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Cultura

LA CATENA DELLE CITAZIONI di CARLO GINZBURG (UNA CITTÀ, n. 74 - Gennaio/Febbraio 1999) - a cura del prof. Federico La Sala

sabato 12 novembre 2005 di Emiliano Morrone
Il Nuovo testamento scritto ricalcando le profezie del Vecchio. Dalla sconfitta di Marcione l’idea di Agostino, decisiva per noi, sulla storicizzazione della verità. A partire da una frase di Cicerone il problema del relativismo culturale. La verità esiste, ma raggiungerla non è facile e la storia, l’esperienza unilaterale di ognuno possono aiutare anziché essere d’ostacolo. La fecondità del non-sapere, di momenti di ottusità. Intervista a Carlo Ginzburg.
Il libro di cui ci parla Carlo (...)

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> LA CATENA DELLE CITAZIONI ---- Il paradigma indiziario e i capisaldi del programma microstorico nella nuova edizione di "Miti emblemi spie" di Carlo Ginzburg (di Giovanni Zampieri)..

sabato 11 novembre 2023

SCIENZE.

GIOVANNI ZAMPIERI /

IMMAGINE: “NOZZE DI CANA” DI PAOLO VERONESE (1562-1563),
-  MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI. 9.11.2023

Testi invisibili, immagini visibili *

L’attenzione ai dettagli marginali, il paradigma indiziario e i capisaldi del programma microstorico nella nuova edizione di Miti emblemi spie di Carlo Ginzburg.

Giovanni Zampieri è dottorando in Social Sciences a Padova e Visiting Assistant in Research a Yale. Si interessa di sociologia storica e culturale e di storia delle scienze sociali.

L’11 settembre 1797, un manipolo di soldati dell’esercito rivoluzionario francese irrompe nel monastero benedettino sull’isola di San Giorgio Maggiore, a Venezia. La tela che si trova nel refettorio viene smontata dalla parete e tagliata in sette strisce. Il bottino di guerra verrà riassemblato una volta valicate le Alpi, dove lo si può ammirare tutt’ora: le Nozze di Cana si trova al Louvre, condivide la Salle des États con la più celebre Monna Lisa. Passano più di due secoli quando l’11 settembre 2007, per volontà della Fondazione Cini, il dipinto fa finalmente ritorno nel refettorio palladiano, anche se in forma di copia. Il facsimile riproduce l’opera nella sua interezza, imitando sia le pennellate naturalistiche del Veronese sia le cicatrici lasciate dagli squarci praticati dai commissari napoleonici.

Nello stesso anno, un gruppo di studiosi si trova a discutere del dipinto trafugato e restituito in forma di copia, soffermandosi in particolare sulle sue implicazioni tanto per la storia dell’arte quanto per la storia dell’umanità tout court: in cosa consiste la tradizione, e qual è il suo rapporto con l’innovazione? Soprattutto, quale può essere il ruolo delle nuove tecnologie nel catturare e conservare il presente, e tramandarlo in quanto passato? Non stupisce di trovare, tra le voci che hanno provato a offrire una risposta a queste sollecitazioni, quella di Carlo Ginzburg, il cui saggio scritto per quell’occasione - Testi invisibili, immagini visibili - conclude la nuova edizione della raccolta Miti emblemi spie (Adelphi, 2023).

      • [Foto] Facsimile delle “Nozze di Cana” di Paolo Veronese (1562-1563), refettorio palladiano, isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, 2007. Foto di Matteo De Fina, courtesy of Fondazione Giorgio Cini.

Carlo Ginzburg ha insegnato storia moderna a Bologna, Harvard, Yale, Princeton e Los Angeles, oltre che alla Normale di Pisa, dove si è formato. Insieme a Edoardo Grendi, Carlo Poni e Giovanni Levi è considerato uno dei fondatori della microstoria, un approccio che è stato in grado di trasformare profondamente la storiografia contemporanea. Sotto il microscopio di Ginzburg, la biografia di un mugnaio processato per eresia per le sue credenze sull’origine del cosmo e le vicende dei contadini che si battevano con gli stregoni per proteggere le messi si sono trasformate in potenti prismi attraverso cui rileggere la storia della prima età moderna, con particolare riguardo per il singolare e il subalterno. Con Giovanni Levi, Ginzburg ha diretto per Einaudi la collana Microstorie, per la quale sono usciti alcuni testi fondativi del nuovo canone storiografico come L’eredità immateriale di Levi (1985) e Il ritorno di Martin Guerre di Natalie Zemon Davis (1984). Miti emblemi spie raduna diversi saggi che setacciano le implicazioni del prefisso “micro-”, sondando il complesso rapporto tra morfologia e storia - ossia tra “connessioni tipologiche o formali e connessioni storiche”, come scriveva lo stesso Ginzburg nella prefazione alla prima edizione del 1986.

