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TERREMOTO E COSTITUZIONE. LA LUNGA E BRILLANTE CAMPAGNA DI GUERRA DEL CAVALIERE DI "FORZA ITALIA" CONTRO L’ITALIA ...

A FURIA DI "FORZA ITALIA", L’ITALIA INTERA E’ FINITA NELLE MANI DELL’UOMO DELLE TENDE AZZURRE. Intervista a Edoardo Sanguineti di Pietro Spataro - a cura di Federico La Sala

Rileggere Marx, questo dobbiamo fare se vogliamo riorientarci. Dico Marx, ma anche Gramsci e Benjamin: credo possano ancora aiutarci
martedì 14 aprile 2009 di Federico La Sala
[...] «Una volta mi chiesero quale fosse la mia migliore qualità e quale il mio peggior difetto. Risposi: l’ostinazione. Mi ostino, come Berlinguer, a dire che non si vive per accumulare ricchezza e penso che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro e non sul consumo. Qui invece ti dicono grazie solo perché consumi. E allora io ripeto: no grazie. E mantengo la mia ostinazione».
Ha descritto un quadro fosco: quindi è pessimista per il futuro?
«Userei questa espressione: ottimismo (...)

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> A FURIA DI "FORZA ITALIA", L’ITALIA INTERA E’ FINITA NELLE MANI DELL’UOMO DELLE TENDE AZZURRE. --- Il sultano democratico. Come si corrodono le garanzie costituzionali ... Il sultanato era un po’ così (di Giovanni Sartori).

giovedì 16 aprile 2009


-  Il sultano democratico
-  Come si corrodono le garanzie costituzionali

-  Esce da Laterza una raccolta di scritti sulle trasformazioni del potere e sul rischio di svuotamento delle istituzioni dall’interno

-  di Giovanni Sartori (Corriere della Sera, 16.04.2009)

Dopo le elezioni idilliache volute e pe­santemente perdute da Veltroni, l’idillio è presto finito e la sinistra torna ad accusare Berlusconi di in­tenzioni dittatoriali e anche di essere già un dit­tatore in pectore. Ma «dittatura» non deve esse­re usato a vanvera.

Per lungo tempo il termine è stato inteso nel suo antico significato romano, un significato del quale ci dobbiamo dimenticare. Perché og­gi «dittatura» denota una fattispecie che si è af­fermata tra le due guerre mondiali, che in que­gli anni ha largamente travolto le democrazie parlamentari, che a sua volta è stata travolta dal­la sconfitta bellica del nazi-fascismo e che pur­tuttavia resta viva e vegeta, sotto mentite spo­glie, in giro per il mondo. Visto che molti non lo sanno, importa ricordare che le democrazie dell’Ottocento sono già cadute una prima volta.

Agli inizi degli anni Venti il regime sovietico era già dittatoriale e tutti gli Stati comunisti so­no stati tali finché sono durati. Il camuffamen­to fu solo di dichiararli «dittature del proletaria­to »; dizione che Marx usò di rado e a casaccio, per poi essere reclamizzata dal marxismo-leni­nismo. Ma era, ed è, una nozione assurda. Una dittatura collettiva di una intera classe, o anche di un demos nel suo insieme, non ha alcun sen­so. E se qualcuno ricorda, a questo proposito, che i costituenti americani, e poi Tocqueville e John Stuart Mill, usarono la dizione «dittatura della maggioranza», quel qualcuno ricorda ma­le: quei signori non dissero mai dittatura ma ti­rannide, «tirannide della maggioranza».

La precisazione è, allora, che le dittature de­gli anni ’20-40 si gloriavano di essere tali. Abbat­tevano, a loro dire, una democrazia spregevole, una plutocrazia corrotta e un governo imbelle, incapace di assicurare l’ordine e di contrastare il caos rivoluzionario dei «rossi». In quegli anni l’Inghilterra resse e anche la Francia; ma Italia, Germania, Spagna, Portogallo e quasi tutta l’Eu­ropa dell’Est (salvo la Cecoslovacchia) passaro­no sotto il tallone di dittatori o di monarchi-dit­tatori. Il punto è che in quegli anni le dittature si consideravano regimi legittimi che «supera­vano » le democrazie.

Oggi le nostre democra­zie sono di nuovo in perdita di credibilità. Ma reggono anche perché il principio indiscusso di legittimità del nostro tempo è (teocrazie a parte) che il potere viene dal basso, che si deve fondare sul consenso e sulla libera espressione della volontà popolare. Il che rende le dittature regimi «cattivi», regimi illegittimi. E questa è la grossa differenza che al giorno d’oggi non con­sente più alle dittature di esibirsi come tali e di presentarsi come superamenti delle democra­zie. Oggi le dittature sono endemiche in Africa e abbondano in gran parte del mondo. Ma sono dittature camuffate, che smentiscono di essere tali e fingono di essere democrazie o quantome­no regimi in corso di democratizzazione. Que­sta è una importante differenza rispetto alle dit­tature fasciste, naziste e comuniste di settanta anni fa. E anche una differenza che ci impone più che mai di stabilire cosa sia una dittatura anche se e quando si camuffa. In prima approssimazione la dittatura è pote­re concentrato in una sola persona. Per così di­re, la dittatura è del dittatore, un signore (an­che donna, s’intende) legibus solutus che non è sottoposto a leggi e che usa le leggi per sotto­porre i sudditi al suo volere.

