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Cultura

LA CATENA DELLE CITAZIONI di CARLO GINZBURG (UNA CITTÀ, n. 74 - Gennaio/Febbraio 1999) - a cura del prof. Federico La Sala

sabato 12 novembre 2005 di Emiliano Morrone
Il Nuovo testamento scritto ricalcando le profezie del Vecchio. Dalla sconfitta di Marcione l’idea di Agostino, decisiva per noi, sulla storicizzazione della verità. A partire da una frase di Cicerone il problema del relativismo culturale. La verità esiste, ma raggiungerla non è facile e la storia, l’esperienza unilaterale di ognuno possono aiutare anziché essere d’ostacolo. La fecondità del non-sapere, di momenti di ottusità. Intervista a Carlo Ginzburg.
Il libro di cui ci parla Carlo (...)

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> LA CATENA DELLE CITAZIONI ---- Il paradigma indiziario e i capisaldi del programma microstorico nella nuova edizione di "Miti emblemi spie" di Carlo Ginzburg (di Giovanni Zampieri)..

sabato 11 novembre 2023

      • CONTINUAAZIONE E FINE


SCIENZE.

GIOVANNI ZAMPIERI /

IMMAGINE: “NOZZE DI CANA” DI PAOLO VERONESE (1562-1563),
-  MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI. 9.11.2023

Testi invisibili, immagini visibili *

L’attenzione ai dettagli marginali, il paradigma indiziario e i capisaldi del programma microstorico nella nuova edizione di Miti emblemi spie di Carlo Ginzburg.

Giovanni Zampieri è dottorando in Social Sciences a Padova e Visiting Assistant in Research a Yale. Si interessa di sociologia storica e culturale e di storia delle scienze sociali.

[...]

È a questo punto che si rende proficua la distinzione tra testi invisibili e immagini visibili, che Ginzburg interpreta come un effetto di lunga durata prodotto da una disciplina indiziaria: la filologia. L’invenzione della scrittura avrebbe reso residuale l’aspetto performativo della fruizione di un testo, il cui significato sarebbe stato gradualmente svincolato dalla prosodia e dalla gestualità di chi lo recitava a memoria. La stampa, dal canto suo, avrebbe definitivamente slegato un testo dalle proprietà del suo supporto materiale:

      • Il risultato di questa duplice operazione è stato la progressiva smaterializzazione del testo, via via depurato da ogni riferimento sensibile: anche se un rapporto sensibile è necessario perché il testo sopravviva, il testo non s’indentifica con il suo supporto.

La filologia ha selezionato come tratto pertinente della sua operazione conoscitiva solamente gli aspetti riproducibili di un testo, inteso come “un’entità profonda, invisibile, da ricostruire al di là dei dati sensibili”. Lo statuto di invisibilità del testo è il risultato di un processo storico e culturale, frutto dell’interazione tra lo sviluppo tecnologico e il consolidamento delle nostre pratiche conoscitive umane di cui questo era solo uno tra gli esiti possibili. In effetti, alle immagini non è toccato avere lo stesso destino: un dipinto rimane “per definizione un unicum, irripetibile”, tradizionalmente inscindibile rispetto alla materialità - una tela, ad esempio - che ci consente di percepirlo.

      • Come quella del medico, la conoscenza storica è indiretta, indiziaria, congetturale.

Questa è una dicotomia che Ginzburg ci dice essere tacita, data per scontata e poco esplorata anche dagli studiosi: alcuni, come Walter Benjamin de L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), non avrebbero considerato a sufficienza l’asimmetria tra immagini visibili e testi invisibili; altri, come l’Umberto Eco lettore di Peirce, avrebbero affrontato il problema da una prospettiva astorica. Testi invisibili, immagini visibili si propone invece di presentare una ricostruzione diacronica del processo di invisibilizzazione del testo e della sua trasformazione in testualità, “un’entità invisibile che poteva essere riprodotta e trapiantata in contesti completamente diversi da quello originario”. Questo fenomeno avrebbe favorito tanto l’astrazione dei contenuti - meno specifici e quindi svincolati da un singolo contesto interpretativo - quanto lo sviluppo di discipline orientate alla decifrazione del testo in relazione agli spazi sociali in cui questo è stato creato e circolato. Alle immagini, dice Ginzburg, questo non sarebbe ancora capitato, anche se episodi come la vendita di un non-fungible token del Tondo Doni di Michelangelo potrebbero suggerire che il carattere di originalità conferito ad un’immagine si starebbe ormai sganciando dal suo supporto materiale.

Questo è un tema complesso, su cui si dibatte dagli albori della rivoluzione digitale - se non da prima. La relazione tra il reale e le sue rappresentazioni, che sarebbero state capaci di farsi più reali della realtà stessa, è stato uno dei nodi centrali della filosofia postmoderna, che ha dominato la scena intellettuale fino agli sgoccioli dello scorso millennio. E tra le tendenze delle scienze sociali degli ultimi decenni va sicuramente ricordato il material turn, che enfatizza la dimensione materiale della vita sociale. In questo senso il contributo di Ginzburg è importante, perché invita a considerare in prospettiva storica i processi di produzione degli oggetti culturali, incoraggiando a ricostruire con meticoloso rigore i reticoli che legano autori, i loro artefatti e i contesti di interpretazione e circolazione in cui questi sono inseriti.

      • Una separazione così netta tra testo e immagine, tra materialità e immaterialità, tra visibilità e invisibilità, rischia di ricalcare la nota distinzione tra forma e contenuto.

