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"L’ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE": L’ALLEANZA CATTOLICO-"EDIPICA" DEL FIGLIO CON LA MADRE!!! LEA MELANDRI E GLI ANELLI MANCANTI NELLA DISCUSSIONE SULL’ABORTO - a cura di Federico La Sala

LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE GIUSEPPE E DELLO STESSO "PADRE NOSTRO" ... E CONTINUA A "GIRARE" IL SUO FILM PREFERITO, "IL PADRINO"!!!
sabato 16 febbraio 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] L’immaginario che cancella il rapporto uomo-donna, sovrapponendogli la coppia madre-figlio, deve essere una delle invarianti piu’ coriacee della cultura maschile, se puo’ accostare senza turbamento l’iconografia cattolica delle Vergini Madri con Bambino allo scenario "irriverente" delle biotecnologie, che trasferisce lo status di essere umano su un "fatto scientifico", isolato in laboratorio - lo zigote -, mentre, come va ripetendo Barbara Duden, trasforma la donna nell’"ambiente (...)

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> "L’ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE": L’ALLEANZA CATTOLICO-"EDIPICA" DEL FIGLIO CON LA MADRE!!! - Lea Melandri e il femminismo. Dal ’68 a #metoo la rivolta è donna (di Gregorio Botta).

domenica 4 febbraio 2018

Lea Melandri e il femminismo

Dal ’68 a #metoo la rivolta è donna

di Gregorio Botta (la Repubblica, 04.02.2018)

Non è una pentita del ’ 68. E non è neanche una reduce: non ne ha nostalgia perché, dice, «metto ancora in pratica le intuizioni nate in quegli anni straordinari » . Per Lea Melandri il movimento fu una rivelazione e una liberazione. «Ero arrivata a Milano, scappavo dalla provincia di Ravenna, da una famiglia poverissima. Ed ero appena diventata insegnante in una scuola media. Partecipai alle prime assemblee con i miei colleghi, fui colpita dall’idea di abolire voti, bocciature, di una scuola non autoritaria. Non mi parve vero poter abbandonare un ruolo nel momento in cui dovevo assumerlo. Abbandonarlo voleva dire ripensare a tutto il mio percorso scolastico, di figlia di contadini che aveva potuto fare un buon liceo, ma al prezzo di lasciare fuori dalle aule la mia vita reale, le esperienze, le mie condizioni sociali. Ricordo che in un tema di quinta ginnasio descrissi come vivevo. La professoressa disse: è scritto benissimo, ma sei fuori tema. Mi venne un esaurimento... Ecco con il ’ 68 finalmente il “ fuori tema” diventava il tema di cui parlare in classe: l’individuo nella sua interezza, storia, complessità».
-  Quell’inizio è stato l’imprinting che poi ha segnato la vita e l’impegno di Lea Melandri, il suo lavoro nel movimento, nella scuola, con Elvio Fachinelli intorno alla rivista L’Erba voglio e con il femminismo. Per questo si ribella quando a ogni decennio che finisce con l’ 8 si ripete il rito del ripensamento, delle critiche a una stagione riletta sempre con gli occhi del presente, e quindi con nuove accuse. Se c’è un processo al ’ 68, lei indossa volentieri i panni della difesa.

Partiamo dall’ultima accusa. È molto citata la frase di Mario Tronti secondo cui il ’68 ebbe una forza destituente ma non costituente: la usano per dire che quegli anni hanno incubato, in qualche modo, i germi dell’antipolitica di cui soffriamo oggi.

« A me dispiace che la memoria di quegli anni venga cancellata non solo da chi lo avversava, ma anche dai suoi protagonisti. In quegli anni straordinari nacquero pratiche che rovesciavano i rapporti tra vita e politica. Ma tutto era tranne che antipolitica. I movimenti non autoritari eclissavano il confine tra privato e pubblico. Si scopriva la politicità di tutto ciò che era stato considerato per secoli non politico. Sesso, famiglia, amore, morte, dolore, tutte le esperienze fondamentali dell’individuo erano confinate fuori dalla storia, condannate all’immobilità, a ripetersi sempre uguali. Uscire dal dualismo privato- pubblico, individuo- polis, natura- cultura, trovare i nessi e indirizzare il cambiamento: ecco quello che abbiamo fatto. Era l’embrione di un nuovo agire politico, ne allargavamo enormemente il campo».

Da cui sono poi nate la legge sul divorzio e sull’aborto.