Indossata la lente della microstoria, l’indagine di Ginzburg spazia dal rapporto tra cultura inquisitoriale e pietà popolare alla relazione tra inconscio individuale e repertori culturali, posta al centro di un saggio che propone un’interpretazione storica del caso clinico Der Wolfsmann - l’uomo dei lupi reso celebre da Sigmund Freud. Ma Ginzburg sviscera anche il problema della trasmissione di testi e immagini, concentrandosi in particolare sulle conseguenze che la loro concatenazione intertestuale ha per il lavoro dell’ermeneutica storica. L’intento è quello di ricostruire le coordinate di una proposta metodologica in grado di accettare la complessità del reale e misurarsi con la molteplicità di informazioni a nostra disposizione senza per questo rinunciare all’idea che alla base della conoscenza vi sia, anzitutto, un lavoro di interpretazione. Quella di Ginzburg è una proposta che si rivela quindi essere quanto mai attuale per le scienze umane e sociali, costrette a ripensare profondamente domande e metodi alla luce delle tecnologie digitali.

      • Quale può essere il ruolo delle nuove tecnologie nel catturare e conservare il presente, e tramandarlo in quanto passato?

In questo senso, l’attenzione che Ginzburg riserva per le conseguenze della riproducibilità tecnica degli artefatti culturali per la loro produzione, circolazione e ricezione è uno degli aspetti più rilevanti della raccolta. A partire dall’apparizione del duplicato delle Nozze di Cana sull’isola che affaccia San Marco, vengono ricostruite le radici dello statuto differenziale assegnato a testi e immagini: la riproducibilità tecnica avrebbe svincolato i primi dalla dimensione materiale attraverso cui se ne fa esperienza. Per l’interpretazione della Divina Commedia sarebbe quindi irrilevante che il brano sia letto dal manoscritto landiano o da un’antologia ragionata per l’insegnamento:

      • Testi invisibili e riproducibili hanno potuto superare distanze di tempo e di spazio. Inoltre, l’opacità dei testi sradicati dal loro contesto originario ha prodotto da un lato, il bisogno di adattarli ai nuovi contesti, dall’altro, lo sviluppo di tecniche volte a recuperare il contesto originario.

Questa intuizione era già emersa in Spie. Radici di un paradigma indiziario (1979), uno dei saggi più noti di Ginzburg. In qualche decina di pagine viene tratteggiata la storia di un modello epistemologico e conoscitivo della realtà storico-sociale che si sarebbe affermato a partire dalla fine del diciannovesimo secolo. Nel farlo, Ginzburg evoca in rapida successione tre figure: la prima è Ivan Lermolieff, pseudonimo di Giovanni Morelli, un politico e connoisseur italiano che a fine ‘800 mise a punto un metodo per riconoscere le opere d’arte autografe e distinguerle dalle repliche. Il metodo “morelliano” muove l’attenzione di chi guarda dal punto che riterremmo essere focale in un quadro - il sorriso in un dipinto di Leonardo - ai dettagli marginali, come “i lobi delle orecchie, le unghie, la forma delle dita delle mani e dei piedi”. Anticipando la direzione degli sguardi che saranno rivolti all’opera, gli imitatori diventano esperti nel riprodurre lo stile dell’artista lì dove ci si aspetta di trovarlo. È grazie al movimento involontario e automatico del falsario che disegna una mano a cui nessuno presterà troppa attenzione, dice Morelli, che possiamo distinguere un quadro di Tiziano da uno di Giorgione.

      • Il metodo di Morelli trasforma radicalmente la figura del critico d’arte in investigatore e psicanalista.