Tuttavia, una separazione così netta tra testo e immagine, tra materialità e immaterialità, tra visibilità e invisibilità, rischia di ricalcare l’annosa distinzione tra forma e contenuto. Non è però scontato che leggere un brano della Commedia indossando un paio di guanti per sfogliare un manoscritto sotto lo sguardo diligente di un vigile archivista produca la stessa esperienza dell’evidenziare lo stesso testo in giallo fluo sulla pagina patinata di un’antologia, o del godere di un’iconica versione a fumetti. L’illuminante ricostruzione del processo storico di invisibilizzazione dei testi e delle conseguenze di questo per la loro interpretazione pone in secondo piano una dimensione ugualmente cruciale - quella pratica.

Per chi osserva le pratiche sociali, o prova a ricostruirne retrospettivamente il loro significato, lo statuto di visibilità o invisibilità di un oggetto culturale non offre solide risposte, ma configura piuttosto una potente domanda. In effetti, l’operazione di duplicare le Nozze di Cana per riportarle sull’isola da cui furono trafugate solleva il quesito: come poteva presentarsi il refettorio palladiano agli occhi dei monaci che commissionarono il dipinto al Veronese? Più che costituire una concreta minaccia ai concetti di unico e autentico - essi stessi una costruzione storica e culturale - la riproducibilità tecnica sembrerebbe in grado di aprire la strada a nuove opportunità di conoscenza, discussione, esperienza.

In ogni caso, il duplicato delle Nozze di Cana rappresenta solo un caso limite, almeno per ora. E, come suggerisce Ginzburg nella nuova postfazione, “i casi (compresi i casi anomali) implicano la norma,” ponendo, “attraverso la comparazione, le premesse per una generalizzazione delle domande, e delle risposte, che lo studio di un caso specifico ha fatto emergere”. Rinviando al rapporto tra morfologia e storia, si tratterebbe quindi di problematizzare lo stile della microstoria, che spinge a individuare l’unico (per renderlo visibile) e all’approccio comparativo, che richiede invece un movimento di astrazione dal singolare (per renderlo, almeno in parte, invisibile). Il rapporto tra particolare e generale rimane al centro degli sforzi intellettuali di Ginzburg, come testimonia il lavoro compiuto assieme allo storico Bruce Lincoln sul caso del Vecchio Thiess: un contadino che, a ridosso del 1700, si dichiarò lupo mannaro di fronte ad un tribunale distrettuale in Livonia.

      • La riproducibilità tecnica sembrerebbe in grado di aprire la strada a nuove opportunità di conoscenza, discussione, esperienza.

Leggere Miti emblemi spie invita a riflettere su come il mestiere dello storico imponga di interrogarsi continuamente sulla rappresentatività dei casi eccezionali - e sulla natura stessa della categoria di eccezionalità come dispositivo euristico e strumento di scoperta. Si potrebbe dire che l’“eccezionale normale” - per recuperare un ossimoro coniato da un altro dei fondatori della microstoria - abbia a che fare più con il metodo che adottiamo per interfacciarci con il passato che con il passato stesso. I testi di questa raccolta costituiscono innanzitutto un esempio di come si possa fare ricerca rigorosa a partire da pochi frammenti indiziari, e di come di questa ricerca si possa scrivere accompagnando chi legge in percorsi accidentati, a tratti tortuosi, su cui però vale sempre la pena incamminarsi, talvolta arrivando a mete diverse da quelle che ci si era prefigurati. Quelli di Ginzburg sono a tutti gli effetti saggi nel senso etimologico del termine, che deriva dal francese essayer: provare, sperimentare, rischiare. Nonostante la straordinaria eterogeneità degli oggetti di ricerca - Dante, il nazismo di Dumézil, i codici della figurazione erotica nel Cinquecento... - Miti emblemi spie ci consente di curiosare nella bottega di uno storico al lavoro per sbrogliare un nucleo di problemi teorici riconoscibili e importanti.

Letti tra le righe, però, questi saggi suggeriscono anche qualcosa di più. Tra caso e norma, tra singolare e generale, tra insignificante e significativo, tra visibile e invisibile, scopriamo esistere una tensione pulsante e irrisolta, capace di offrire domande generali più che di restituire risposte particolari. Queste domande ci interrogano sullo statuto di originalità di un oggetto culturale e sulle condizioni della sua produzione sociale e storica, proponendo un copione per tentare di ricostruire lo sguardo di chi l’aveva in mente allo scopo di moltiplicare - e non ridurre - il numero di prospettive interpretative. Ci spingono anche a riconsiderare il rapporto tra umano e non-umano, tra materiale e immateriale, tra effetti visibili e cause invisibili, in un momento storico in cui la complessità dei fenomeni sembra incoraggiare la ricerca di spiegazioni totalizzanti e univoche. Più di tutto, in un’epoca in cui lo sviluppo dell’intelligenza artificiale sembra avere le potenzialità per mettere in crisi la nostra idea di umanità andando a incidere sulla pratica attraverso cui abbiamo imparato a riconoscerci in quanto umani, questi saggi ci ricordano che Der liebe Gott steckt im Detail - Dio è nel particolare. Che si tratti di un diario rinvenuto nella biblioteca di un intellettuale, un frammento di un codice custodito in un archivio polveroso, o una mano riprodotta (male) da una coppia di reti neurali.

*Fonte: Il Tascabile (ripresa parziale).


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