« E sono state conquiste importantissime. Ma non vorrei ridurre a questo la novità di quegli anni, che è stata invece un salto di coscienza, scoprire quanta storia era confinata nelle esperienze del singolo».

Altro capo d’accusa. Tutto questo parlare del privato, del singolo, dell’individuo, del diritto al sogno e al desiderio, ha creato - dicono - la cultura del narcisismo e, infine, ha reso possibile il berlusconismo.

« Io trovo che questa sia l’accusa più avvilente e volgare, una vera deformazione di quel che accadde, che era la riscoperta di quella che io chiamo la singolitudine, la singolarità di ogni essere. Scoprivamo l’individualità delle persone, e in particolare quella delle donne, considerate per secoli un genere e basta. Questa è stata la forza del femminismo: svelare che nei vissuti di ogni singola donna c’è una rappresentazione del mondo che le donne non hanno contribuito a creare, perché hanno interiorizzato la visione maschile ».

Lei parla del femminismo che seguì il ’68. Molti dicono invece che il movimento ebbe vita brevissima, che la carica libertaria non durò che un anno, soffocata da gruppi e gruppetti che se ne contendevano la guida in nome di Marx, Mao e persino Stalin. Alla Statale risuonava il triste slogan Stalin-Beria-Ghepeù...

« Ma il ’ 68 non è solo una data, è tutto ciò che si è mosso prima e soprattutto dopo. Dura tutt’ora. Io considero il femminismo il vero seguito del ’ 68, ne ha portato avanti le intuizioni più originali. Abbiamo avuto un conflitto continuo con la sinistra extraparlamentare di allora: abbiamo indicato i pericoli della loro politica, del leaderismo, della passività. Gli dicevamo che avevano introiettato gli schemi che combattevano. Ecco un’altra grande novità di quegli anni: l’ingresso della psicanalisi nella politica. Il femminismo è il solo sopravvissuto agli anni Settanta. Per questo dico che non ho nostalgia del ’ 68: non ne sono mai uscita».

Anche il fenomeno #MeToo e le ribelli di Hollywood, e le cineaste italiane, fanno parte di questa rinascita?

«È un modo in cui sono venute alla scoperta contraddizioni e sopraffazioni. Ma non mi convince molto la modalità e quindi non vorrei parlarne. Preferisco parlare delle ragazze di “Non una di meno”, vicinissime alle ispirazioni degli anni Settanta: ne hanno colto la radicalità, hanno grande lucidità nell’analizzare i rapporti di violenza tra i sessi, sul lavoro, nei media».

Però è un lavoro sottotraccia. Non mi pare riesca a emergere nel discorso pubblico, dominato dalla semplificazione.

«C’è un impasto terribile di pubblico e privato, siamo di fronte a una forte personalizzazione della politica, a un uso terribile dei sentimenti, delle paure, delle peggiori emozioni. È come se nell’etere si fosse spalancato il vaso di Pandora dell’inconscio, siamo in un mare di inconsapevolezza. È pericolosissimo. Quando le viscere della storia diventano dominanti sappiamo che può succedere di tutto. Noi non volevamo questo, noi volevamo indagare il privato per conoscerlo, per stabilire legami e nessi, per cambiare il mondo e noi stessi. Non per farcene schiavi. Sapevamo che cancellare gli elementi repressivi doveva essere solo il primo passo, c’era molto altro lavoro da fare per la liberazione degli umani che hanno ereditato e introiettato secoli di violenza. A scuola, quando abolivo voti e bocciature non è che avessi poi di fronte una classe perfetta, di ragazzi tutti attenti e intelligenti. C’era un gran casino all’inizio, una gran confusione, e noi cominciavamo da lì il percorso di consapevolezza».

Ed eccoci a una nuova imputazione. Il ’ 68 ha distrutto scuola e università, l’istruzione di massa è un’illusione che nasconde meccanismi selettivi fortissimi.

« Sciocchezze. Ricordiamoci cos’era l’istruzione allora: cominciava la scuola di massa, ma la selezione era durissima. Noi demmo a tutti la possibilità di prendere la parola, fu un processo davvero liberatorio. Oggi quella lezione è più che mai valida. Se non parli della vita dei ragazzi, di ciò che accade “ sottobanco”, se non parli del corpo, della sessualità, dell’amore, di come affrontare paure e culture diverse, vuol dire che stai consegnando la loro formazione ad altri mondi, ai social network».


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