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"ROBOTISMO GLOBALE": ESCATOLOGIA TECNOLOGICA. «Saranno i robot a ereditare la Terra?» (Marvin Minsky).

"GNR REVOLUTION". I TEORICI DELL’IMMORTALITA’ TERRENA: MARVIN MINSKY, ANDY CLARK, MAX MORE, KIM ERIC DREXLER, RAY KURZWEIL. Un’intervista di Roberto Righetto ad Andrea Vaccaro - a cura di Federico La Sala

mercoledì 20 maggio 2009
[...] L’intreccio possi­bile fra spiritualità e tecnologia, da Teilhard de Chardin a Philip Dick, ha affascinato teologi e scrittori e in tempi recenti anche gli scienzia­ti. Fra cui i cosiddetti teorici delle «filosofie dell’immortalità», una corrente di pensiero incentrata sul­le grandi scoperte della GNR Revo­lution,
la combinazione di Geneti­ca, Nanotecnologia e Robotica che promette risultati fino a pochi anni fa impensabili, ma che rischia di invadere la sfera fisica e spirituale (...)

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> "GNR REVOLUTION". ---- Lo studio del genoma sta cambiando il mondo. James D. Watson: no a imposizioni, la genetica resti libera.

sabato 23 maggio 2009


-  Il Premio Nobel James D. Watson ha ricevuto il Pre­mio Capo d’Orlando asse­gnato a Vico Equense (Na) da un comitato scientifico guidato dal Nobel Riccardo Giacconi. Pubblichiamo il testo scritto per l’occasione

-  Un articolo del Premio Nobel: lo studio del genoma sta cambiando il mondo

-  Watson: no a imposizioni, la genetica resti libera

-Ho messo in rete il mio Dna Solo così saremo in grado di capire le nostre differenze

di James D. Watson (Corriere della Sera, 23.05.2009)

Proprio come Barack Obama, io stesso sono un prodotto di Chica­go- sud, essendo cresciuto in due ca­mere e cucina del quartiere di Sou­th Shore, dove i libri, gli uccelli e Franklin Delano Roosevelt ci per­mettevano di guardare con fiducia al futuro. Da mio padre e da mia ma­dre ereditai i quattro valori familia­ri di base: la ricerca della conoscen­za, l’onestà, la lealtà verso il prossi­mo e la responsabilità civile nei ri­guardi dei meno fortunati.

Solo venti minuti di macchina mi separavano dalla grande univer­sità di Chicago. Lì, fra il 1943 e il 1947, mi immersi nei Grandi Libri del suo carismatico Rettore, Robert Maynard Hutchins, e divenni schia­vo dell’incessante bisogno di risol­vere dispute usando la ragione e sfruttando le conoscenze del passa­to e del presente, giungendo così ad affrontare i problemi di oggigior­no. Nei miei primi anni di universi­tà la mia giovanile passione per la storia naturale mi portò a specializ­zarmi in zoologia, incontrando così le leggi di Mendel sull’ereditarietà. Grazie a queste, mi resi conto di non essere soltanto il risultato dell’ educazione datami dai miei genito­ri, né dell’eccellenza dei miei inse­gnanti e dei libri. Forse ero solo il prodotto della natura: il complesso di geni trasmessi da mia madre e mio padre.

A metà degli Anni 80, il dilemma ambiente/genetica mi investì con maggior forza, quando scoprimmo che il nostro altrimenti intelligentis­simo figlio Rufus non era in grado di scrivere saggi sufficientemente coerenti quand’era all’università di Exeter. Forse che mia moglie Liz ed io avevamo posto su di lui una pres­sione eccessiva affinché eccellesse all’università? O aveva piuttosto ere­ditato un gene difettoso da uno dei due, o ancora era diventato vittima di nuovi eventi mutazionali?

Avevo quindi abbondantemente ragione di diventare un pioniere del Progetto Genoma Umano, in quel periodo appena proposto. I progressi delle tecnologie di se­quenzializzazione del Dna in quel momento lasciavano sperare di po­ter ordinare esattamente i tre miliar­di di lettere del messaggio genetico umano, in soli 15 anni e con fondi per tre miliardi di dollari. A partire dall’autunno del 1988, per quattro anni, oltre al mio lavoro a Cold Spring Harbor, sono stato a Washin­gton a collaborare per il lancio del progetto. Per la gioia di tutti, il pro­getto fu completato nel 2003. Oggi, grazie ai sempre più rapidi progres­si delle tecnologie del Dna, la nuova era dei genomi personali ci fornirà solide argomentazioni per risolvere razionalmente la controversia natu­ra/ ambiente.

