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L’apologia del berlusconismo - malattia senile del cattolicismo (laico e religioso)

UNA LEZIONE TEOLOGICO-POLITICA DI BAGET BOZZO SU OGNI PROGETTO DI "RIFONDAZIONE COMUNISTA" FUTURA CHE SI VUOLE COME PARTITO. Avanti o popolo alla riscossa. Il populismo trionferà: "Forza Italia"!!! - con una nota di Federico La Sala

domenica 27 luglio 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Don Giuseppe Dossetti disse che, con la Costituzione del ‘48, il popolo italiano aveva abbandonato il suo potere costituente, Berlusconi mostrò che non era così e si pose come alternativa alla Costituzione del ‘48, entrando in conflitto con tutti i poteri di garanzia dal Quirinale, alla Corte Costituzionale, al Csm. Toccò così un difetto essenziale della Costituzione del ‘48: quello di fondare i poteri di garanzia e non quelli di governo.
Sovranità popolare contro Costituzione (...)

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>LEZIONE TEOLOGICO-POLITICA DI BAGET BOZZO. Avanti o popolo alla riscossa. Il populismo trionferà --- L’idea di una “Seconda repubblica”, centrata sull’esecutivo e non sul parlamento, nasce in odio ai partiti nel 1958. Interv. a N. Urbinati (di Gianni Saporetti).

lunedì 3 ottobre 2016

UNA CITTÀ n. 233 / 2016 settembre

Intervista a Nadia Urbinati

LA DEMOCRAZIA APATICA

realizzata da Gianni Saporetti

      • L’idea di una “Seconda repubblica”, centrata sull’esecutivo e non sul parlamento, nasce in odio ai partiti nel 1958, alla caduta del monocolore democristiano e al concomitante avvento in Francia del presidenzialismo gollista; senatori nominati, incriminabili in regione e immuni a Roma, che potranno ritardare i lavori della Camera, cambiare la Costituzione, ma non toccare il governo; la parola “governability” e l’obiettivo del minimo di democrazia. Intervista a Nadia Urbinati.

      • Na­dia Ur­bi­na­ti in­se­gna Teo­ria po­li­ti­ca al­la Co­lum­bia Uni­ver­si­ty di New York. Col­la­bo­ra a va­rie ri­vi­ste di teo­ria e fi­lo­so­fia po­li­ti­ca. Re­cen­te­men­te, con Da­vid Ra­gaz­zo­ni, ha pub­bli­ca­to La ve­ra Se­con­da Re­pub­bli­ca, Raf­fael­lo Cor­ti­na, 2016.

Nel tuo ul­ti­mo li­bro, scrit­to in­sie­me a Da­vid Ra­gaz­zo­ni, ri­co­strui­sci le ori­gi­ni e il per­cor­so com­piu­to in Ita­lia dal­l’i­dea del­la "Se­con­da Re­pub­bli­ca”, un’i­dea per lun­go tem­po mi­no­ri­ta­ria e poi, via via, af­fer­ma­ta­si sem­pre più...

