Il regista Gansel nell’«Onda» racconta gli studenti e la violenza
«Sono i figli delle nuove frustrazioni
Uccidono per trascinare giù tutti»
La situazione si è complicata: alle pulsioni naturali si aggiungono le pressioni sociali
di D. Ta. (Corriere della Sera. 12.03.2009)
WINNENDEN (Germania) - Dennis Gansel ha studiato a lungo i comportamenti dei giovani studenti, i meccanismi di gruppo nelle scuole. È il regista de L’Onda («Die Welle»), il film su un esperimento psico-sociologico nel quale un insegnante forza i comportamenti degli alunni e provoca reazioni impensabili, violente, irrazionali. Fino all’epilogo: uno di loro spara contro gli altri compagni e poi si ammazza. In questa intervista, dice che sono le aspettative eccessive che la società getta addosso ai giovani a farne, in qualche caso, killer non solo potenziali. Soprattutto, naturalmente, quando hanno libero accesso alle armi.
Lei si poteva aspettare che un episodio del genere potesse succedere di nuovo in Germania?
«Sono senza parole, sconvolto. Quando abbiamo fatto il film, ci siamo chiesti a lungo se rappresentasse qualcosa di reale. Abbiamo studiato i caratteri delle persone che in passato provocarono stragi simili a Emsdetten e a Erfurt. Ma avevamo dubbi. Oggi non ne ho più: la violenza nelle scuole è diversa da quella di 40 anni fa, è molto reale».
Pensa che sia la scuola a produrre questi risultati, il sistema di selezione tedesco, che già si applica a ragazzi giovani?
«No, in questi casi non si può fare l’errore di essere Küchenpsychologe, psicologi per diletto. Colpisce di più la biografia dei protagonisti, ragazzi con complessi di inferiorità, in qualche caso presi in giro dai loro pari e, soprattutto, sotto una pressione che non sono capaci di sopportare».
Quale pressione?
«Tra i giovani non è strano che ci siano aggressività che hanno bisogno di esplodere, spesso per esprimere le loro frustrazioni. Una volta questo significava fare a pugni. Oggi, la situazione si è complicata perché alle pulsioni naturali si aggiungono le pressioni sociali, il dovere a tutti costi di avere successo, rispondere a richieste sempre più impegnative, preparare il futuro, studiare le lingue. Se, in questo ambiente, un ragazzo non ha la fidanzata, non ha lavoro, non ha amici e magari non è un bravo studente può succedere qualcosa di inspiegabile nella sua psiche».
I giovani sono più esposti?
«Non c’è dubbio. Un teenager ha reazioni diverse, più radicali, più disperate di un adulto. Anche quando quest’ultimo è in crisi, perde il lavoro, deve vivere di contributi sociali».
E il cortocircuito arriva quando hanno accesso alle armi.
«È un problema serio. Cominciato in America, ma poi diventato generale, in Germania, Olanda, Finlandia. Non credevo fosse così facile procurarsi armi, da noi. Invece, durante le ricerche per il mio film, un ragazzo di 16 anni mi ha mostrato come sia semplice procurarsele su Internet. Temo che non sia un problema di leggi, è che sono scesi di molto i freni inibitori».
Media, film violenti, videogiochi: c’entrano?
«È un collegamento che non vedo. È vero che ci sono film, musiche, videogiochi violenti. Ma, finora, i giovani che hanno commesso delitti del genere avevano sempre qualche problema. In questo, la scuola dovrebbe aiutarli, dovrebbe impiegare psicologi che li aiutino. Ma non so se basti».