Al che viene opposto che sono anche esistite «dittature collegiali» e cioè gestite da una pic­colissima oligarchia. Sì, tale è stata dopo la mor­te di Stalin la formula adottata nell’Unione So­vietica. Ma fu soprattutto una formula salva vita (che non salvò la vita di Beria, ma che consentì a tutti gli altri membri del politburo moscovita di morire nel proprio letto). Comunque sia, la dittatura collegiale, che oggi vige soprattutto in Cina, resta una anomalia di alcuni regimi comu­nisti.

Una anomalia spesso più apparente che reale e che comunque non basta a inficiare la caratterizzazione «personalistica» delle dittatu­re. Che passo a definire così: un regime di pote­re assoluto e concentrato in una sola persona, nel quale il diritto è sottomesso alla forza.

La sostanza delle dittature è e resta questa. Ma la strategia della loro creazione è cambiata. Prima il dittatore abrogava senza infingimenti la Costituzione preesistente. Senza arrivare al caso limite di Hitler che dichiarava «la Costitu­zione sono io», il dittatore del secolo scorso eli­minava platealmente le camere elettive e istitui­va scopertamente strutture di comando a suo uso e consumo.

Oggi, invece, il dittatore si infil­tra gradualmente e senza troppo parere nelle istituzioni democratiche preesistenti e le svuo­ta dall’interno. Una prima incarnazione di que­sta strategia furono le «democrazie popolari» inventate nel secondo dopoguerra dal Cremli­no per i Paesi dell’Europa dell’Est restati nella zona di influenza sovietica. Ma in quel caso il camuffamento fu soltanto nella denominazio­ne, nel nome. L’accettazione, nella cosiddetta democrazia popolare, di partitini satelliti era soltanto una cortina fumogena dietro la quale il bastone di comando restava interamente in mano del partito comunista di ogni Paese.

Ma oggi la strategia di conquista dittatoriale delle democrazie è graduale e molto più raffina­ta. È una strategia che sviluppa «Costituzioni in­costituzionali » e cioè che ne elimina senza dare nell’occhio le strutture garantistiche. Il costitu­zionalismo è tale nella misura in cui istituisce poteri controbilancianti che si limitano e con­trollano a vicenda. Quando è così i cittadini so­no garantiti dall’abuso di potere e sono comun­que in condizione di difendere e di affermare la loro libertà. Quando non è più così, le Costitu­zioni diventano semplicemente qualsiasi for­ma, qualsiasi struttura, che ogni Stato si dà. Con tanti saluti, in tal caso, alle libertà del citta­dino.

Riassumo così: oggi le dittature sono Stati ca­ratterizzati, dicevo, da Costituzioni incostituzio­nali, Stati la cui forma (Costituzione) consente e autorizza un esercizio concentrato e incontrol­lato del potere politico. Nessuno si dichiara più dittatore. Tutti fanno finta di non esserlo. Ma lo sono.

Arrivo a Silvio Berlusconi. È un dittatore? No: non viola la Costituzione. Lo può diventare? Sì, le riforme costituzionali che caldeggia sono tut­te intese a depotenziare e fagocitare i contropo­teri che lo intralciano. Ma vuole davvero diven­tare un dittatore? Qui dobbiamo rispondere a naso, a fiuto. A mio fiuto, a Berlusconi interes­sa semplicemente fare quello che vuole. Si ritie­ne bravissimo ed è a questo titolo che pretende a mano libera, che mal sopporta chi lo frena. Però è vero che la sua megalomania sta crescen­do, che esibisce un complesso di persecuzione addirittura nei confronti dei media (tutta la tele­visione che gli spara contro! Figurarsi). Il che depone male. Eppure a tutt’oggi il personaggio resta, a mio vedere, soprattutto quello di un pa­drone autoritario.

Congetture a parte, nei suoi due precedenti periodi di governo Berlusconi si è impegnato a salvare se stesso dalla magistratura e a corazza­re un impero tutto intriso di conflitti e di abusi di interesse. Questa volta su questo fronte è ora­mai tranquillo. E si è così dato a costruire, all’in­terno di Palazzo Chigi, e della sua personale sfe­ra di potere, un sultanato. Mi sono divertito a battezzarlo così perché il termine (islamico) è evocativo, insieme, di fasto e di potere dispoti­co. Il fatto è che Berlusconi concede a Bossi quel che Bossi vuole (federalismo e due mini­steri chiave) e concede qualche contentino an­che a Fini (promosso a presidente della Camera per meglio rimuoverlo da An).

Dopodiché il Ca­valiere sultaneggia su un partito cartaceo davve­ro prostrato ai suoi piedi. Nomina ministri e mi­nistre chi vuole. Caccia chi vuole, come se fosse personale di servizio. Nessuno fiata. I ministri del partito di sua proprietà sono tali per grazia ricevuta. E tornano a casa senza nemmeno un gemito se così decide il padrone. Non manca, nel suo governo, nemmeno un gradevole ha­rem di belle donne. Il sultanato era un po’ così.


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