Sì, nel li­bro che ho scrit­to con Ra­gaz­zo­ni di­mo­stria­mo che l’e­spres­sio­ne "Se­con­da Re­pub­bli­ca”, che se­con­do le no­stre ri­cer­che ap­pa­re per la pri­ma vol­ta nel ’58 con la ca­du­ta del mo­no­co­lo­re de­mo­cri­stia­no di De Ga­spe­ri, è una ca­te­go­ria po­li­ti­ca ve­ra e pro­pria che con­tie­ne già tut­ti gli ele­men­ti che poi ca­rat­te­riz­ze­ran­no la Se­con­da Re­pub­bli­ca al­la sua na­sci­ta. E a par­lar­ne so­no al­la fi­ne de­gli an­ni Cin­quan­ta Ran­dol­fo Pac­ciar­di, re­pub­bli­ca­no cac­cia­to dal par­ti­to, Gior­gio Pi­sa­nò, fa­sci­sta, e Ba­get Boz­zo del par­ti­to de­mo­cri­stia­no, il qua­le par­la di de­mo­cra­zia ple­bi­sci­ta­ria e del bi­so­gno di un lea­der del­la prov­vi­den­za. Quan­do Ren­zi di­ce che è da set­tan­t’an­ni che si aspet­ta la ri­for­ma in qual­che mo­do ha ra­gio­ne per­ché già nel­la Co­sti­tuen­te c’e­ra un grup­po di ex mo­nar­chi­ci co­me Lu­ci­fe­ro, o co­mun­que an­ti­de­mo­cra­ti­ci co­me i rap­pre­sen­tan­ti del­l’Uo­mo qua­lun­que che pen­sa­va­no che la de­mo­cra­zia par­la­men­ta­re fos­se una iat­tu­ra per l’I­ta­lia, ca­pa­ce di pro­dur­re so­lo un pes­si­mo go­ver­no, li­ti­gi, com­pro­mes­si e go­ver­ni di coa­li­zio­ne, ov­ve­ro tut­to quel­lo che se­con­do Hans Kel­sen de­no­ta­va la de­mo­cra­zia par­la­men­ta­re mo­der­na. Per lo­ro il bi­ca­me­ra­li­smo e la re­pub­bli­ca as­sem­blea­ri­sta, co­me la chia­ma­va­no, era so­lo il frut­to del­la rea­zio­ne con­tro il fa­sci­smo. Il fa­sci­smo si fon­da­va sul­la cen­tra­li­tà del­l’e­se­cu­ti­vo: la re­pub­bli­ca, per rea­zio­ne si do­ve­va fon­da­re sul­la cen­tra­li­tà del par­la­men­to, ma non an­da­va be­ne.

Quin­di que­st’i­dea che ci vo­glia l’uo­mo del­la prov­vi­den­za non è per nien­te una ba­na­li­tà, è con­se­guen­te a una con­ce­zio­ne del­la po­li­ti­ca pro­fon­da­men­te cri­ti­ca del li­be­ri­smo in­di­vi­dua­li­sta e so­prat­tut­to ti­mo­ro­sa del­la mo­der­ni­tà, ov­ve­ro del­la vi­sio­ne po­li­ti­ca che ve­de nel­la oriz­zon­ta­li­tà del­lo Sta­to mo­der­no (di ma­tri­ce Hob­be­sia­na) ere­di­ta­to dal­la li­be­ral­de­mo­cra­ti­ca un gran­de pro­ble­ma.

La ca­du­ta del mo­no­co­lo­re de­mo­cri­stia­no, con le di­mis­sio­ni di De Ga­spe­ri nel ’58, coin­ci­de con l’av­ven­to in Fran­cia di De Gaul­le, che in quat­tro an­ni con quat­tro ple­bi­sci­ti va­ra la Quin­ta re­pub­bli­ca, cam­bian­do la co­sti­tu­zio­ne in sen­so pre­si­den­zia­li­sta da par­la­men­ta­ri­sta che era. Que­sti due ele­men­ti in­sie­me, ca­du­ta del mo­no­co­lo­re e mo­del­lo gol­li­sta, si spo­sa­no, e den­tro la Dc, som­mes­sa­men­te pri­ma (in una pic­co­la mi­no­ran­za), poi sem­pre di più (so­prat­tut­to ne­gli an­ni Ses­san­ta, a fron­te di una so­cie­tà ci­vi­le che ri­bol­le di mo­vi­men­ti, sem­bra es­se­re anar­chi­ca, di­sob­be­dien­te, pro­ble­ma­ti­ca) si fa stra­da l’i­dea del­la ne­ces­si­tà di un raf­for­za­men­to del­l’e­se­cu­ti­vo; al­lo­ra, quel­la idea gol­li­sta sem­bra po­ter es­se­re la so­lu­zio­ne a tut­ti i pro­ble­mi di in­sta­bi­li­tà, co­me lo­ro la chia­ma­no. È un’i­dea che si fa avan­ti, sem­pre di più. Ba­sta pen­sa­re a Cra­xi.

