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L’avanguardia che innervosì il ’900...

IL FUTURISMO. VISTO CHE E’ IL CENTENARIO ... ALCUNE NOTE - di Bonito Oliva, Kandinsky, Gobetti, Perniola.

giovedì 15 gennaio 2009 di Federico La Sala
[...] I proclami di Marinetti si susseguono con intensità crescente, fino a inondare, con la tipica verve linguistica e lo spirito pungente che caratterizza la formazione, ogni aspetto del vivere civile e ogni forma di espressione artistica: dal romanzo al teatro, dalla poesia alla danza, dalla fotografia all’architettura, dal cinema alla moda, dalla radio al design, dalla tipografia alla musica, dalla cucina alla politica, al concetto di donna e quello di amore, approdando, in un documento (...)

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> IL FUTURISMO. VISTO CHE E’ IL CENTENARIO ... --- Le mille facce dell’avanguardia (di Cesare De Seta).

lunedì 16 febbraio 2009

Futurismo

Le mille facce dell’avanguardia

-  Dopo Milano e Parigi anche Roma celebra il centenario del movimento con la grande rassegna alle Scuderie del Quirinale
-  Le analogie e le differenze tra l’esposizione di oggi e quella famosa del 1912 Tra i tanti, Carrà Boccioni, Balla e gli "invitati" parigini Duchamp Picasso e Delaunay

di Cesare De Seta (la Repubblica, 16.02.2009)

Il Futurismo è tra i pochi eventi del Novecento che pone l’Italia in prima fila e il centenario ha dato la stura a molte mostre. Una moneta, quella del futurismo, che il nostro paese avrebbe dovuto saper spendere da protagonista: sia perché i maggiori studiosi del movimento sono italiani, sia perché avevamo un "diritto di prelazione" da far valere.

Il Centre Pompidou ha preceduto tutti con la mostra "Le Futurisme à Paris", ora alle Scuderie del Quirinale (in apertura il 20 febbraio). La mostra, per la cura di Didier Ottinger, fin dal titolo - "Avanguardia - Avanguardie" - ha un’articolazione saccente e debole per il modo in cui i futuristi vengono affogati in un cubismo+futurismo=cubofuturismo, come Ottinger titola il saggio d’apertura. Marinetti, Boccioni, Severini e Carrà, girando per la mostra, si torcerebbero dalla rabbia: perché non sopportarono d’esser giudicati epigoni dei cubisti e in effetti non lo furono.

Non a caso la mostra si apre nel nome di Picasso e Braque, di Delaunay e Metzinger, di Léger e Gleizes. Ciò non toglie che gli amici francesi abbiano messo assieme, con apprezzabile tempestività, una selezione eccellente di tele di Boccioni, Severini, Carrà, Russolo, mentre Balla è mortificato con solo due tele. Nessuno nega che i futuristi si inseriscono in un terreno già arato dal cubismo, ma la mostra alla galleria Bernheim-Jeune del febbraio 1912 fu solo un momento dell’articolata politica di lancio orchestrata da Marinetti con gran talento.

Che le opere futuriste fossero una novità assoluta lo testimonia il fatto che esse scandalizzarono i parigini e i giornali francesi contemporanei dicono delle reazioni violente sia di pubblico che di critica. La rivoluzionaria serie de Gli stati d’animo di Boccioni sono del 1911, e scarse relazioni hanno con l’Adamo-cubista: le radici stesse della pittura di Boccioni sono radicalmente diverse (Officine a Porta Romana, L’idolo moderno, 1910-1911), come quelle di Carrà (Il funerale dell’anarchico Galli, Sobbalzi di carrozza, La donna al caffè, Ciò che mi ha detto il tram degli stessi anni). Le tematiche futuriste della città, della velocità, della simultaneità sono per larga parte estranee al milieu parigino: sono una tale novità che creano disagio anche a uno spregiudicato occhio come quello di Apollinaire.

