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FILOSOFIA. IL PENSIERO DELLA COSTITUZIONE E LA COSTITUZIONE DEL PENSIERO

MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! POCO CORAGGIOSI A SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA E A PENSARE BENE "DIO", "IO" E "L’ITALIA", CHI PIÙ CHI MENO, TUTTI VIVONO DENTRO LA PIÙ GRANDE BOLLA SPECULATIVA DELLA STORIA FILOSOFICA E POLITICA ITALIANA, NEL REGNO DI "FORZA ITALIA"!!! Un’inchiesta e una mappa di Francesco Tomatis - a cura di Federico La Sala

Costituzione, art. 54 - Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge
lunedì 22 settembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
Non basta dire come fanno i francesi che la loro nazione è stata colta alla sprovvista. Non si perdona a una nazione, come non si perdona a una donna, il momento di debolezza in cui il primo avventuriero ha potuto farle violenza. Con queste spiegazioni l’enigma non viene risolto, ma soltanto formulato in modo diverso. Rimane da spiegare come una nazione dì 36 milioni di abitanti abbia potuto essere colta alla sprovvista da tre cavalieri di industria e ridotta in schiavitù senza far (...)

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> MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! --- Non credo che siano spariti «gli intellettuali». Non sono scomparsi ma ora si danno all’intrattenimento (di G. E. Rusconi)

martedì 30 settembre 2014

Non è scomparso ma ora si dà all’intrattenimento

di Gian Enrico Rusconi (La Stampa, 30.09.2014)

Non credo che siano spariti «gli intellettuali». Certamente molti (specialmente di una certa età) sono effettivamente annichiliti dalla loro inattesa irrilevanza. Ma un pugno resiste e fa la sua bella figura nel circuito mediatico: i Cacciari, i Rodotà, i Magris non sono forse «intellettuali»? Certo, resistono solo quelli che fanno parte del giro dei grandi media, pur criticandolo. La maggior parte de- gli altri intellettuali sono o si sento- no fuori gioco.

Ma era davvero molto diverso quando, sino a non molto tempo fa, gli intellettuali interloquivano con la politica «dal suo interno», salvo accorgersi (alcuni di essi) che facevano soltanto tappezzeria per i loro politici di riferimento? In realtà è stata la politica che si è emancipata dai suoi intellettuali.

Prima con l’apparente deferenza della sinistra, poi con l’indifferenza del ventennio berlusconiano che ha artificiosamente esasperato lo scontro culturale e politico. Infine con allegra stra- fottenza è arrivata l’autosufficienza del renzismo.

Il problema non è di carente qualità intellettuale (tanto meno di moralità), ma di una accelerata mutazione dell’intero quadro politico e culturale cui gli intellettuali di tipo tradizio- nale non riescono più a tener testa. Il paradosso è che quanto sta accadendo è stato da tempo da loro stessi preannunciato con toni drammatici, spesso catastrofistici: dissoluzione dei contenuti ideologici («fine delle ideologie»), iper-personalizzazione della politica e carismatismo, etichettati come autoritarismo e populismo e quindi usati come epiteti. E infine l’affermazione inarrestabile della «democrazia mediatica». Adesso che questa si è materializzata compiutamente, i suoi critici ammutoliscono. 0 vengono ammutoliti.

Se si confrontano i concetti di «discorso pubblico», elaborati da un Bobbio, ma anche da un Habermas, con la realtà della comunicazione pubblica effettiva, si vede tutto l’equivoco con cui devono fare i conti gli intellettuali. Si pensi al concetto centrale di «società civile» che da modello normativo è diventato un termine passepartout, inutilizzabile.

Eppure ci sono segnali di tipo diverso che vanno interpretati. Oggi «il pubblico» si ritrova di preferenza in piazza, non solo in quella mediatica addomesticata dai conduttori televisivi, ma in quella reale, raccolta negli innumerevoli festival culturali e iniziative similari.

È lì che ricompare anche l’intellettuale alla ricerca di un nuovo ruolo. C’è il filosofo che intrattiene il pubblico sui sentimenti e sulle passioni; lo storico che narra le vicende in modo seducente senza affaticare la mente con analisi complicate; il politologo che con toni di complicità rivela le malefatte dei politici, facendo sentire gli ascoltatori novelli Machiavelli.

Non sto facendo gratuita ironia. Semplicemente constato che l’intellettuale da intrattenimento ha individuato il suo pubblico, al quale può mettere a disposizione le sue competenze per rivalorizzare il suo ruolo.

Ma se dall’intrattenimento vuol passare a quello che un tempo si chiamava formazione culturale, il suo compito è molto più impegnativo di quello dei vecchi «maestri». Questi disponevano di strutture universitarie di supporto funzionanti e di apparati editoriali al servizio delle loro competenze e del loro prestigio scientifico (non orientati quasi esclusivamente al mercato). Soprattutto c’erano culture politiche ricettive che fungevano da mediazione e da gratificante stimolo agli intellettuali.

Oggi c’è poco o nulla di tutto questo. Piazze piene, librerie vuote - si dice. Forse bisogna passare da qui. Ma per ricostruire un ceto intellettuale di tipo nuovo, competente e autorevole, ci vuole ben altro.


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