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SOCIETA’, POLITICA E RICERCA SCIENTIFICA. Nei regimi totalitari, l’attività del cervello arcaico è al massimo...

UN’ITALIA ARCAICA E SUICIDA. UN’INTERVISTA A RITA LEVI MONTALCINI, ALLA SOGLIA DEI CENTO ANNI - DI CRISTINA MOCHI

giovedì 3 gennaio 2008 di Federico La Sala
[...] "Viviamo ancora dominati da bassi impulsi, come cinquantamila anni fa. Perché il nostro cervello ha una componente arcaica e limbica (che ha sede nell’ippocampo) che è aggressiva, emotiva e affettiva ed è quella che ha permesso all’australopiteco di salvarsi, quando è sceso dagli alberi e ha affrontato il mondo. L’altra componente, cognitiva e neocorticale, è molto più recente e corrisponde alla fase dello sviluppo del linguaggio. Purtroppo questa parte non riesce ancora a (...)

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> UN’ITALIA ARCAICA E SUICIDA. ---- un brano da "La clessidra della vita"... Così Einstein arrivò alla relatività (di Rita Levi Montalcini)

sabato 3 gennaio 2009

Così Einstein arrivò alla relatività

Il premio Nobel rievoca il suo percorso lungo quasi un secolo di scienziata e di donna. La famiglia, Primo Levi, Carlo Levi. I metodi per fare buona ricerca

Pubblichiamo un brano da La clessidra della vita, scritto dalla Levi Montalcini e da Giuseppina Tripodi (Baldini Castoldi Dalai, pagg. 199, euro 16,50). Il volume è in libreria in questi giorni.

di Rita Levi Montalcini (la Repubblica, 4.11.2008)

Nella sua autobiografia Einstein, o ancora più precisamente, come lui stesso la definisce, nel suo autonecrologio scientifico scritto a 67 anni, ricorda la forte impressione ricevuta all’età di 4-5 anni nell’osservare l’orientamento costante dell’ago magnetico di una bussola. Questa capacità di voler dare una spiegazione in base alle proprie esperienze di bambino, di adolescente e uomo maturo, è il primo segno di una grande attitudine all’indagine e al sottoporre al vaglio del proprio giudizio concetti che, in genere, vengono accettati senza difficoltà dalla grande maggioranza, quali la caduta dei gravi, la rotazione della luna, la differenza tra vivente e non vivente, ecc.

La seconda esperienza che Einstein ricorda come fondamentale in età infantile riguarda la comprensione dell’assioma che le tre altezze di un triangolo si intersecano in un solo punto. Ricorda l’indescrivibile impressione non tanto per il fatto che l’assioma potesse essere accettato senza dimostrazione, quanto per l’evidenza e la certezza della sua enunciazione. Dai 12 ai 16 anni Einstein prese familiarità con le nozioni fondamentali del calcolo differenziale e integrale e con le scienze naturali. Diciassettenne si iscrisse alla Facoltà di Fisica al Politecnico di Zurigo, ebbe maestri come Hurwitz e Minkowski, entrambi matematici. Ma fu affascinato dalla fisica e per questa scienza trascurò la matematica in quanto non si sentiva di distinguere, in questo settore, con esattezza e con un’intuizione sicura, ciò che ha importanza fondamentale rispetto ad altre nozioni non ugualmente essenziali.

Emerge quindi il secondo aspetto caratteristico di Einstein che permarrà tutta la vita, cioè il senso di direzionalità e importanza della ricerca perseguita. E si rivelò anche la sua riluttanza alla coercizione e cioè all’obbligo di studiare secondo regole prefisse, riluttanza che manifestò per tutta la vita al pensiero ortodosso e coercitivo. Nel campo della fisica trovò estremamente agevole distinguere, malgrado l’enorme accumulo di dati, ciò che poteva condurre a concetti fondamentali da quello che non è essenziale. (...)

La circostanza che doveva portare alla formulazione del concetto della relatività speciale sorse a seguito di considerazioni sull’esperimento di Michelson, il quale aveva provato che la luce che attraversava due tubi ad angolo retto, l’uno in direzione del movimento della terra e l’altro perpendicolare a questo, percorreva i due tubi alla stessa velocità. Questo risultato appariva in contraddizione con il fatto che il tubo disposto parallelamente alla direzione di movimento della terra doveva essere percorso in un tempo più breve di quello perpendicolare. Lorentz aveva avanzato l’ipotesi di una contrazione del tubo parallelo che compensasse la differenza.

Einstein si pose innanzitutto il problema della relazione tra spazio e tempo rispetto a una costante: quella della luce è la massima velocità possibile, la forza necessaria per aumentarla dovrebbe essere infinita. Einstein nel formulare questo metodo riconobbe l’ambiguità del concetto di simultaneità che, se è valido per due fatti avvenuti nello stesso luogo nell’identico momento, non lo è più per due fatti che avvengano «contemporaneamente» in due luoghi diversi: concetto di tempo. Lo scienziato, commentando con Wertheimer il processo mentale che lo portò alla formulazione della teoria della relatività, disse: «Io penso assai di raro con parole, prima ho un pensiero, e solo in seguito posso cercare di esprimerlo con parole. Naturalmente è molto difficile esprimere a parole quella sensazione, ma decisamente le cose stanno così. L’impressione di procedere in un determinato senso in me è sempre sotto forma di una specie di sguardo generale in un certo senso in modo visivo». Durante l’intero processo creativo prevalse in lui il senso della «direzionalità» del suo modo di pensare verso un determinato fine e cioè di procedere verso qualcosa di concreto.

In quello definito da Wertheimer «un appassionato desiderio di chiarezza», Einstein affrontò direttamente la relazione tra la velocità della luce e il movimento di un sistema e mise a confronto la struttura teorica della fisica classica con il risultato di Michelson. Esaminando il fenomeno scoprì una grave lacuna nella trattazione classica del tempo: nella concezione tradizionale i valori spaziali sono indipendenti dal tempo e dagli elementi fisici. Stabilì invece tra loro una intima relazione: lo spazio non fu più recipiente di fatti fisici, vuoto e completamente indifferente.

La geometria spaziale veniva integrata con la dimensione tempo in un sistema a quattro dimensioni che a sua volta formò una nuova struttura unitaria con gli eventi fisici reali. La velocità della luce, considerata prima di Einstein come una tra le tante altre, seppure la più elevata, venne da lui posta in una fondamentale relazione con il modo in cui venivano misurati tempo e spazio. Il suo ruolo mutò da quello particolare, in mezzo a molti altri, a un fattore centrale del sistema. Nel processo cambiò il significato di altri elementi, quali massa ed energia. Tutto ciò ebbe luogo di fronte a una costruzione granitica, quale la fisica classica, che sino ad allora si era adattata a un numero enorme di fatti.


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