L’edizione delle Scuderie, commissario Ester Coen, ha il merito di aver eliminato molte tele non pertinenti e di aver puntato decisamente sul futurismo col qualificato serto di tele già ricordate. Complessivamente una settantina di opere, con preziose aggiunte, su 115 esposte a Parigi: un freddo dato notarile, significativo. In premessa al catalogo (Electa) Antonio Paolucci saggiamente scrive che per il futurismo «più che di arte italiana è giusto parlare di varianti italiane di fenomeni globali e policentrici»: tra gli invitati parigini, riuniti al secondo piano, i Delaunay con la Tour Eiffel e su tutti il geniale Marcel Duchamp del Nu descendant l’escalier: questi sì strettamente collegati alla ricerca sul moto dinamico.

Una periodizzazione completamente diversa ha la mostra milanese al Palazzo Reale, a cura di Giovanni Lista e Ada Masoero (catalogo Skira), che si spinge agli anni Trenta, con il capitolo dell’Aereopittura (Tato, Prampolini, Diulgheroff, Dottori) e un finale dedicato a "L’eredità del futurismo" (Fontana, Burri, Dorazio, Schifano). La mostra milanese è una sventagliata a tutto campo e ha il vantaggio, rispetto e contro la mostra parigina e romana, di avere una sezione introduttiva dedicata alla grande tradizione lombarda di fine Ottocento. È pure vero che i futuristi sbeffeggiarono i pittori «montagnisti e laghettisti», ma per capire le radici di Carrà, ma dello stesso Boccioni e di Balla, è impossibile prescindere dalla pittura simbolista e divisionista (Previati, Segantini, Pellizza) che ebbe peso ben maggiore dei cubisti nella formazione dei futuristi. Perché, e la mostra lo ribadisce, Marinetti ebbe sì un’indelebile formazione francese, ma operò sempre a Milano e la metropoli dell’industria e della tecnica fu il grande crogiolo della modernità. Gino Severini a Parigi fin dal 1906, con puntate di Soffici e Boccioni, fu più direttamente influenzato dal cubismo, ma con un’originalità compositiva e cromatica di sicura tenuta.

Scandita in diverse sezioni la mostra milanese sfiora anche "Metafisica" - a cui approdò Carrà intorno al 1916 - che fu il vero controcanto al futurismo. Si fatica a inserire Sironi tra i futuristi, ma pure l’esordio fu in quel solco, come per Funi: poi entrambi approdarono sulle rive limacciose di "Novecento". Il movimento irradiò i suoi tentacoli fino a Firenze ("Lacerba" è un nodo essenziale), a Roma, Torino, Napoli, ma anche in centri minori e aree di ricerca che vanno emergendo, come il caso Bologna con la mostra a Palazzo Saraceni a cura di Beatrice Buscaroli.

La grande vitalità dell’avanguardia futurista fu quella di aver pervaso la fotografia e il cinema (i Bragaglia), la musica e il teatro (Pratella, Russolo, Cangiullo), le arti decorative, la pubblicità e la moda (Balla, Depero, Prampolini, Dottori). Al paroliberismo concorsero letterati (Paolo Buzzi, Palazzeschi, Cavacchioli, Govoni, Altomare, Folgore) e pittori sia del primo che del secondo futurismo: a questa ricerca sperimentale è dedicata un’altra mostra, a cura di Luigi Sansone (catalogo Motta), alla Fondazione Stelline di Milano. Essa pone in prima linea Marinetti su cui è appena uscita una densa monografia (Mondadori) di Giordano Bruno Guerri e il volume di Vladimir Pavloviè nella bella collana Mart inediti.

Il museo d’arte di Lugano fa eco con una mostra dedicata a "La dinamo futurista": un omaggio a Boccioni nei disegni del toscano Primo Conti per la Donna che venne dal mare. Un profilo del movimento sul versante ideologico e politico è quello di Emilio Gentile edito da Laterza.

Il grande assente nei fuochi d’artificio futuristi (se si escludono una decina di acquerelli a Milano) è Antonio Sant’Elia, e davvero non si spiega visto ché l’architetto comasco fu per i futuristi una bandiera e uscì persino un periodico col suo nome: le immagini santeliane sono icone fondamentali della modernità a cui Le Corbusier attinse a piene mani, ma mai lo citò nei suoi scritti. More parisiano!


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