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FILOSOFIA. IL PENSIERO DELLA COSTITUZIONE E LA COSTITUZIONE DEL PENSIERO

MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! POCO CORAGGIOSI A SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA E A PENSARE BENE "DIO", "IO" E "L’ITALIA", CHI PIÙ CHI MENO, TUTTI VIVONO DENTRO LA PIÙ GRANDE BOLLA SPECULATIVA DELLA STORIA FILOSOFICA E POLITICA ITALIANA, NEL REGNO DI "FORZA ITALIA"!!! Un’inchiesta e una mappa di Francesco Tomatis - a cura di Federico La Sala

Costituzione, art. 54 - Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge
lunedì 22 settembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
Non basta dire come fanno i francesi che la loro nazione è stata colta alla sprovvista. Non si perdona a una nazione, come non si perdona a una donna, il momento di debolezza in cui il primo avventuriero ha potuto farle violenza. Con queste spiegazioni l’enigma non viene risolto, ma soltanto formulato in modo diverso. Rimane da spiegare come una nazione dì 36 milioni di abitanti abbia potuto essere colta alla sprovvista da tre cavalieri di industria e ridotta in schiavitù senza far (...)

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> MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! --- A che cosa dovremmo essere pronti (di Carlo Sini)

giovedì 29 marzo 2012

A che cosa dovremmo essere pronti

di Carlo Sini (l’Unità, 29.03.2012)

Il presidente del Consiglio ha avanzato l’ipotesi che il Paese non sia pronto: ma pronto a che? Evidentemente a una trasformazione del mondo del lavoro che inevitabilmente comporterebbe (e già comporta) sacrifici economici rilevanti e significative rinunce alla tutela sociale dei lavoratori.

Questo timore che non siamo pronti sembra suggerire l’idea che non saremmo capaci di adeguarci al futuro del mondo che cambia e ai benefici che ne potranno trarre i più lesti e i più dotati di spirito preveggente. Sarà così, ma vorrei osservare che lo sguardo rivolto a un futuro capace di condizionare in maniera drastica il presente non può andare disgiunto da una altrettanto lucida capacità di ricordare il passato. Solo la corretta interpretazione del passato ci aiuta a capire davvero il presente e a valutare il futuro al quale si vorrebbe che gli italiani fossero pronti.

Tra le cose innumerevoli accadute nel passato vorrei ricordare per esempio che il capitalismo europeo realizza da sempre le sue fortune in modi molto squilibrati rispetto alle restanti popolazioni della terra. Diversi anni fa l’economista Hosea Jaffe calcolò, sulla base di dati ufficiali, che il mondo industrializzato produceva il 40% della ricchezza complessiva e ne ricavava un profitto pari al 60%, sottraendo al cosiddetto terzo mondo un 20% di ricchezza da esso prodotto: una cifra enorme. Il nostro benessere era dunque, e ancora è, superiore ai nostri meriti globali e se ora le cose si complicano non c’è da stupire.

Ma il punto è che, come dice la canzone, chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato: non è però il caso di scordare che pochi affaristi, poche istituzioni e governi hanno tratto enorme beneficio dallo squilibrio, mentre le masse dei lavoratori ne sono state rese partecipi in modi non solo parziali e inconsapevoli, ma soprattutto non durevoli. Il medesimo del resto accade ora: coloro che hanno provocato l’attuale crisi, persone e istituzioni, non pagano affatto il conto: lo pagano tutti gli altri. Il che significa che la mentalità che guida la produzione mondiale continuerà a frequentare logiche perverse. Dovremo pertanto aspettarci altre crisi, altri sacrifici e un crescente divorzio tra circolazione di ricchezza apparente, e comunque mostruosamente mal distribuita, e possibilità concrete di fruizione di valori d’uso da parte del mondo dei lavoratori e della società civile nel suo complesso.

Un’altra cosa da non dimenticare in Italia è poi il fallimento della istruzione media e superiore. In molti campi, nel dopoguerra, siamo stati all’avanguardia o addirittura i primi, ma abbiamo perso via via le nostre brillanti posizioni. Non abbiamo saputo proteggere e incrementate le iniziative vincenti, così come abbiamo lasciato che i migliori ingegni emigrassero altrove, sino alla situazione attuale: i giovani, se possono, guardano fuori d’Italia per trovare una formazione efficace, accompagnata dal sostegno delle istituzioni, e per sperare in un futuro lavorativo confortevole. Il fatto è che al benessere complessivo della società, così come esso è cresciuto in Italia dal dopoguerra a oggi, non si è accompagnato un progresso equivalente della cultura generale. Abili consumatori, non siamo stati altrettanto virtuosi nel far crescere le nostre tradizionali capacità intellettuali e morali, lasciando spazio a sacche diffuse di ignoranza e di brutale degrado.

Comprendiamo bene che il nostro attuale governo non ha certo la possibilità di risolvere gli squilibri mondiali e nemmeno quelli del nostro Paese: può solo tamponare una situazione drammatica. Né sembra in grado di avviare una seria riforma della formazione e degli studi: unica possibilità, per il mondo industrializzato, di mantenere una funzione guida nel mondo. Questa triste situazione davvero non giustifica poco credibili lezioni di futuro. Se continua così, l’unica cosa alla quale gli italiani dovranno essere pronti è a veder scivolare il Paese sempre più in basso, senza possibilità di rimedio.


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