Il mio genoma personale fu il pri­mo ad essere studiato, avendolo messo a disposizione di tutti su In­ternet nel 2007. Quando Jonathan Rothberg, il fondatore del 454 Life Sciences di New Haven, venne nel mio ufficio per chiedermi se avessi permesso di sequenziare il mio Dna, acconsentii immediatamente. Essere sequenziato non era una que­stione di vanità personale, ma era una necessità molto personale. Mi resi conto che fra i suoi tre miliardi di informazioni genetiche ci sareb­bero potuti essere gli indizi che un giorno avrebbero permesso a Rufus di condurre un’esistenza più indi­pendente o all’altro mio meraviglio­so figlio Duncan di affrontare il fu­turo con maggiore sicurezza. Da so­lo o anche con l’aiuto di molti ami­ci, non sarei stato capace di inter­pretare i dettagli straordinariamen­te complessi del mio genoma perso­nale. Meglio metterlo sul web e rice­vere l’aiuto di tutti i ricercatori del mondo per capire com’era fatto. Il mio genoma personale è costato un milione di dollari. Oggi, grazie a tec­nologie sempre più moderne, non si spendono più di 100.000 dollari. In meno di dieci anni, con 100 dolla­ri ciascuno potrà acquistare il pro­prio genoma.

Le uniche sequenze genetiche che non volevo che qualcuno (me compreso) potesse conoscere era­no quelle dei miei due geni Apo E, le cui varianti specifiche predispon­gono fortemente al morbo di Alzhei­mer. Proprio dopo che fu scoperta la Doppia Elica, mia nonna Nana morì a novant’anni con questa brut­ta malattia che distrugge il cervello. Se dietro ai suoi ultimi difficili anni di vita c’è stata una variante del ge­ne Apo E, c’è una probabilità su quattro che io vi sia predisposto.

Più determinante per il mio be­nessere immediato fu l’apprendere dal mio genoma che avevo due co­pie della variante 10 (allele) dell’im­portante gene citocromo farma­co- metabolizzante (CYP2D6), che si incontra molto più facilmente nelle popolazioni asiatiche che in quelle caucasiche, dove predomina l’allele 1. Gli individui che possiedono gli alleli 10 metabolizzano più lenta­mente molti importanti farmaci me­dicinali rispetto alle persone che hanno la variante 1. Meglio tardi che mai, ho imparato che i betabloc­canti, che prendevo per abbassare la pressione arteriosa, mi facevano venire sonno, quindi li ho abbando­nati.

La società trarrà enormi benefici se altri individui, oltre a Craig Ven­ter e me stesso, renderanno pubbli­co il loro genoma. Solo quando cen­tinaia di migliaia di genomi saran­no studiati approfonditamente, po­tremo cominciare a comprendere il significato di molte, molte differen­ze sequenziali che distinguono un essere umano dall’altro. Spero tan­to che la decisione di sequenziare il nostro genoma o quello di bambini affetti da particolari patologie resti una decisione personale, non un’im­posizione dettata dall’alto di autori­tà regolamentari. Che la genetica re­sti libera, così che ci possa aiutare a costruire un mondo migliore.

Rabbrividisco al pensiero di un futuro in cui comitati di «saggi» mi dicano quello che è bene per me e la mia famiglia. Mentre il governo può essere sicuramente l’ente più appropriato per costruire le nostre autostrade o gestire le nostre prigio­ni, non può certo essere quello che ci dice che cosa fare delle nostre co­noscenze genetiche. Il modo in cui risponderemo ai tanti dilemmi im­pegnativi che il futuro ci porrà in questo campo, dovrebbe dipendere dai nostri valori personali. Per il fu­turo prevedibile, gli Stati Uniti po­trebbero saggiamente seguire il vec­chio suggerimento del pioniere del genoma, Maynard Olson, che ha chiuso la recente conferenza sul Ge­noma Personale al Cold Spring Har­bor Laboratory incitando tutti a «Democratizzare, Decentrare e Darwinizzare» approcci futuri per la gestione delle informazioni gene­tiche.


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