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FILOSOFIA. IL PENSIERO DELLA COSTITUZIONE E LA COSTITUZIONE DEL PENSIERO

MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! POCO CORAGGIOSI A SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA E A PENSARE BENE "DIO", "IO" E "L’ITALIA", CHI PIÙ CHI MENO, TUTTI VIVONO DENTRO LA PIÙ GRANDE BOLLA SPECULATIVA DELLA STORIA FILOSOFICA E POLITICA ITALIANA, NEL REGNO DI "FORZA ITALIA"!!! Un’inchiesta e una mappa di Francesco Tomatis - a cura di Federico La Sala

Costituzione, art. 54 - Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge
lunedì 22 settembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
Non basta dire come fanno i francesi che la loro nazione è stata colta alla sprovvista. Non si perdona a una nazione, come non si perdona a una donna, il momento di debolezza in cui il primo avventuriero ha potuto farle violenza. Con queste spiegazioni l’enigma non viene risolto, ma soltanto formulato in modo diverso. Rimane da spiegare come una nazione dì 36 milioni di abitanti abbia potuto essere colta alla sprovvista da tre cavalieri di industria e ridotta in schiavitù senza far (...)

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> MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! --- Festival di Filosofia: se la finanza e il denaro fanno sparire le «cose». Chiusa ieri la kermesse modenese dedicata alle «cose» (di Bruno Gravagnuolo)

lunedì 17 settembre 2012


-  Festival di Filosofia: se la finanza e il denaro fanno sparire le «cose»
-  Chiusa ieri la kermesse modenese dedicata alle «cose», nullificate inflazionate o divenute immagini

-  di Bruno Gravagnuolo (l’Unità, 17.09.2012)

TANTO PER COMINCIARE ALL’INIZIO LE COSE NONESISTEVANO. Lo dice anche il Vangelo giovanneo: In principio era il Verbo. E quanto al Genesi le «cose» vengono create ex nihilo con un «sia fatto», mentre ad Adamo vien dato il potere poetante di nominarle, animali inclusi. Ma sapete qual è la novita? Che le cose oggi non esistono più, ridotte come sono a flussi immaginali, campi energetici o a catena di rifiuti non riciclabili, natura inclusa. È questa la percezione che ha animato il festival della filosofia di Modena, Carpi, Sassuolo, apertosi sabato e chiusosi ieri (200 incontri e 40 luoghi diversi) con contributi di Bodei, Baumann, Searle, Latour (da noi anticipato), Latouche, Sloterdijk, Cacciari, Severino e gli implacabili «menù filosofici» di Tullio Gregory.

Percezione del senso di sparizione e vuoto che assalgono gli «enti» e le cose. Non solo perché è l’epoca dei simulacri e della distruzione delle risorse non reintegrabili ma anche perché in fondo a ispirare la kermesse modenese è stato un libro di Remo Bodei, presidente del comitato scientifico, di tre anni fa: La vita della cose (Laterza, pp. 135, Euro 149). Tesi: occorre «decosificare» le cose per riscoprire la vitalità relazionale e l’energia umana in esse. Tramite l’arte e una rinnovata percezione d’esperienza emotiva, che ne faccia cosa e cose pubbliche. Stimolo «umanista» quello di Bodei, che non esaurisce la questione, di cui il libro fu un assaggio, a cominciare da un ermeneutica storica del problema.

E allora ecco un po’ di storia semantica. Intanto la «cosa» come noi la intendiamo merce, utensile, bene proprietario è relativamente moderna. Trapela in Cartesio come res cogitans e res extensa, soggetto e oggetto, e ha qualche antecedente negli scettici antichi, che reputavano gli enti singoli impenetrabili al conoscere (quasi come Kant).

All’inizio si trattava di «enti», del «to-de-ti», il qualcosa, il questo o quello. Oppure in ballo c’era il «to auto pragma», la «cosa stessa», intesa come processo intellettivo che definiva una singolarità, dentro l’universalità della mente e delle «categorie». La res latina poi conserva l’etimo greco di «rein», «parlare» in pubblico. Mentre la Ding germanica viene forse da denken, pensare, deliberare. Insomma, le cose erano fatti relazionali, linguistici. O anche copie e ombre dileguanti di un Eterno, fatto di molteplici essenze. Oppure ancora «feticci»: trasfigurazioni dell’umano in divino e viceversa. Mistero trasparente se si vuole, e non «cosalità» (la «cosa schiavo» come strumento vocale aveva la sacertà naturale di un animale).

Tutto cambia con l’avvento dell’«objectum», e della «cosa» quale «causa» (come da etimo: effetto materiale misurabile). Significa l’oggetto impenetrabile, straniato. Opposto al soggetto. E poi significa il mondo come «immensa raccolta di merci» e utensili interscambiabili: previa esibizione di titolo di credito monetario. Per Marx è il trionfo del valore di scambio e la spettralità delle «forme» allusive e cangianti. E però, è anche accumulo inerte del valore d’uso: arte, collezionismo, musei, estetica del quotidiano, design. La cosa dunque non più «ente» è minacciata da sé stessa: figurazione del valore e del denaro che dilegua, e svilimento e accumulo di valore già usato.

Non basta. La fisica moderna ci mette del suo: le cose come campi di energia, cristalli di particelle sfuggenti. E la rivoluzione linguistica da Saussure a Wittgenstein definirà le cose come puri campi semantici. Infine, con la rivoluzione digitale, accade qualcosa di impensato. E l’entropia «auto-nientificante» delle cose conosce un’ulteriore accelerazione: non contano le cose che si hanno. Ma le «funzioni» alle quali si è in grado di accedere, i «dispositivi» di cui si dispone, per ordinare on demand beni e servizi (rimpiazzabili).

Sparisce il dominio dell’uomo sull’uomo? No. Sta tutto concentrato in due «cose» ben precise: finanza e tecno-informazione (algoritmi, brevetti, motori di ricerca, new media, know-how per manovrare flussi globali ed assemblare). Certo la pioggia e il degrado delle cose consumate perdura. Ma ancor più che al tempo di Marx, le relazioni umane appaiono stregate, da «cose-figure» che appaiono e scompaiono. E che ci guardano e trapassano. Perciò masse arabe imponenti si fanno stregare da atavici «significanti» religiosi: per annichilare «cose blasfeme» che sfuggono e travolgono destini. Morale: riprendiamoci pure la «vita delle cose», come dice Bodei. Purché siano «cose-relazioni»: cioè conoscenza, natura, comunità, immaginazione, cura e desiderio. Ma per questo ci vorrebbe un’altra economia e un’altro nomos, per un altra terra e altre cose, mai viste.


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