Il metodo di Morelli trasforma radicalmente la figura del critico d’arte, il quale viene chiamato a vestire contemporaneamente i panni di investigatore alla costante ricerca di indizi e di psicanalista allenato a riconoscere i lapsus dei suoi pazienti stesi sul lettino. In effetti, Sherlock Holmes e Sigmund Freud sono le figure che completano la triade del paradigma indiziario. Citando un brano tratto da L’avventura della scatola di cartone di Arthur Conan Doyle (1893), Ginzburg sottolinea l’attenzione che Holmes riserva per l’anatomia delle orecchie di una vittima. Poco dopo, lo stesso Ginzburg mette in scena il Freud lettore di Morelli - una connessione chiaramente riconoscibile nel saggio Il Mosè di Michelangelo (1914) - mostrando come, nel leggere i libri di Morelli, il padre della psicanalisi incontrò “la proposta di un metodo interpretativo imperniato sugli scarti, sui dati marginali, considerati come rivelatori. In tal modo, particolari ritenuti di solito senza importanza, o addirittura triviali, ‘bassi’, fornivano la chiave per accedere ai prodotti più elevati dello spirito umano”. Morelli, Freud, Holmes:

      • In tutti e tre i casi s’intravede il modello della semeiotica medica: la disciplina che consente di diagnosticare le malattie inaccessibili all’osservazione diretta sulla base di sintomi superficiali, talvolta irrilevanti agli occhi del profano.

La semeiotica è il sostrato su cui si fonda il paradigma indiziario, consolidatosi alla fine del diciannovesimo secolo - un paradigma che ha offerto le basi per il programma microstorico, in cui le tracce lasciate involontariamente a proposito di individui considerati senza storia né cultura sono state trasfigurate nel punto focale della ricerca storica. E però, avverte Ginzburg, le radici della capacità di “risalire da dati sperimentali apparentemente trascurabili a una realtà complessa non sperimentabile direttamente” con dati organizzati attraverso “una sequenza narrativa” sarebbero da rintracciare nella storia dell’umanità stessa:

      • Il cacciatore sarebbe stato il primo a ‘raccontare una storia’ perché era il solo in grado di leggere, nelle tracce mute (se non impercettibili) lasciate dalla preda, una serie coerente di eventi.

Orientata a diagnosticare il passato, l’arte venatoria condivide il copione con la divinazione, che invece utilizza segni rinvenibili nel presente per tentare di pronosticare un futuro altrettanto inconoscibile direttamente. La nozione di sintomo (semeion) rimane fondante per un insieme di discipline “eminentemente qualitative, che hanno per oggetto casi, situazioni e documenti individuali, in quanto individuali, e proprio per questo raggiungono risultati che hanno un margine ineliminabile di aleatorietà”. Il profilo di questo movimento conoscitivo si staglia in antitesi a un modello di scienza che richiede di poter quantificare e replicare i fenomeni studiati - un modello che, in definitiva, non è applicabile alla storia. Se la storia è quindi una scienza sociale “intrinsecamente individualizzante”, lo storico “è paragonabile al medico che utilizza i quadri nosografici per analizzare il morbo specifico del malato singolo”, spiega Ginzburg. “E come quella del medico, la conoscenza storica è indiretta, indiziaria, congetturale”.

Le tracce lasciate involontariamente da individui considerati senza storia né cultura diventano il punto focale della ricerca storica. Nella sua postura particolarizzante, il paradigma indiziario configura uno stile di ricerca adeguato a spiegare fenomeni complessi, non immediatamente osservabili o riproducibili in un ambiente di laboratorio (che renderebbe possibile isolare le variabili che ipotizziamo possano avere un effetto causale). L’unica possibilità rimasta è inferire le cause a partire dagli effetti - o, se vogliamo, le tracce - lasciati da questi ultimi:

L’esistenza di una connessione profonda che spiega i fenomeni superficiali viene ribadita nel momento stesso in cui si afferma che una conoscenza diretta di tale connessione non è possibile. Se la realtà è opaca, esistono zone privilegiate - spie, indizi - che consentono di decifrarla.

      • CONTINUAZIONE NEL POST SUCCESSIVO


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