di Filippo Gentiloni (il manifesto, 31 luglio 2012)
Nella vita politica italiana la presenza del cattolicesimo è certamente diminuita, anche perché non c’è più un partito che rappresenti gli interessi dei cattolici. Una presenza diminuita , ma certamente forte, vistosa, forse anche talvolta ingombrante. Lo confermano alcuni interventi recenti, pesanti e discutibili. Penso alle reazioni cattoliche contro le aperture milanesi sul matrimonio. Penso alle ripercussioni, inevitabili anche in Italia, degli scandali vaticani che ormai hanno avuto echi in tutto il mondo. Penso anche a vicende e accuse che hanno coinvolto autorevoli esponenti cattolici come il presidente della regione Lombardia.
Che dire allora della presenza cattolica nella vita pubblica italiana? E quale è il rapporto fra la vita pubblica e quella strettamente religiosa dei cattolici? E’ difficile dirlo, anche perché si dovrebbe misurare la frequenza alla Messa domenicale, ai sacramenti, ai Battesimi, ai matrimoni religiosi etc..
Un dato chiaro è quello riguardo ai matrimoni: aumentano vistosamente i matrimoni civili, i divorzi, le unioni di fatto, le richieste di nuove nozze. Il cattolicesimo italiano, quindi, non può che sentirsi in crisi.
Nelle alte sfere non si parla, però, di crisi, né sembra che si realizzino forme di cure. L’impegno cattolico, al di là di quello immediato quotidiano, si realizza soprattutto nel campo dell’assistenza, dove c’è un grande bisogno e dove il cattolicesimo manifesta tradizionalmente grandi capacità e, bisogna aggiungere, dove il mondo laico è piuttosto insufficiente. I vecchi, i malati, i poveri rappresentano il grande campo di lavoro nel quale il mondo cattolico è più presente e spesso addirittura insostituibile.
Non è tanto in crisi, dunque, in Italia la presenza cattolica; è in crisi, piuttosto, quell’annuncio del «Regno di Dio» che il mondo cattolico dovrebbe proclamare e non riesce a diffondere con convinzione