Il pensiero sbagliato del signor Berlusconi
Aveva detto che perdere a Milano sarebbe stato “impensabile”.
Il voto dimostra che il premier non conosce la democrazia. E non sa pensare
di Francesca Rigotti, Nadia Urbinati, Nicla Vassallo (l’Unità, 19.05.2011)
Stabilire che cosa sia o non sia pensabile, o impensabile, è, conveniamolo, cosa da filosofi. O da filosofe, e quindi eccoci. Non è faccenda da venditori di fumo. Nemmeno da stregoni pubblicitari. Col pensiero la filosofia tratta dalla sua nascita e qualcosa da dire su ciò che è pensabile o meno ce l’ha. Limitiamoci a sostenere, con efficace minimalismo, che è pensabile ciò di cui si coglie il significato, che si può comprendere, che costituisce materia di conoscenza; ciò che può essere valutato, opinato, stimato, giudicato, deliberato. A meno di non sposare qualche forma di misticismo, l’impensabile corrisponde evidentemente al contrario del pensabile, ovvero a ciò che è assurdo in quanto incomprensibile e inconoscibile: vi è così un senso in cui l’impensabile non può nemmeno venir valutato, giudicato. «Una città (Milano) non governata da noi (del Popolo della Libertà) è impensabile», ha proclamato il Signor B. pochi giorni fa.
Il Signor B. pensa male, ragiona male. Lui, l’unto del Signore, si trova ora di fronte a un miracolo a Milano, che non è né il film di Vittorio De Sica (benché, filosoficamente, sogniamo col giovane protagonista un luogo dove «buongiorno voglia davvero dire buongiorno», luogo che negli ultimi tempi con Milano non riusciva a coincidere), né con quel non-miracolo che sarebbe dovuto risultare impensabile.
L’impensabile del Signor B. non si è ancora realizzato occorre attendere il ballottaggio; un sorta di miracolo, invece, sì e non ne è lui il fautore. Volendo ricorrere a John Locke, questo miracolo somiglia ad altri che, «quando sono ben testimoniati, non solo trovano credito per se stessi ma danno credito anche ad altre verità che hanno bisogno di tale conferma». Ad altre verità che riguardano da vicino la tenuta del governo, la sua plausibilità, nel nostro caso.
«Un miracolo è una violazione delle leggi di natura», obietta David Hume. Il miracolo a Milano ha però semplicemente violato le leggi dell’insulto, della menzogna, del narcisismo, della propaganda, delle promesse disattese. Un miracolo che attesta l’inizio della fine per il Signor B.? In realtà, è la rivincita della democrazia a attestarlo.
Il Signor B. non condivide nulla con Elisabetta I, mentre “la furberia e la pazzia” di quell’uomo non ha prodotto un evento straordinario: o, forse, sì, nel momento in cui l’impensabile-per-lui si avvicina. Ancora con le parole di Hume, «supponete che tutti gli storici che trattano dell’Inghilterra siano d’accordo nel dire che il 10 gennaio 1600 si ebbe la morte della regina Elisabetta e che tanto prima che dopo la morte essa fu vista dai medici e dall’intera corte, come è d’uso per le persone del suo rango; che il suo successore fu riconosciuto e proclamato dal parlamento; e che, dopo essere rimasta sepolta un mese, sia di nuovo riapparsa, abbia ripreso il trono e abbia governato l’Inghilterra per tre anni. Devo confessare che sarei sorpreso della concordanza di tante strane circostante, ma non avrei la minima inclinazione a credere ad un evento così miracoloso. Non dubiterei della sua pretesa morte e delle altre circostanze pubbliche che la seguirono; affermerei soltanto che la morte si era preteso che fosse tale e che né fu una morte reale, né sarebbe stato possibile che lo fosse. Invano mi obiettereste la difficoltà ed anzi l’impossibilità di trarre in inganno il mondo in un affare di tanta importanza, la saggezza e il solido buon senso di quella famosa regina, col minimo giovamento o col nessun giovamento che essa avrebbe potuto trarre da un così meschino artificio. Tutto ciò mi potrà stupire. Ma io risponderei ancora che la furberia e la pazzia degli uomini sono fenomeni tanto comuni che io preferirei credere che gli avvenimenti più straordinari derivino dal loro concorso».
Lo straordinario rimane lui, il Signor B., e vogliamo tanto che sia cosí: unicamente lui, o lui con pochi, a pensare che la democrazia consista solo nel vincere, e non anche nel perdere. Perché è davvero irragionevole considerare il contrario, e quindi rimane sperabile che gli illogici consistano in una minoranza: diversamente, la nostra sarebbe una società governata da folli, e i tiranni (capaci di concepire solo la vittoria, non la sconfitta) sono, appunto, dei folli.
Un governo che si basa sul consenso libero (ed espresso con voto segreto, ovvero protetto dalle tentazioni di raggiro e ricatto dei furbi) è per necessità un sistema aperto, oltre alla partecipazione, al suo esito. Alternanza democratica significa, appunto, accettare di perdere, sapendo che si tratta di una sconfitta temporanea. La bellezza della democrazia consiste nel fatto di garantire a tutti, al Signor B. incluso, l’opportunità di provare e riprovare. E allora, Signor B., è il caso che lei accetti la possibilità di perdere, poiché così potrà pensare di tornare a battagliare. Occorre pensare. Il pensabile. Ah! Che cosa splendida la democrazia, che non nega a nessuno un posto al sole della speranza!
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Francesca Rigotti è Professore di Comunicazione Istituzionale all’Università di Lugano:
Nadia Urbinati è Professore di Teoria Politica alla Columbia University;
Nicla Vassallo è Professore di Filosofia Teoretica presso l’Università di Genova