Da quel­la tra­di­zio­ne vie­ne Bar­be­ra, vie­ne Cec­can­ti, ven­go­no tut­ti co­lo­ro che og­gi vo­glio­no met­te­re fi­ne fi­nal­men­te al­la re­pub­bli­ca an­ti­fa­sci­sta e fa­re una re­pub­bli­ca real­men­te post­fa­sci­sta, che non ab­bia bi­so­gno di es­se­re co­sì oriz­zon­ta­li­sta o, co­me la chia­ma­no, as­sem­blea­ri­sta. A lo­ro av­vi­so ci si può per­met­te­re, do­po tan­to tem­po, di ave­re una vi­sio­ne ver­ti­ci­sti­ca sen­za il ti­mo­re di ca­du­te fa­sci­ste.

Fi­no ai due par­ti­ti più gran­di, la Dc e il Pci?

Ci so­no al­cu­ni mo­men­ti de­ci­si­vi, noi l’ab­bia­mo ri­scon­tra­to ana­liz­zan­do i do­cu­men­ti: pri­ma la mor­te di Mo­ro, che era un gran­de par­la­men­ta­ri­sta oriz­zon­ta­li­sta (am­mi­ra­to­re di Kel­sen), poi quel­la di Ber­lin­guer che, ben­ché non di­sco­no­sces­se la pos­si­bi­li­tà di un mo­no­ca­me­ra­li­smo (co­me tut­ti i gia­co­bi­ni d’o­ri­gi­ne, del re­sto) era pro­fon­da­men­te an­ti­pre­si­den­zia­li­sta e con­tra­rio al­la cen­tra­li­tà del­l’e­se­cu­ti­vo e con­vin­to pro­por­zio­na­li­sta (pro­prio in quan­do mo­no­ca­me­ra­li­sta). La scom­par­sa di que­sti due gran­di pro­ta­go­ni­sti del­la sce­na po­li­ti­ca ha li­be­ra­to co­lo­ro che non ave­va­no fin lì avu­to spa­zio o le­git­ti­mi­tà, e mes­so in mo­to al­l’in­ter­no dei due ri­spet­ti­vi par­ti­ti uno svi­lup­po li­be­ro, sen­za au­to­cen­su­re, di que­sta vi­sio­ne pre­si­den­zia­li­sta, det­ta in mo­do più o me­no espli­ci­to, ma co­mun­que lea­de­ri­sti­ca, o "per un pre­mie­ra­to for­te”, co­me si usa di­re ora. Ci han­no pro­va­to in va­ri mo­di a rea­liz­zar­la. Pri­ma at­tra­ver­so le com­mis­sio­ni, co­me sap­pia­mo, dal 1983, con la pri­ma com­mis­sio­ne Boz­zi e le se­guen­ti, ma sen­za mai riu­scir­ci. Fi­no a che il pro­ble­ma è ri­ma­sto den­tro il par­la­men­to, quin­di con i par­ti­ti che si fa­ce­va­no lot­ta l’u­no con­tro l’al­tro per non da­re a nes­su­no, di­cia­mo co­sì, il ri­co­no­sci­men­to del­la vit­to­ria, i ve­ti in­cro­cia­ti han­no im­pe­di­to che an­das­se in por­to. Quan­do l’i­ni­zia­ti­va è par­ti­ta dal go­ver­no ce l’ha fat­ta in tut­ti e due ca­si, con Ber­lu­sco­ni pri­ma e ades­so con Ren­zi. Par­ti­te dal go­ver­no, que­ste pro­po­ste rie­sco­no ad ave­re mag­gio­ran­za par­la­men­ta­re. Pe­rò è si­gni­fi­ca­ti­vo che fi­no a che la di­scus­sio­ne sul­la Se­con­da Re­pub­bli­ca sta den­tro il par­la­men­to il pre­si­den­zia­li­smo non rie­sce a na­sce­re; per­ché na­sca (in for­ma espli­ci­ta o im­pli­ci­ta, co­me quel­la odier­na) c’è bi­so­gno che sia il ca­po del­l’e­se­cu­ti­vo e il suo go­ver­no a met­ter­si al­la te­sta del­la re­vi­sio­ne co­sti­tu­zio­na­le per far­la pas­sa­re.

