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EDIPO. Il disagio della civiltà e lo spirito critico...

ANTIGONE E IL NOSTRO PRESENTE STORICO. LA LEZIONE DI SOFOCLE. Una riflessione di Franco Cordero - a cura di Federico La Sala

mercoledì 26 marzo 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] In sede etica e politica semina idee capitali, talvolta fraintese, questo trentaduesimo dramma con cui Sofocle vince il concorso dell’anno 442 a C.: lo Stato non incarna valori assoluti, anzi cova grovigli d’interessi impuri; siamo animali deboli, con midolla manipolabili, vedi quel coro pieghevole, quindi l’unico scudo contro le sbornie comunitarie è l’analisi critica. Chiunque li detti, i dogmi non meritano il sacrificium intellectus, tanto meno quando servano interessi (...)

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> ANTIGONE E IL NOSTRO PRESENTE STORICO. LA LEZIONE DI SOFOCLE. Una riflessione di Franco Cordero - .... La grande Antigone ritradotta propone la verità della «pietas» (di Marco Roncalli).

sabato 7 giugno 2008

La grande Antigone ritradotta propone la verità della «pietas»

di MARCO RONCALLI (Avvenire, 07.06.2008)

Una ragazza affronta la mor­te per non tradire la pietà verso i defunti: ha infranto il divieto di seppellire il corpo di un traditore, quello del fratello, ca­duto combattendo contro la sua stessa patria. Lo fa per impulso di coscienza, ma anche per un dove­re sancito da leggi non scritte: quelle divine, della pietas, immu­tabili, in contrasto con quelle u­mane personificate dal re di Tebe.

Sì, è la trama dell’Antigone di Sofo­cle: l’individuazione di cosa è as­soluto dentro una coscienza libera .E dove possiamo leggere un con­flitto aperto 25 secoli dopo: le nor­me visibili scritte e quelle invisibi­li, incise nell’anima; le ragioni del­la giustizia e la ragion di stato; i va­lori della collettività e della fami­glia, della ragione e del cuore, della natura e della cultura, la logica dello status quo e della disobbe­dienza innovatrice. Concepito in un periodo di pace, fra le guerre persiane e quella del Peloponneso, il capolavoro lascia spazio a tante chiavi ermeneutiche: tra, politica, etica, religione, e...diritto. Perché è legge il nomos della polis o dell’agorà, ma lo sono anche i va­lori dell’oikos, la giustizia di Dike.

Perché il fluire della vita dentro la città ha bisogno di patti sociali, ma prima degli artifici caduchi viene la pre-potenza dell’animo. Ecco perché i profili disegualmente tra­gici di Creonte e di Antigone si sta­gliano anche al nostro orizzonte e questo testo della civiltà ateniese del V° secolo, continua a parlarci ai giorni nostri (anche quando c’in­terroghiamo sul Potere). Ha scritto Giovanni Raboni che «tradurre un simile capolavoro, dare a questa e­terna e terribile querelle le parole della propria lingua (...), è un’im­presa talmente temeraria che la si può compiere solo in uno stato di euforica incoscienza». Eppure è lunga la catena dei temerari (ven­gono in mente Hölderlin ed Ettore Romagnoli, Filippo Maria Pontani o Giovanni Cerri, Massimo Caccia­ri e lo stesso Raboni...). Raramente altri testi hanno sedotto tanti intel­lettuali e studiosi. Non ha resistito neanche Gian Enrico Manzoni, docente dell’Università Cattolica e autore di saggi su Omero e Sofocle, Virgilio e Ovidio. Il quale però ha saputo resistere alle opposte ten­tazioni dell’arcaismo o dell’attua­lizzazione. Ed ecco allora - testo greco a fronte - una versione che si rivela godibile da un largo pubbli­co, al quale il traduttore offre qui una pregevole introduzione, un’annotazione sobria e alcune appendici. Corredi che accennano osservazioni linguistiche, vagliano attestazioni storico-letterarie, de­codificano velate allusioni, ma so­prattutto ci mostrano l’uomo: del quale «nulla è più grandioso e ter­ribile » ( deinóteron). L’uomo, ovve­ro colui che al contempo è éupolis (fa grande la patria) e ápolis (senza patria), pantopóros (capace di tut­to dal punto di vista del movimen­to) e áporos (incapace di muoversi, bloccato). Ed è la condizione uma­na ciò che resta oltre la tessitura linguistica della traduzione, l’an­damento dialettico senza concilia­zione della tragedia, oltre la valen­za


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