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Politica

La vittoria di Luxuria: un’Italia bigotta e una sinistra impotente

martedì 2 dicembre 2008 di Vincenzo Tiano
Da alcuni giorni c’è un gran parlare della vittoria di Luxuria all’Isola dei Famosi. Gran parte della sinistra italiana, Liberazione compresa, ha esultato e festeggiato questa vittoria, come trionfo della libertà sessuale e riscatto politico di una parte politica oppressa dalle maggioranze di governo. Luxuria come Obama, qualcuno ha osannato. Le hanno persino offerto una candidatura al Parlamento europeo. In realtà la vicenda dovrebbe cagionare indignazione a chiunque abbia un minimo di (...)

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> La vittoria di Luxuria: un’Italia bigotta e una sinistra impotente --- il trionfo della videocrazia, del potere che si fa televisione o viceversa (di Giovanni Valentini).

sabato 29 novembre 2008

SE VINCE LUXURIA PERDE LA SINISTRA

di GIOVANNI VALENTINI (la Repubblica, 29.11.2008)

La vittoria di Vladimir Luxuria all’Isola dei famosi non è la rivincita del comunismo riciclato in salsa televisiva, bensì il trionfo della videocrazia, del potere che si fa televisione o viceversa. Ed è anche la sconfitta di una sinistra alternativa che, incapace ormai di coltivare la propria diversità sul terreno delle idee e dei valori, non trova di meglio che declinarla sul piano della sessualità.

Anche a rischio di essere scambiati per retrogradi o bigotti, si deve dire che quella di Luxuria (e di ciò che la sua figura rappresenta) è una resa alla mercificazione del reality; la sottomissione mediatica alla logica dello show; la subordinazione della politica allo spettacolo e all’esibizione di sé. Tutto ciò non giova certamente alla credibilità dei partiti, del Parlamento o delle istituzioni. Né tantomeno alla "questione omosessuale" che merita senz’altro maggiore rispetto e migliore considerazione, a cominciare proprio dal personaggio in questione.

Definita da Simona Ventura con un’enfasi da premio Oscar "una lama nel burro dei pregiudizi italiani", Luxuria non aveva bisogno di naufragare su un set artificiale per testimoniare la propria condizione, il proprio impegno civile e la propria sofferenza umana. Con l’ingresso in Parlamento, aveva scelto coraggiosamente di proiettare la sua storia personale sullo schermo della politica, richiamando l’opinione pubblica di destra e di sinistra a riflettere seriamente sul tema dell’omosessualità. E invece, con lo sbarco sull’isola, ne ha interpretato una versione ridotta e caricaturale, una parodia per il piccolo schermo della tv.

Avevamo già assistito in passato alle più svariate performances di deputati o senatori davanti alle telecamere e perfino alla metamorfosi di un ex presidente della Camera, come Irene Pivetti, prima in conduttrice televisiva, poi in show-girl e infine in ballerina. Ma la prestazione di Luxuria sull’isola dei finti naufraghi, premiata prima dal boom degli ascolti e quindi dal voto dei telespettatori, è destinata a rimanere negli annali come l’apice di una degenerazione della vita pubblica attraverso il video, con l’aggravante che in questo caso si tratta per di più della tv di Stato. L’ex parlamentare di Rifondazione comunista s’è incaricata di rappresentare così non tanto la fine di un’ideologia, quanto l’estinzione genetica di una specie culturale e politica i cui connotati principali d’identità erano il rigore, la riservatezza, la sobrietà: quella "virtù civile", insomma, di cui parla Viroli nel saggio che citiamo di nuovo all’inizio.

Sembra francamente improbabile che una tale vittoria mediatica possa produrre qualche effetto positivo, sul piano dell’immagine o su quello elettorale, a favore della sinistra cosiddetta antagonista. Ma purtroppo, al giorno d’oggi, non si può escludere neppure questo. E sarebbe, appunto, la sconfitta più mortificante.

Come meravigliarsi allora che in un Paese come il nostro, dove l’onorevole Luxuria vince all’Isola dei famosi, l’esimio senatore Villari resti abbarbicato alla poltrona di presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza, nonostante il coro pressoché unanime che adesso l’invita a dimettersi? Non è forse, proprio lui, il più degno custode di una televisione pubblica che manda in onda tali distorsioni catodiche? A questo punto, Riccardo Villari rischia ormai di diventare un eroe nazionale, il leader riconosciuto dei voltagabbana, il campione assoluto dei combattenti e reduci. Chissà, anzi, che non si debba assistere prima o poi alla sua riabilitazione, beatificazione e santificazione.

Con questa epica resistenza, il presidente eletto e dimissionato della Vigilanza può aprire ora la strada alla più spettacolare normalizzazione della Rai, consentendo al centrodestra di impossessarsi definitivamente di viale Mazzini senza colpo ferire. Magari per confermare gli stessi consiglieri di amministrazione nominati in precedenza dal centrosinistra e addirittura lo stesso "presidente di garanzia", in carico all’attuale opposizione. O comunque, nuovi consiglieri di minoranza scelti però dalla maggioranza. E naturalmente, per insediare i fedelissimi di quest’ultima alla direzione generale, alla direzione delle reti e a quella dei telegiornali. Un intrigo di trasformismo e opportunismo che meriterebbe senza dubbio un serial televisivo.

Agli strateghi della nostra sinistra, riformista e massimalista, si può solo raccomandare di leggere un paragrafo di due paginette contenuto nel libro del collega Salvatore Giannella, intitolato Voglia di cambiare e pubblicato da Chiarelettere. Si racconta come ha fatto Zapatero in Spagna a sottrarre la tv pubblica al potere dei partiti.

La prima mossa è stata la riduzione dei costi: 4.150 dipendenti, su novemila, mandati a casa con prepensionamenti e indennizzi nel giro di due anni. Debito di 7.551 milioni di euro trasferito allo Stato. E infine, trasformazione dell’ente pubblico in una società anonima pubblica, con capitale statale e autonomia di gestione, sottoposta al controllo del Parlamento.

"Il nuovo modello ? si legge ancora nel libro di Giannella ? prevede la creazione di un consiglio d’amministrazione indipendente con maggiori funzioni e con più responsabilità rispetto al passato. Il consiglio è formato da dodici membri eletti con la maggioranza dei due terzi (quattro dal Senato e otto dalla Camera) e ha un mandato di sei anni in modo da non coincidere con la durata della legislatura. Anche il presidente viene nominato dal Parlamento (in precedenza lo nominava il governo)".

Non è, come si vede, la rivoluzione. Ma soltanto una ragionevole riforma, forse fin troppo graduale e prudente. Nell’Italia di Berlusconi, di Luxuria e di Villari, invece, la Rai è e resta ? per ora ? quella imposta dalla legge Gasparri. Una tv di Stato assoggettata alla partitocrazia, controllata dal governo con la complicità dell’opposizione e la partecipazione straordinaria della sinistra trasgressiva.

(sabatorepubblica.it)


Sul tema, nel sito, si cfr.:

BLOB!!! CHE BEL COLPO DI STATO DOLCE!!! IL POPOLO D’ITALIA IPNOTIZZATO, GIORGIO NAPOLITANO CHE GRIDA "FORZA ITALIA", E SILVIO BERLUSCONI CHE RIDE E RIDE A CREPAPELLE!!! A vergogna del nostro presente, a futura memoria

AL DI LA’ DEL NARCISISMO E DELLA FASCINAZIONE MORTALE DELLO SPECCHIO. A MILANO, LA GRANDE LEZIONE DI RENE’ MAGRITTE.


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