Ma gli stes­si par­ti­ti, per co­me era­no or­ga­niz­za­ti, era­no for­se un de­ter­ren­te al pre­si­den­zia­li­smo...

In­fat­ti e que­sta è la se­con­da co­sa in­te­res­san­te da sot­to­li­nea­re: tut­to que­sto pro­ces­so di Se­con­da Re­pub­bli­ca, ov­ve­ro di fi­ne del­la re­pub­bli­ca as­sem­blea­ri­sta, o par­la­men­ta­ri­sta pu­ra, non cor­ret­ta dal ca­ri­sma (co­me ac­cen­na­vo pri­ma, que­sto ades­so so­la­men­te im­pli­ci­to, ma ba­ste­reb­be un toc­co di mu­ta­men­to e sa­reb­be già un pre­si­den­zia­li­smo ve­ro) si è fat­ta avan­ti man ma­no che i par­ti­ti so­no de­ca­du­ti nel­la lo­ro dia­let­ti­ca, nel­la lo­ro le­git­ti­mi­tà. Quin­di più i par­ti­ti era­no for­ti o di mas­sa più que­sta idea era de­bo­le; più i par­ti­ti si so­no in­de­bo­li­ti e fat­ti so­lo di elet­ti o am­mi­ni­stra­to­ri più que­sta idea si è fat­ta avan­ti, qua­si au­to­no­ma­men­te, co­me una mac­chi­na che pren­de ve­lo­ci­tà. Do­po il ‘92 i par­ti­ti che non so­no scom­par­si, so­no sfi­bra­ti e sen­za le­git­ti­mi­tà po­li­ti­ca, usa­no l’i­deo­lo­gia del­la Se­con­da Re­pub­bli­ca co­me sal­va­gen­te per co­strui­re pro­get­ti po­li­ti­ci che non han­no più. Non è un ca­so che que­sta ri­for­ma sia pas­sa­ta in par­la­men­to in ma­nie­ra ver­go­gno­sa, con va­rie mag­gio­ran­ze, ad­di­rit­tu­ra con vo­ti di fi­du­cia!, do­ve tut­ti, in pra­ti­ca, han­no con­tri­bui­to a far­la, per­ché è sta­ta vi­sta co­me la sal­vez­za per par­ti­ti che or­mai so­no so­lo par­ti­ti isti­tu­zio­na­li, "par­ti­ti car­tel­lo” che han­no nel­le isti­tu­zio­ni l’u­ni­co lo­ro ag­gan­cio di po­te­re, un ag­gan­cio che de­ve es­se­re tan­to più for­te quan­to più de­bo­le è quel­lo con la so­cie­tà; quin­di for­tis­si­mo, per­ché fuo­ri i par­ti­ti non ci so­no più. I cir­co­li del Pd so­no una co­sa di fac­cia­ta. Quin­di so­lo se in­car­di­na­ti nel­le isti­tu­zio­ni, isti­tu­zio­ni cam­bia­te al­l’uo­po ov­via­men­te, i par­ti­ti han­no l’u­ni­co mo­do per sal­va­re se stes­si. La mag­gio­ran­za ot­te­nu­ta in un’e­le­zio­ne, qua­le che sia la par­te­ci­pa­zio­ne elet­to­ra­le, co­sa com­ple­ta­men­te ir­ri­le­van­te, si do­vrà in­car­di­na­re for­te­men­te, strut­tu­ral­men­te al­l’in­ter­no del­lo Sta­to at­tra­ver­so un mec­ca­ni­smo per cui chi vin­ce pren­de tut­to o qua­si. E lo pren­de sen­za bi­so­gno che nel­la so­cie­tà sia pre­sen­te o sia qual­co­sa. Può es­se­re an­che nien­te nel­la so­cie­tà. Un si­gnor no può ar­ri­va­re a co­strui­re la sua mag­gio­ran­za e avrà un po­te­re straor­di­na­rio nel­le isti­tu­zio­ni sen­za esi­ste­re fuo­ri.

