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EDIPO. Il disagio della civiltà e lo spirito critico...

ANTIGONE E IL NOSTRO PRESENTE STORICO. LA LEZIONE DI SOFOCLE. Una riflessione di Franco Cordero - a cura di Federico La Sala

mercoledì 26 marzo 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] In sede etica e politica semina idee capitali, talvolta fraintese, questo trentaduesimo dramma con cui Sofocle vince il concorso dell’anno 442 a C.: lo Stato non incarna valori assoluti, anzi cova grovigli d’interessi impuri; siamo animali deboli, con midolla manipolabili, vedi quel coro pieghevole, quindi l’unico scudo contro le sbornie comunitarie è l’analisi critica. Chiunque li detti, i dogmi non meritano il sacrificium intellectus, tanto meno quando servano interessi (...)

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> ANTIGONE E IL NOSTRO PRESENTE STORICO. --- Sofocle, la colpa e la ribellione Da Freud a Brecht, i personaggi di Edipo e Antigone restano due punti fermi della cultura contemporanea (di Daniele Puccini).

mercoledì 7 marzo 2012

Sofocle, la colpa e la ribellione

Da Freud a Brecht, i personaggi di Edipo e Antigone restano due punti fermi della cultura contemporanea

di Daniele Piccini (Corriere della Sera, 07.03.2012)

È il 15 ottobre del 1897 quando per la prima volta Sigmund Freud, scrivendo a Wilhelm Fliess, fa riferimento all’Edipo re di Sofocle per avvalorare la sua teoria dei rapporti familiari, incentrata su quello che chiamerà poi il complesso di Edipo. La tragedia, come Freud precisò in seguito, sarebbe qualcosa come la materializzazione di un sogno, che mette in scena la pulsione del personaggio all’amore per la madre e all’odio omicida per il padre e li rappresenta come effettivamente avvenuti, scatenando il senso di colpa e la catastrofe: una trama, dunque, che permetterebbe di leggere l’abisso dell’inconscio, le pulsioni di una fase dello sviluppo infantile. La tragedia di Sofocle, rappresentata forse tra il 430 e il 425 a.C., diventa la matrice di una delle più celebri teorie della psicanalisi, inaugurando un ricchissimo filone di interpretazioni e di riscritture.

Era giusta o forzosa la lettura freudiana, il suo catturare la complessa materia dell’Edipo re, inchiodandola alla definizione del complesso edipico? Molti hanno accettato la traccia interpretativa, altri vi si sono opposti, considerandola un tradimento dell’originaria verità della tragedia (ad esempio Jean-Pierre Vernant).

Basta leggere il libro ricco e denso di Guido Paduano, Lunga storia di Edipo re. Freud, Sofocle e il teatro occidentale, per rendersi conto della vastissima trama esegetica e interpretativa che ha preso ad oggetto Edipo, così come del ventaglio di riscritture, variazioni, adattamenti che esso ha generato, in epoca antica e moderna: dall’Oedipus di Seneca a Corneille, da Hugo von Hofmannsthal a Pasolini e Testori.

Il fascio di luce, concentrato e unidirezionale, gettato dal fondatore della psicanalisi sulla tragedia obbliga a prendere atto di una circostanza, «che non è mai stato forse compiuto nessun altro così profondo e impegnativo, così rischioso e commovente, atto di fiducia nella letteratura e nel suo valore di verità» (Paduano). Vale a dire che Freud trattò le ombre dell’irripetibile stagione tragica ateniese come cose salde, accettando il potenziale veritativo dell’opera di Sofocle (vissuto per ben novant’anni, tra il 496 e il 406 a.C., nell’Atene democratica). Con ciò ci obbliga a considerare la prepotente forza semantica della tragedia, giacimento di senso pressoché inesauribile.

Il meccanismo edipico enucleato da Freud è rinvenibile nella tragedia, ma essa non vi si esaurisce, pronta a liberare nuovi significati. Certo, la lettura freudiana può vantare appoggi e indizi sparsi nell’Edipo re, come quando Giocasta, proprio nel tentativo di dissuadere Edipo dalla sua pervicace indagine, gli dice: «Tanti uomini prima d’oggi si sono congiunti in sogno con la propria madre».

Ma d’altra parte la tragedia è anche altro: è sottolineatura di una radicale ironia tragica, che vede il detentore del potere trascinato da un potere verticale e inconoscibile, il decifratore di enigmi incapace di decifrare se stesso; è evocazione della fatalità del furore divino, di cui gli uomini sono succubi, sebbene Edipo collabori attivamente, per smania di conoscere, alla propria distruzione; è riflessione sul potere che scivola verso la chiusura e la tirannide.

Il dato che balza in evidenza, nell’osservare il brulicare di letture e controinterpretazioni, è che il fondo dell’opera è inattingibile: Edipo re è voce del paradosso, della fragilità che si scopre tale sotto armature di regalità, è inchiesta rovinosa e monito sull’abissalità del volere divino, sulla perentorietà della profezia; è creatura viva e non infilzata negli album di una storiografia letteraria (o psicanalitica) pacificamente risolta. È, insomma, avventura intellettuale in movimento.

Non minore capacità di parlare attraverso i secoli e le culture (arrivando a interessare quella cristiana) è da riconoscersi all’eroina, inflessibile quanto il fratello-padre Edipo, che dà il titolo alla tragedia rappresentata nel 442 a.C.: Antigone.

Coinvolta nella terribile catastrofe paterna (è evocata in chiusa dell’Edipo re, cronologicamente successivo), è lei che nell’Edipo a Colono accompagna il genitore cieco in esilio. Nella tragedia che la vede protagonista si oppone al nuovo re di Tebe, Creonte (suo zio), che dopo la vicendevole uccisione di Eteocle e Polinice, fratelli di Antigone, permette di seppellire il primo, ma non il secondo, considerato per il suo assalto a Tebe traditore della patria. Antigone decide di dare sepoltura al corpo di Polinice nonostante il bando del re, incarnando quello spirito della «sorellanza» tanto caro ai lettori idealisti e romantici, che imposero il mito moderno della tragedia.

La conflittualità tra le due istanze è radicale: Creonte parla in nome del rispetto delle leggi umane, giuste o ingiuste che siano, e scivola verso la tirannia; Antigone è accesa di folle devozione per le leggi non scritte degli dei: stoltezza apparente che si nutre di ragione profonda. Le opposte inflessibilità confliggono e non c’è tempo, secondo il demone tragico, per accordarle.

Perciò Antigone brilla nel breve spazio della sua obiezione: personaggio che il Novecento ha rivestito (con Brecht, ad esempio) del motivo della resistenza allo Stato totalitario oppure ha rivisitato obliquamente, quasi come una creatura invasata e consacrata alla morte (così in Ritsos, che la fa rievocare dalla sorella Ismene: le molte riscritture del personaggio sono squadernate nell’affascinante Le Antigoni di George Steiner). Anche Creonte accende domande: può egli rappresentare le legittime ragioni dello Stato, come il filone interpretativo hegeliano suggerisce, o incarna piuttosto l’arbitrio del tiranno? Le voci di queste dramatis personae sono nel cuore della nostra democrazia, imperfetta come ogni altra costruzione civile. Clamano e risuonano, si agitano in noi.


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