Padroni in casa nostra? E’ la misura di Sodoma
di Piero Stefani ("Jesus”, n. 8 dell’agosto 2010)
Leggo spesso giudizi molto duri nei confronti di chi dice «padroni in casa nostra». Ma cosa c’è di iniquo? In fin dei conti, chi viene da altre parti sarà padrone a casa sua. Detto in altro modo, si potrebbe dire che quel che è mio è mio e quel che è tuo è tuo. Cosa c’è di male? (Alessandro Tomasini di Verona)
Risponde il giudaista Piero Stefani:
«Ci sono quattro misure (vale a dire modi di comportamento) per l’uomo. Quel che dice il mio è il mio e il tuo è tuo. È la misura della spartizione. Ma c’è chi dice: è la misura di Sodoma. Il mio è tuo e il tuo è mio: è un ignorante. Il mio è tuo e il tuo è tuo: un pio. Il mio è mio e il tuo è mio: un empio», si legge nel capitolo 5, 10 dei Pirqè Avot (Capitoli dei padri), una raccolta di detti di maestri ebrei.
La struttura a quattro è propria dei detti raggruppati in quella sezione. Esso, come i punti cardinali, indica tutte le principali dimensioni di riferimento. Molti aspetti della nostra massima si comprendono al volo.
L’articolazione legata al possesso (o alla proprietà privata) è un principio ordinante. La confusione "comunistica" in cui non c’è distinzione tra mio e tuo è segno di ignoranza perché fa di ogni erba un fascio.
Un sigillo di malvagità contraddistingue chi tiene stretti i suoi possessi, mentre si accaparra quelli altrui.
Chi conosce la distinzione ma non la fa pesare a proprio favore, anzi la rende un servizio per gli altri senza chiedere il contraccambio, è un pio.
Quanto resta più difficile da comprendere è il giudizio pesante riservato alla prima alternativa, quella che afferma la netta separazione tra il «mio» e il «tuo»: cosa sta a fare il riferimento a Sodoma?
Fermo restando che - come avviene per una qualsiasi corretta lettura del testo biblico - l’omosessualità rispetto a Sodoma non gioca alcun ruolo, resta da capire perché un invalicabile muro di divisione posto tra il «mio» e il «tuo» - senza generosità, ma anche senza palese sopraffazione - meriti il paragone con la città simbolo per eccellenza di corruzione. Sembra, piuttosto, di essere di fronte a una convivenza ordinata in modo borghese, la stessa che si riflette nella massima stando alla quale «la mia libertà finisce là dove comincia la tua». Quando ognuno è padrone a casa propria, non nasce alcun conflitto.
L’aspetto ipocrita, però, è già presente nel riferimento alla libertà; infatti esso finge l’esistenza di un’uguaglianza inesistente sul piano reale: non tutti sono nelle condizioni di manifestare liberamente allo stesso modo le proprie potenzialità. L’ipocrisia diviene però ancora più scoperta nel caso dei possessi. Nulla sulla terra è spartito in modo così disuguale (bisognerebbe dire, iniquo) come la ricchezza (o la povertà, per guardarlo dall’altra parte).
Affermare perciò: quel che mio è mio e quel che tuo è tuo, comporta sancire perpetuamente la disparità. Ma cosa c’entra Sodoma?
Per rispondere a questa domanda occorre aver presente che la colpa autentica degli abitanti di Sodoma è stata quella contro l’ospitalità, vale a dire contro la modalità antichissima di rendere gli altri partecipi di quanto è proprio.
La «misura di Sodoma» sta nel rifiuto di accogliere gli altri e di considerare inviolabile la loro dignità umana. «Quel che è mio è mio e quel che è tuo è tuo», in questi casi significa dire: «Tornatevene a casa vostra» (senza chiedersi quale casa sia, ammesso che ce ne sia una). Un commento medievale ebraico, a proposito della «misura di Sodoma», evoca un passo del profeta Ezechiele: «Come i sodomiti, i quali non pretendevano nulla dagli altri uomini, ma non tolleravano che un povero potesse beneficiare delle loro ricchezze. Come sta scritto: "Ecco era questa l’iniquità di tua sorella Sodoma: orgoglio, sazietà di pane, prosperità tranquilla erano in lei e nelle sue figlie. Eppure non diede mai la mano al povero e all’indigente" (Ez 16,49)».
In questi ultimi anni, il nome biblico di Gomorra è divenuto un simbolo di alcuni aspetti aberranti dell’Italia meridionale; dal canto suo Sodoma potrebbe svolgere un ruolo analogo per indicare una forma mentis e un modo di comportarsi sempre più diffuso nell’Italia settentrionale.