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VITA E FILOSOFIA. Per il ventennale della morte di Elvio Fachinelli (1928-1989).

METTERSI IN GIOCO, CORAGGIOSAMENTE. PIER ALDO ROVATTI INCONTRA ELVIO FACHINELLI. Una nota di Federico La Sala

AL DI LA’ DEL ’FARISEISMO CATTOLICO-ROMANO’, UN ESERCIZIO DI PARRHESIA EVANGELICA: PARLARE IN PRIMA PERSONA, E IN SPIRITO DI CARITA’.
sabato 18 febbraio 2012
[...] Vicino/lontano - in un circolo virtuoso, sulla spiaggia, dinanzi al mare. Nel 2009, sostenuto dalla volontà e dal coraggio di mettersi in gioco e di entrare nel gioco (pp. 36-7), Rovatti è giunto “Sulla spiaggia” (E. Fachinelli. La mente estatica, Milano, Adelphi, 1989, pp. 13-25) e, finalmente, ha capito il senso del lavoro di Fachinelli ed è capace di riconoscerne tutto il valore [...]
Psicoanalisi, Storia e Politica....
L’ITALIA, IL VECCHIO E NUOVO FASCISMO, E "LA (...)

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> METTERSI IN GIOCO, CORAGGIOSAMENTE. FACHINELLI INCONTRA PIER ALDO ROVATTI E ... LACAN. Una nota di Antonello Sciacchitano.

martedì 22 marzo 2016

CON KANT E FREUD, OLTRE. Un nuovo paradigma antropologico: la decisiva indicazione di ELVIO FACHINELLI


IL SOGGETTO COLLETTIVO

Dalla psicanalisi a due alla psicanalisi a enne

di Antonello Sciacchitano (psychiatryonline, 19 marzo 2016)

      • L’Elvio non concesso

L’Elvio, nel senso di Fachinelli, non si è mai concesso al maestro.

Ogni volta che passava per Milano - siamo negli anni Settanta - Lacan faceva visita a Fachinelli o gli lasciava un biglietto per dirgli che l’aveva cercato.

Cosa cercava Lacan in Fachinelli?

Per rispondere a questa domanda bisogna aver ben presente il sintomo (o la sublimazione?) di Lacan. Più vicino alla perversione che alla nevrosi, il sintomo di Lacan, che si poneva in posizione di maestro, era mes élèves; gli allievi erano il feticcio di Lacan. Riuscì ad averne un migliaio, che seguivano i suoi seminari; il top, se non sbaglio, ai seminari su Joyce senza inconscio.

Non soddisfatto di mille, Lacan cercava l’uno. Fachinelli era l’uno che gli mancava. Cosa aveva di speciale Elvio? Semplice: Elvio era un lacaniano pensante; era diverso dagli allievi parigini di Lacan, che erano semplicemente lacaniani. Cosa pensava Elvio? Pensava la psicanalisi del collettivo, una dimensione carente in Freud, fissato alla psicanalisi individuale, e appena abbozzata in Lacan con la teoria del discorso come legame sociale. Ma l’ “Elvio cacato” praticava effettivamente - non solo pensava - una psicanalisi collettiva, cioè di tutti e per tutti, senza bisogno di indottrinare nessuno; la “faceva” all’asilo non autoritario di Porta Cicca, quartiere popolare e ai tempi degradato di Milano.

Insomma, Elvio era il prezioso pezzo mancante alla collezione di allievi del maestro parigino. Il collezionista forse pensava di farlo suo, sfruttando la posizione ambigua - un po’ dentro, un po’ fuori - di Elvio rispetto alla società musattiana di psicanalisi. Ingenuo, il maestro. Elvio non entrò mai nel cerchio magico che il maestro cercava di disegnare in Italia, il “tripode” di Verdiglione, Contri, Drazien, che avrebbe dovuto formare il nucleo di una scuola lacaniana in Italia. Insomma, non glielo diede.

Dettagli personali a parte, che sono di scarso interesse, la lezione che il potenziale allievo diede all’attuale maestro, ha una rilevanza teorica non piccola, tuttora da recepire e che forse il maestro non recepì.

Si tratta della freudiana Versagung, che dovrebbe caratterizzare il regime in cui condurre l’analisi terapeutica. I freudiani ortodossi traducono con “frustrazione”, nel senso che in analisi non si dovrebbe soddisfare il desiderio del paziente. I lacaniani, che pretendono - wollen, si direbbe in tedesco - tornare a Freud, oscillano tra varie versioni: dalla “disdetta” al “diniego”, passando per l’improbabile dottrina morale lacaniana, per cui l’etica dello psicanalista sarebbe non cedere sul proprio desiderio.

Niente di tutto questo. La Versagung è la funzione dell’oggetto del desiderio che “non si concede” al soggetto. Sich versagen in tedesco significa “non concedersi” (la negazione è nel prefisso ver); non significa “dire di no”, ma “non dire di sì”; introduce così una sospensione temporale nel cui intervallo fa avvenire qualcosa del soggetto.

La mia versione non antropomorfa di questa situazione è che l’oggetto del desiderio, essendo infinito, non si concede al soggetto finito. Ma non entro nei dettagli di una complessa topologia, che non ha niente a che vedere con la topologistica lacaniana. Mi limito a ricordare che, originario del Trentino, Elvio sapeva un po’ di tedesco. E diede una lezione di tedesco al maestro francese.


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