Il Premio Nobel James D. Watson ha ricevuto il Premio Capo d’Orlando assegnato a Vico Equense (Na) da un comitato scientifico guidato dal Nobel Riccardo Giacconi. Pubblichiamo il testo scritto per l’occasione
Un articolo del Premio Nobel: lo studio del genoma sta cambiando il mondo
Watson: no a imposizioni, la genetica resti libera
-Ho messo in rete il mio Dna Solo così saremo in grado di capire le nostre differenze
di James D. Watson (Corriere della Sera, 23.05.2009)
Proprio come Barack Obama, io stesso sono un prodotto di Chicago- sud, essendo cresciuto in due camere e cucina del quartiere di South Shore, dove i libri, gli uccelli e Franklin Delano Roosevelt ci permettevano di guardare con fiducia al futuro. Da mio padre e da mia madre ereditai i quattro valori familiari di base: la ricerca della conoscenza, l’onestà, la lealtà verso il prossimo e la responsabilità civile nei riguardi dei meno fortunati.
Solo venti minuti di macchina mi separavano dalla grande università di Chicago. Lì, fra il 1943 e il 1947, mi immersi nei Grandi Libri del suo carismatico Rettore, Robert Maynard Hutchins, e divenni schiavo dell’incessante bisogno di risolvere dispute usando la ragione e sfruttando le conoscenze del passato e del presente, giungendo così ad affrontare i problemi di oggigiorno. Nei miei primi anni di università la mia giovanile passione per la storia naturale mi portò a specializzarmi in zoologia, incontrando così le leggi di Mendel sull’ereditarietà. Grazie a queste, mi resi conto di non essere soltanto il risultato dell’ educazione datami dai miei genitori, né dell’eccellenza dei miei insegnanti e dei libri. Forse ero solo il prodotto della natura: il complesso di geni trasmessi da mia madre e mio padre.
A metà degli Anni 80, il dilemma ambiente/genetica mi investì con maggior forza, quando scoprimmo che il nostro altrimenti intelligentissimo figlio Rufus non era in grado di scrivere saggi sufficientemente coerenti quand’era all’università di Exeter. Forse che mia moglie Liz ed io avevamo posto su di lui una pressione eccessiva affinché eccellesse all’università? O aveva piuttosto ereditato un gene difettoso da uno dei due, o ancora era diventato vittima di nuovi eventi mutazionali?
Avevo quindi abbondantemente ragione di diventare un pioniere del Progetto Genoma Umano, in quel periodo appena proposto. I progressi delle tecnologie di sequenzializzazione del Dna in quel momento lasciavano sperare di poter ordinare esattamente i tre miliardi di lettere del messaggio genetico umano, in soli 15 anni e con fondi per tre miliardi di dollari. A partire dall’autunno del 1988, per quattro anni, oltre al mio lavoro a Cold Spring Harbor, sono stato a Washington a collaborare per il lancio del progetto. Per la gioia di tutti, il progetto fu completato nel 2003. Oggi, grazie ai sempre più rapidi progressi delle tecnologie del Dna, la nuova era dei genomi personali ci fornirà solide argomentazioni per risolvere razionalmente la controversia natura/ ambiente.
Il mio genoma personale fu il primo ad essere studiato, avendolo messo a disposizione di tutti su Internet nel 2007. Quando Jonathan Rothberg, il fondatore del 454 Life Sciences di New Haven, venne nel mio ufficio per chiedermi se avessi permesso di sequenziare il mio Dna, acconsentii immediatamente. Essere sequenziato non era una questione di vanità personale, ma era una necessità molto personale. Mi resi conto che fra i suoi tre miliardi di informazioni genetiche ci sarebbero potuti essere gli indizi che un giorno avrebbero permesso a Rufus di condurre un’esistenza più indipendente o all’altro mio meraviglioso figlio Duncan di affrontare il futuro con maggiore sicurezza. Da solo o anche con l’aiuto di molti amici, non sarei stato capace di interpretare i dettagli straordinariamente complessi del mio genoma personale. Meglio metterlo sul web e ricevere l’aiuto di tutti i ricercatori del mondo per capire com’era fatto. Il mio genoma personale è costato un milione di dollari. Oggi, grazie a tecnologie sempre più moderne, non si spendono più di 100.000 dollari. In meno di dieci anni, con 100 dollari ciascuno potrà acquistare il proprio genoma.
Le uniche sequenze genetiche che non volevo che qualcuno (me compreso) potesse conoscere erano quelle dei miei due geni Apo E, le cui varianti specifiche predispongono fortemente al morbo di Alzheimer. Proprio dopo che fu scoperta la Doppia Elica, mia nonna Nana morì a novant’anni con questa brutta malattia che distrugge il cervello. Se dietro ai suoi ultimi difficili anni di vita c’è stata una variante del gene Apo E, c’è una probabilità su quattro che io vi sia predisposto.
Più determinante per il mio benessere immediato fu l’apprendere dal mio genoma che avevo due copie della variante 10 (allele) dell’importante gene citocromo farmaco- metabolizzante (CYP2D6), che si incontra molto più facilmente nelle popolazioni asiatiche che in quelle caucasiche, dove predomina l’allele 1. Gli individui che possiedono gli alleli 10 metabolizzano più lentamente molti importanti farmaci medicinali rispetto alle persone che hanno la variante 1. Meglio tardi che mai, ho imparato che i betabloccanti, che prendevo per abbassare la pressione arteriosa, mi facevano venire sonno, quindi li ho abbandonati.
La società trarrà enormi benefici se altri individui, oltre a Craig Venter e me stesso, renderanno pubblico il loro genoma. Solo quando centinaia di migliaia di genomi saranno studiati approfonditamente, potremo cominciare a comprendere il significato di molte, molte differenze sequenziali che distinguono un essere umano dall’altro. Spero tanto che la decisione di sequenziare il nostro genoma o quello di bambini affetti da particolari patologie resti una decisione personale, non un’imposizione dettata dall’alto di autorità regolamentari. Che la genetica resti libera, così che ci possa aiutare a costruire un mondo migliore.
Rabbrividisco al pensiero di un futuro in cui comitati di «saggi» mi dicano quello che è bene per me e la mia famiglia. Mentre il governo può essere sicuramente l’ente più appropriato per costruire le nostre autostrade o gestire le nostre prigioni, non può certo essere quello che ci dice che cosa fare delle nostre conoscenze genetiche. Il modo in cui risponderemo ai tanti dilemmi impegnativi che il futuro ci porrà in questo campo, dovrebbe dipendere dai nostri valori personali. Per il futuro prevedibile, gli Stati Uniti potrebbero saggiamente seguire il vecchio suggerimento del pioniere del genoma, Maynard Olson, che ha chiuso la recente conferenza sul Genoma Personale al Cold Spring Harbor Laboratory incitando tutti a «Democratizzare, Decentrare e Darwinizzare» approcci futuri per la gestione delle informazioni genetiche.