Que­sta co­sa è mol­to in­te­res­san­te per­ché par­ti­ti co­sì eva­ne­scen­ti dal pun­to di vi­sta del­la pre­sen­za nel­la so­cie­tà ci­vi­le avran­no la pos­si­bi­li­tà di in­car­di­na­re se stes­si nel­le isti­tu­zio­ni, quan­do vin­co­no; ma quan­do per­do­no e di­ven­ta­no com­ple­ta­men­te ir­ri­le­van­ti in par­la­men­to, cer­che­ran­no di eser­ci­ta­re l’u­ni­co po­te­re che po­tran­no an­co­ra eser­ci­ta­re, quel­lo di ri­cat­to, che sa­rà sem­pre più for­te per­ché an­che le mag­gio­ran­ze mo­no­co­lo­ri o gra­ni­ti­che co­me le pre­fi­gu­ra il pre­mier Ren­zi sa­ran­no at­tra­ver­sa­te da fa­zio­ni, ri­cat­ti, pre­te­se... Que­sta sa­rà la lo­gi­ca oli­gar­chi­ca del­la Se­con­da Re­pub­bli­ca, una lo­gi­ca an­ti­de­mo­cra­ti­ca nel­lo spi­ri­to, con par­ti­ti om­bra di se stes­si, ri­dot­ti a es­se­re un in­sie­me di per­so­nag­gi di po­te­re.

Ri­spet­to a que­sto pro­ble­ma pen­so che la spac­ca­tu­ra tra isti­tu­zio­ni e cit­ta­di­ni e tra par­ti­ti isti­tu­zio­na­li e cit­ta­di­ni sia ta­le che vo­ta­re "no” og­gi si­gni­fi­chi vo­ta­re per la no­stra cit­ta­di­nan­za. Noi ab­bia­mo già vi­sto co­sa vuol di­re ave­re una cit­ta­di­nan­za sen­za vo­ce. L’ab­bia­mo vi­sto coi re­fe­ren­dum, l’ab­bia­mo vi­sto con l’a­sten­sio­ni­smo elet­to­ra­le che ar­ri­va al 70 per cen­to in al­cu­ne re­gio­ni co­me l’E­mi­lia-Ro­ma­gna, che pe­rò non fa as­so­lu­ta­men­te più no­ti­zia, non in­ci­de più. In que­sto sen­so la ri­for­ma del­la Co­sti­tu­zio­ne è una pre­sa d’at­to, è una co­di­fi­ca­zio­ne di un fe­no­me­no e di un pro­ces­so che già esi­ste in so­cie­tà, pro­fon­do, quel­lo di una for­ma di elet­to-oli­gar­chia. E que­sto sa­rà un pro­ble­ma se­ris­si­mo per l’in­te­ra le­git­ti­mi­tà del si­ste­ma.

Per­ché que­sto?

Ma per­ché in que­sto bai­lam­me di di­stru­zio­ne del­l’e­ti­ca pub­bli­ca, fi­no­ra al­me­no le isti­tu­zio­ni ave­va­no ret­to. Han­no ret­to con ven­t’an­ni di schi­fez­za ber­lu­sco­nia­na, e pri­ma di al­lo­ra han­no sa­pu­to re­si­ste­re al ter­ro­ri­smo e scon­fig­ger­lo, han­no ret­to ne­gli an­ni di Ma­ni pu­li­te. E han­no man­te­nu­to an­co­ra un’au­ra di im­par­zia­li­tà e di su­pe­rio­ri­tà ri­spet­to al­le par­ti. Ma quan­do le par­ti le oc­cu­pe­ran­no di­ret­ta­men­te, co­me av­ver­rà con que­sta ri­for­ma com­bi­na­ta elet­to­ra­le e co­sti­tu­zio­na­le, lo Sta­to stes­so per­de­rà la sua au­ra di im­par­zia­li­tà e su­pe­rio­ri­tà ri­spet­to al­le par­ti; e a quel pun­to la cri­si di le­git­ti­mi­tà dal­la opi­nio­ne tra­ci­me­rà al­le isti­tu­zio­ni. Al­lo­ra, per­ché io de­vo ob­be­di­re o de­vo sen­ti­re di ave­re dei do­ve­ri ri­spet­to a chi? A chi oc­cu­pa le isti­tu­zio­ni? A chi fa leg­gi per sé?

