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VITA E FILOSOFIA. Per il ventennale della morte di Elvio Fachinelli (1928-1989).

METTERSI IN GIOCO, CORAGGIOSAMENTE. PIER ALDO ROVATTI INCONTRA ELVIO FACHINELLI. Una nota di Federico La Sala

AL DI LA’ DEL ’FARISEISMO CATTOLICO-ROMANO’, UN ESERCIZIO DI PARRHESIA EVANGELICA: PARLARE IN PRIMA PERSONA, E IN SPIRITO DI CARITA’.
sabato 18 febbraio 2012
[...] Vicino/lontano - in un circolo virtuoso, sulla spiaggia, dinanzi al mare. Nel 2009, sostenuto dalla volontà e dal coraggio di mettersi in gioco e di entrare nel gioco (pp. 36-7), Rovatti è giunto “Sulla spiaggia” (E. Fachinelli. La mente estatica, Milano, Adelphi, 1989, pp. 13-25) e, finalmente, ha capito il senso del lavoro di Fachinelli ed è capace di riconoscerne tutto il valore [...]
Psicoanalisi, Storia e Politica....
L’ITALIA, IL VECCHIO E NUOVO FASCISMO, E "LA (...)

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> METTERSI IN GIOCO, CORAGGIOSAMENTE. --- qualcuno dovrà combattere credibilmente contro il cinismo, la rassegnazione, la passività, il conformismo, il mancato rispetto di sé e degli altri (di Carlo Galli - Il cinismo delle élite)..

sabato 5 settembre 2009

Il cinismo delle élite

di Carlo Galli (la Repubblica, 05.09.2009)

Il nostro governo costituisce un serio problema per le libertà civili e l’ordine democratico del nostro paese. E come si è avuto modo di toccare con mano in questi giorni, esso costituisce un serio problema per l’Europa e i fondamenti di libertà sui quali è nata e si fonda l’Unione Europea.

Sono le élite che hanno elaborato categorie, stili, forme, linguaggi, in grado di imporsi in ambiti più vasti. Nella società di oggi, politici, imprenditori, professionisti, docenti, scienziati e intellettuali, gerarchie religiose, alti burocrati, giornalisti, a volte anche artisti - ciascun gruppo con forme diverse di selezione, con diversi gradi di chiusura o di apertura - perseguono il medesimo fine: esercitare influenza o potere nella società, presentando i propri interessi come indispensabili agli interessi generali del Paese. La democrazia di una società complessa si articola nella concorrenza di diverse proposte egemoniche.

Sono le élites ad avere la capacità, e il dovere, di esercitare più consapevolmente le virtù sociali e politiche, di esserne l’esempio concreto. Infatti, i loro membri sono sì orientati al successo, ma anche alla lungimiranza, alla disciplina, al differimento dell’utile, al merito, al decoro, all’efficienza; non per amore della virtù, ma per legittimare le proprie pretese. La loro deontologia - l’insieme dei doveri di ciascuno verso la professione, verso se stesso e verso i pari - è la loro morale civile: è l’assunzione di responsabilità, fondata sul rigore e sul merito, verso la società intera. E’ una morale in cui sono centrali le nozioni di prestigio e di vergogna, di efficienza e di credibilità.

Certo, i processi di democratizzazione e il formarsi di una società di massa, rendono le élites apparentemente meno legittimate davanti al senso comune; eppure, una società moderna ne ha bisogno. La controprova è data da quelle situazioni - fra cui purtroppo rientra, in parte, il nostro Paese - in cui le élites sono in sofferenza. Le nostre élites sembrano non volersi più sobbarcare il peso del rigore disciplinato che è necessario per articolare in chiave universale i propri interessi particolari, per coniugare al futuro, e non nella miopia dell’eterno presente, i verbi dell’agire sociale; per essere esempio civile.

A parte le splendide individualità o piccoli gruppi isolati di eccellenza che spesso hanno vita difficile - le élites italiane corrono il rischio di trasformarsi in corporazioni chiuse (a volte dinastiche, con modalità nepotistiche di trasmissione del potere), in un pulviscolo di piccoli o grandi privilegi o di snobismi, in Palazzi e Caste (non solo della politica); lungi dall’esibire l’orgoglio del merito, i membri delle élites aspirano piuttosto a essere vip; anziché vigilare sulle modalità di ingresso, di selezione, di addestramento dei propri membri, rilassano le pratiche di controllo, chiudono un occhio su insufficienze e infrazioni (purché sia garantita la docilità dei nuovi entrati).

È il cinismo delle élites - facilmente trasmesso all’intero corpo sociale - una delle più gravi tare del Paese, l’origine della sconnessione fra morale e politica, della corrosione dello spazio civile, del frammentarsi del discorso pubblico in una congerie di particolarismi dialettali. Ed è anche l’origine - oltre che il prodotto - dei tentativi della politica di polverizzare la società, di governarla attraverso il combinato disposto della propaganda e del populismo.

La forma civile complessiva di un Paese è data infatti oltre che dalle istituzioni, anche da quei nuclei di interessi e di sapere, di orgoglio professionale e di autostima, di senso del decoro e di vergogna sociale, che fanno sì che la civile convivenza non consista in un ammasso informe di atomi privi di relazione reciproca, ma sia un complesso e multiforme paesaggio, con un profilo e una fisionomia definiti, non plasmabili a piacere dal potere politico. Non a caso, quindi, le cronache italiane delle ultime settimane mostrano che chi ha come programma di governare senza contrappesi e istanze di controllo si appella con fare plebiscitario a una generica «gente», scavalca quando può le istituzioni e lotta contro quanto resta di élites autorevoli, o contro le loro frange non docili: magistrati, giornalisti, Scuola e Università, gerarchie ecclesiastiche (ultimi, gli economisti).

Né è un caso che Berlusconi resista aggressivamente a uno scandalo che avrebbe travolto (grazie alla reazione della stampa, delle tv, dell’opinione pubblica più qualificata, dei partiti) ogni altro leader politico di ogni altra democrazia occidentale: ha infatti potuto appellarsi alla compiaciuta tolleranza dei «molti», nella impotenza o nella indifferenza o nel cinico silenzio-assenso dei ‘pochi’ che avrebbero dovuto utilizzare il loro sapere e il loro prestigio per criticarlo e per rischiarare il giudizio collettivo.

Perché l’intero Paese non rischi di trasformarsi in un deserto morale, oltre che in una società inerte e inefficiente, e di pagare il proprio deficit collettivo di virtù democratica con la moneta della decadenza, qualcuno dovrà combattere credibilmente contro il cinismo, la rassegnazione, la passività, il conformismo, il mancato rispetto di sé e degli altri. Con un programma - in qualche misura neo-risorgimentale - di una riforma morale degli italiani, si tratta di ricominciare dai pochi (che saranno certo tacciati di moralismo, azionismo, giacobinismo), cioè da élites nuove o rinnovate, la cui rigorosa esemplarità sappia riportare la decenza e la vergogna fra le virtù civili della nostra democrazia.


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