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CRISI COSTITUZIONALE. CON LA NASCITA DEL PARTITO "FORZA ITALIA" (1994), NON UNO, MA "DUE" SONO I PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA (IN "COABITAZIONE") A GRIDARE: FORZA ITALIA!!! IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE ..... E LA GUERRA DI "FORZA ITALIA" CONTRO L’ITALIA (1994-2009) CONTINUA!!!

VOLONTA’ DI POTENZA E DEMOCRAZIA AUTORITARIA. CARLO GALLI NON HA ANCORA CAPITO CHE, NEL 1994, CON IL PARTITO "FORZA ITALIA", E’ NATO ANCHE IL "NUOVO" PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA. Una sua riflessione - a cura di Federico La Sala

DALLA BULGARIA, IL PRESIDENTE DELLA "REPUBBLICA" DI "ITALIA", DEL "POPOLO DELLA LIBERTA’", RILANCIA LA RIFORMA COSTITUZIONALE E CANTA LA SUA CANZONE: "FORZA ITALIA"!!!
martedì 20 ottobre 2009 di Federico La Sala
[...] Il nuovo discorso bulgaro di Berlusconi è solo apparentemente più conciliante del diktat che sette anni fa attuò una prima pulizia etnica del video. Anzi, contiene elementi per certi versi ancora più inquietanti [...]
ZAGREBELSKY E IL GRANDE SILENZIO SULLA NASCITA DEL PARTITO GOLPISTA DEL FALSO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ("FORZA ITALIA"). La democrazia delegittimata
ABUSO ISTITUZIONALE DEL NOME "ITALIA" DA PARTE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO: DIMISSIONI SUBITO.
TEOLOGIA-POLITICA (...)

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> VOLONTA’ DI POTENZA E DEMOCRAZIA AUTORITARIA. ---- LA DIGNITA’ ISTITUZIONALE (di Carlo Galli).

domenica 8 maggio 2011

La dignità istituzionale

di Carlo Galli (la Repubblica, 07.05.201)

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si è dimostrato ancora una volta l’autentico custode della Costituzione e delle regole, ovvero dell’interpretazione parlamentare - l’unica che la Carta consente - della politica italiana.

Con l’osservare che i nuovi sottosegretari appartengono a un gruppo politico che non esisteva al momento delle elezioni, e che quindi il premier devono presentarsi in Aula a riferirne, e che i presidenti delle Camere possono considerare se il Parlamento debba rilegittimare col voto di fiducia quello che a tutti gli effetti è un nuovo governo, il Capo dello Stato esercita la difesa attiva, non meramente notarile, della Costituzione.

Questa difesa consiste più o meno in questo ragionamento: se è vero che parecchi parlamentari - sulla base del principio costituzionale del mandato libero e dell’indipendenza dell’eletto dagli elettori - hanno maturato l’intimo convincimento di uscire dai partiti nelle cui liste sono stati eletti, lo possono certamente fare. Ma se danno vita a un nuovo gruppo parlamentare, e se ora questo gruppo, dopo avere ripetutamente votato insieme alla maggioranza, entra a far parte del governo, allora sarebbe necessario che il Parlamento tornasse a votare la fiducia al governo. Che è nuovo non perché ci sia stata una crisi formale, ma perché è politicamente non solo sorretto da una nuova maggioranza ma composto da nuovi partiti.

I numeri per il voto, se ci sarà, presumibilmente si troveranno: a questo, del resto, servono i Responsabili, che appunto così si guadagnano la ricompensa ministeriale. Ma il valore politico del gesto di Napolitano si misura in opposizione - implicita ma evidentissima - alla vera ideologia politica che anima Berlusconi. Che da sempre, oltre che ostile ai magistrati e alle istituzioni di garanzia come la Corte Costituzionale, è anti-parlamentare - si ricordino le proposte di ridurre il voto ai soli capigruppo, nonché la polemica ininterrotta verso "il teatrino della politica" - , ed è tutta spostata verso il rafforzamento dei poteri del governo e soprattutto verso la dimensione elettorale, interpretata in senso populistico-plebiscitario.

Ovvero, per Berlusconi le elezioni sono il momento della verità in cui un popolo - spaccato in due dalla sua propaganda - si conta, e conferisce al Capo eletto (l’Unto del Signore) tutto il potere, facendone il dominus delle istituzioni. Cioè non solo del governo - come se si fosse eletto direttamente il premier - ma anche del Parlamento: che in quest’ottica è uno spazio subalterno, di servizio, perché la "vera" espressione della sovranità non sono per Berlusconi i parlamentari ma colui che - come individuo singolo - è risultato vincitore delle elezioni. Il Parlamento, semmai, è una "spoglia", un insieme di "posti" con cui, a spese dei contribuenti, si compensano i seguaci (che una legge pessima vuole siano blindati in una lista decisa dal Capo).

Nessuna centralità del Parlamento, quindi, ma solo supremazia (sovranità) del leader vittorioso. La centralità del Parlamento - di cui l’indipendenza dell’eletto è il cuore, poiché quella indipendenza significa che il baricentro della politica è nell’istituzione-Parlamento e non negli interessi sociali in grado di far eleggere questo o quello - è sempre stata respinta da Berlusconi, che alla mediazione preferisce l’immediatezza, alla discussione la decisione. Solo in un caso quella centralità - con l’indipendenza del parlamentare che ne consegue - è stata difesa: cioè nella fase in cui si è proceduto al "recupero" dei parlamentari per ricostituire la maggioranza, vulnerata dall’uscita di Fini e dei suoi.

A quel punto, a giustificare i molti movimenti di molti parlamentari, si è fatto sentire un debole accenno al mandato libero e ai valori istituzionalmente fondanti del liberalismo: accenno incongruo, spaesato, strumentale al libero dispiegarsi della vera idea e della vera pratica del potere che ha Berlusconi: il dominio incontrastato, con ogni mezzo, per affermare la propria volontà. Si diceva "mandato libero" e si doveva intendere "compravendita" - almeno altro con le cariche nel governo che ora, a riprova, vengono elargite - .

Il capo dello Stato ha quindi fatto quello che era in suo potere per ridare dignità alle istituzioni, ovvero per ribadire che il Parlamento non è nella disponibilità del premier, non è lo spazio delle sue scorribande indisturbate; che è soggetto e non oggetto della politica. Che quindi il Parlamento deve prendersi la responsabilità dei responsabili, non limitarsi a registrarne l’ascesa agli ambìti posti di sottosegretari. Vedremo se altri si prenderanno a cuore quella dignità, che è anche la dignità di tutti i cittadini.


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