Quin­di il ri­schio che a una cri­si dei par­ti­ti ri­sol­ta in que­sto mo­do oc­cu­pa­zio­na­le del­le isti­tu­zio­ni, se­gua an­che la cri­si di le­git­ti­mi­tà del­le isti­tu­zio­ni sta­ta­li è for­tis­si­mo.

Tu stes­sa di­ci che il bi­ca­me­ra­li­smo per­fet­to po­treb­be es­se­re an­che cor­ret­to. Il Se­na­to pro­po­sto va nel­la di­re­zio­ne di cui stia­mo par­lan­do o è so­lo una co­sa scon­clu­sio­na­ta?

È ve­ro che la de­mo­cra­zia rap­pre­sen­ta­ti­va non de­ve ne­ces­sa­ria­men­te es­se­re bi­ca­me­ra­le. Co­me ho già det­to noi ab­bia­mo avu­to due gros­se tra­di­zio­ni del Set­te­cen­to, una li­be­ra­le, pro­fon­da­men­te ti­mo­ro­sa del­le mag­gio­ran­ze e del­le ti­ran­nie del­le mag­gio­ran­ze, che vuo­le due ca­me­re, una di le­gi­sla­zio­ne e una di con­te­ni­men­to, di li­mi­ta­zio­ne e di con­trol­lo, e ab­bia­mo avu­to l’al­tra tra­di­zio­ne, quel­la gia­co­bi­na, fa­vo­re­vo­le a una ca­me­ra so­la. A par­te che for­se non ab­bia­mo ama­to mol­to gli esi­ti gia­co­bi­ni del­la de­mo­cra­zia ri­vo­lu­zio­na­ria, ma es­si stes­si so­no sta­ti cor­ret­ti nel cor­so del tem­po con for­me di li­mi­ta­zio­ne del po­te­re del­la mag­gio­ran­za par­la­men­ta­re mo­no­ca­me­ra­le. Quin­di non c’è dub­bio che il bi­ca­me­ra­li­smo au­men­ta la fun­zio­ne di con­trol­lo. Ora, co­sa suc­ce­de con la ri­for­ma Ren­zi-Bo­schi? In­tan­to non è ve­ro che scom­pa­io­no le due ca­me­re, le due ca­me­re re­sta­no, re­sta il Se­na­to, pe­rò con una fun­zio­ne che non è so­lo con­fu­sa (e lo è tan­to, vi­sto che avrà bi­so­gno di una leg­ge or­di­na­ria per di­ven­ta­re ef­fet­ti­va; an­che que­sto è un fat­to straor­di­na­rio, che una leg­ge co­sti­tu­zio­na­le sia zop­pa di suo quan­do na­sce e ri­man­di a una leg­ge or­di­na­ria è ve­ra­men­te un os­si­mo­ro) ma cer­ta­men­te non ha la fun­zio­ne di li­mi­ta­re il po­te­re del go­ver­no, per­ché non en­tra nel­la que­stio­ne di fi­du­cia. Quel­lo che può fa­re è al­lun­ga­re i tem­pi di de­ci­sio­ne par­la­men­ta­re; que­sto sì, per­ché le pro­ce­du­re di in­ter­ven­to che può met­te­re in at­to, per bloc­ca­re e far ria­pri­re una di­scus­sio­ne di leg­ge, so­no va­rie. Quin­di que­sta se­con­da ca­me­ra po­trà bloc­ca­re l’at­ti­vi­tà del par­la­men­to per lun­go tem­po. Al­tro che ce­le­ri­tà! Ma que­sto al go­ver­no non in­te­res­sa, an­zi! Va be­ne pur­ché non va­da a li­mi­ta­re il po­te­re del go­ver­no, co­me ap­pun­to sa­rà. Il go­ver­no sa­rà li­be­ro di fa­re quel­lo che vuo­le, è il par­la­men­to che sa­rà sem­pre più im­po­ten­te e con un Se­na­to con­fu­so e che pe­rò po­trà al­lun­ga­re i tem­pi del suo la­vo­ro... e por­ta­re l’ac­qua al mu­li­no del­l’e­se­cu­ti­vo, che po­trà in­ve­ce van­ta­re ce­le­ri­tà.

