacomo Lercaro.
Tutto alla fine si tiene: metterà la sua sensibilità e la sua esperienza «politico-istituzionale» al servizio del Concilio Vaticano II. Infine arriva la scelta più radicale, Dossetti si fa monaco, fonda la comunità della Piccola Famiglia e all’inizio degli anni 70 si trasferisce a Gerico in Terrasanta, nei territori occupati da Israele, per poi tornare con i suoi monaci a Monte Sole, sopra a Marzabotto, luogo simbolo sull’Appennino Bolognese dove vi fu una delle più efferate stragi nazifasciste.
La Costituzione repubblicana e il Concilio Vaticano II: due momenti straordinari della sua vita che lo vedranno «sentinella» e custode sino alla fine dei suoi giorni. Uscirà dal silenzio del suo eremo per condurre la sua ultima battaglia civile e politica a difesa della Costituzione minacciata. Nel 1994, oramai anziano, si farà promotore dei circoli a difesa della Carta costituzionale. Si spegnerà il 15 dicembre 1996 a 83 anni. Il suo è un lascito prezioso. Parla ancora oggi la sua storia. A credenti e non credenti. In lui dimensione religiosa e impegno civile e politico a favore del bene comune si intrecciano. Ma senza integralismi, laicamente, senza alcuna subalternità clericale verso le gerarchie.
LE TAPPE DELLA STORIA
Di tutto questo dà conto il libro Giuseppe Dossetti. Sentinella e discepolo (Collana Saggistica Paoline, n.43 pp 176 euro 13) autori Cesare Paradiso e monsignor Pietro Fragnelli, vescovo di Castellaneta. Un volume che ripercorre le tappe di un percorso che scandiscono quelle della vita democratica dell’Italia repubblicana, il suo complesso rapporto con la Dc e l’antagonismo con De Gasperi, gli ambienti culturali dove si è formato, i rapporti con gli altri protagonisti della vita politica partire dai padri dell’Assemblea costituente, con Togliatti. Quindi la maturazione della scelta religiosa, la sua profonda spiritualità, la dimensione della preghiera e il suo rapporto con Dio, il suo monachesimo.
Sarà lo stesso Dossetti nel famoso discorso dell’Archiginnasio di Bologna, tenuto in occasione del conferimento del premio assegnatogli dalla città, il 22 febbraio 1986, a ricapitolare le tappe della sua vita. L’impegno politico dal 1944 sino alle sue «dimissioni » dalla Dc del 1952, critico per la deriva moderata e l’anticomunismo esasperato del suo partito a cui rimproverava, anche freddezza nella difesa della Costituzione.
La sua non era una difesa statica. Anzi. Gli autori lo sottolineano: per Dossetti il pericolo era che «stando fermi, siano altri - prima o dopo - a imporre i loro cambiamenti e che le cose “rovinino addosso». «Al posto di uno Stato debole, agnostico, insufficiente, - questa la sua previsione - verranno altri che costruiranno uno Stato forte e volitivo. Eventualmente senza di noi. Eventualmente contro di noi».
«Attenzione - aggiungeva - agli assalti alla sovranità popolare che si pretende di sostituire con una sovranità mitica, che seduce il popolo, ma in sostanza lo viola e lo delegittima. La conseguenza sarà il passaggio da una democrazia rappresentativa parlamentare, con le sue mediazioni dialogiche spesso difficili, a una democrazia populista, a influenza mediatica, in cui l’assenza di razionalità e l’appello prevalente a “mozioni istintive e impulsi emotivi” ridurranno il consenso del popolo sovrano a un mero applauso al Sovrano del popolo».
Sono parole pronunciate nel 1995, da un monaco uscito dalla politica quaranta anni prima. Parole profetiche.