La se­con­da ca­rat­te­ri­sti­ca di que­sto Se­na­to, a mio av­vi­so è che que­sti per­so­nag­gi che lo com­por­ran­no, pur non aven­do al­cun po­te­re di par­te­ci­pa­re al­la le­gi­sla­zio­ne in ma­nie­ra di­ret­ta, han­no quel­lo di con­di­zio­nar­la in­di­ret­ta­men­te, ral­len­tan­do­ne i la­vo­ri, ri­cat­tan­do, e go­dran­no inol­tre del­l’im­mu­ni­tà par­la­men­ta­re. Qual­cu­no ne ca­pi­sce la ra­gio­ne? Co­me am­mi­ni­stra­to­ri re­gio­na­li non so­no im­mu­ni, ma quan­do ar­ri­va­no a Ro­ma di­ven­ta­no im­mu­ni! La ra­gio­ne che lo­ro ad­du­co­no è che a Ro­ma so­no con­si­de­ra­ti per la lo­ro fun­zio­ne se­na­to­ria­le non per la lo­ro fun­zio­ne re­gio­na­le. Ma so­no le stes­se per­so­ne che si por­ta­no die­tro lo stes­so ca­ri­co di più o me­no mar­ca­ta di­so­ne­stà!

La ter­za ca­rat­te­ri­sti­ca di que­sto brut­to bi­ca­me­ra­li­smo è il fat­to che que­sti se­na­to­ri, pur non aven­do al­cun po­te­re di fer­ma­re l’e­se­cu­ti­vo, avran­no la pos­si­bi­li­tà di in­ter­ve­ni­re di­ret­ta­men­te sul­la Co­sti­tu­zio­ne. Io que­sto lo tro­vo ad­di­rit­tu­ra scan­da­lo­so. Non es­sen­do elet­ti, se non in­di­ret­ta­men­te, cioè no­mi­na­ti, non pro­ve­nien­ti dal se­me del­la so­vra­ni­tà na­zio­na­le, po­tran­no in­ter­ve­ni­re sul te­sto più im­por­tan­te, la Co­sti­tu­zio­ne. Non po­tran­no in­ter­ve­ni­re sul­l’at­ti­vi­tà del go­ver­no ma sul­la no­stra Co­sti­tu­zio­ne sì, sen­za che noi li ab­bia­mo elet­ti di­ret­ta­men­te. An­che que­sto al­la fi­ne di­mo­stra una co­sa so­la: che per que­sta ri­for­ma co­sti­tu­zio­na­le la prio­ri­tà è l’a­zio­ne del go­ver­no e tut­to il re­sto è se­con­da­rio. E la se­con­da­rie­tà è tan­to più for­te quan­to più i par­ti­ti so­no so­lo nel­le isti­tu­zio­ni, lon­ta­ni da noi. In pri­mo pia­no c’è l’e­se­cu­ti­vo, in se­con­do pia­no il par­la­men­to, in ter­zo pia­no i cit­ta­di­ni e la Co­sti­tu­zio­ne, e que­st’ul­ti­mo è il pia­no su cui po­tran­no in­ter­ve­ni­re i se­na­to­ri, ma sul pre­si­den­te del con­si­glio no. C’è una pre­fe­ren­za chia­ra per il po­te­re de­le­ga­to, per il go­ver­no cioè. Il go­ver­no non è de­mo­cra­ti­ca­men­te elet­to, è for­ma­to dal par­la­men­to, non vie­ne di­ret­ta­men­te da noi, ed è un po­te­re che ha a che fa­re con la ge­stio­ne del­le for­ze re­pres­si­ve e coer­ci­ti­ve e che ope­ra nel set­to­re del­l’am­mi­ni­stra­zio­ne, nel­la strut­tu­ra, cioè, più an­ti­de­mo­cra­ti­ca del­lo Sta­to. Lì va la pre­fe­ren­za di que­sta ri­for­ma. Tut­to quel­lo che è de­mo­cra­ti­ca­men­te elet­to è di se­con­da­ria im­por­tan­za. La nuo­va nor­ma­ti­va par­la da so­la.

Quar­ta ra­gio­ne per es­se­re pre­oc­cu­pa­ti per que­sto nuo­vo Se­na­to è il nu­me­ro. Non sap­pia­mo an­co­ra quan­ti sa­ran­no i se­na­to­ri. An­che qui: si di­ce che ver­ran­no da­ti in rap­por­to al­le re­gio­ni, ma ci so­no re­gio­ni con mi­lio­ni di abi­tan­ti e re­gio­ni con cen­ti­na­ia di mi­glia­ia di abi­tan­ti. Que­sto sa­rà un pro­ble­ma se­ris­si­mo; non sia­mo una fe­de­ra­zio­ne, non ab­bia­mo un Se­na­to ame­ri­ca­no do­ve ogni re­gio­ne in­di­pen­den­te­men­te dal nu­me­ro di abi­tan­ti ha due se­na­to­ri. Ci sa­rà un pro­ble­ma se­rio nel­l’at­tri­bu­zio­ne del nu­me­ro dei se­na­to­ri. Poi le cit­tà me­tro­po­li­ta­ne: quan­te so­no? An­che quel­le avran­no la lo­ro rap­pre­sen­tan­za. E chi abi­ta fuo­ri dai con­fi­ni del­le cit­tà me­tro­po­li­ta­ne?

In­fi­ne, l’ul­ti­mo aspet­to, che for­se gri­da più ven­det­ta di tut­ti: il Pre­si­den­te del­la re­pub­bli­ca sen­za al­cu­na ra­gio­ne o giu­sti­fi­ca­zio­ne po­trà no­mi­na­re cin­que se­na­to­ri che non so­no a vi­ta ma de­ca­dran­no con lui. Avrà cioè un bor­si­no di cin­que vo­ti. Ma per­ché il Pre­si­den­te de­ve ave­re una sua rap­pre­sen­tan­za per­so­na­le in Se­na­to? Chi sa­ran­no poi? Per­so­nag­gi ri­co­no­sciu­ti, ce­le­bri o co­mun­que che dan­no lu­stro al­lo sta­to? Ma se dan­no lu­stro non lo dan­no per cin­que o set­te an­ni, lo dan­no per sem­pre. Io già ero con­tra­ria ai se­na­to­ri a vi­ta, ma ora c’è un aspet­to che sem­bra pa­tri­mo­nia­li­sta co­me il da­re al Pre­si­den­te un pos­ses­so di cin­que vo­ti. Quin­di il Pre­si­den­te avrà un po­te­re di trat­ta­ti­va e an­che di ri­cat­to al­l’e­ve­nien­za.

Con­si­de­ran­do poi il trai­no che, con la nuo­va leg­ge elet­to­ra­le, la mag­gio­ran­za eser­ci­te­rà sul­le ca­ri­che elet­ti­ve isti­tu­zio­na­li, dal­la pre­si­den­za del­la re­pub­bli­ca ai mem­bri lai­ci del­la Cor­te co­sti­tu­zio­na­le, a que­sto pun­to noi ab­bia­mo di­se­gna­to un nuo­vo sta­to. Non è una sem­pli­ce re­vi­sio­ne co­sti­tu­zio­na­le. Que­sta è un’al­tra Co­sti­tu­zio­ne.

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