Il promesso sposo: Umberto Eco a Casa Manzoni
Una visita che fino a oggi era rimasta segreta: quella di Umberto Eco alla casa di Alessandro Manzoni, del quale ricorrono i 150 anni dalla morte. A muoverlo, una folgorazione giovanile: «Ho letto il romanzo prima che la scuola mi obbligasse a farlo. E per questo lo amo»
DI STEFANO BARTEZZAGHI (OGGI, 20 MAGGIO 2023)
Chissà se, mentre stava posando per il suo servizio fotografico a casa Manzoni, Umberto Eco avrà ripensato a quella volta in cui si travestì da fra Galdino. L’umile fraticello nei Promessi sposi è incaricato della “cerca delle noci” e, per interpretare compiutamente il suo ruolo, Eco, oltre a indossare un regolare saio francescano di cui era in possesso, teneva al braccio il cestello delle “noci”: copie di libri del filosofo Augusto Del Noce, della politica Teresa Noce, dei fumetti Peanuts. Il professore aveva dettato di persona il dress code manzoniano: tutti gli invitati dovevano esibire almeno un orpello che rimandasse a un personaggio del gran romanzo. Uno sberleffo rivolto dall’intellettuale tanto arguto e poco ortodosso verso un nume delle lettere patrie austero e incline tutt’al più a un’ironia di proverbiale fiacchezza? Non proprio.
LECTIO MAGISTRALIS - L’anno prima era caduto il centenario dalla morte di Alessandro Manzoni ed Eco aveva organizzato un ciclo di lezioni e seminari all’Università di Bologna dove insegnava semiotica. Aveva invitato studiosi di tutt’Italia, perché ognuno di essi compisse un’analisi di un capitolo o di un episodio dei Promessi sposi.
Per sé Eco aveva serbato un argomento di grande fascino: il confronto tra il modo in cui i personaggi manzoniani usano la parola (per esempio: il “latinorum” con cui don Abbondio frastorna Renzo o la battuta non riferita che rende la Monaca di Monza “sventurata” per il solo fatto che rispose) e la lingua dei gesti, delle pose, delle azioni. Pochi anni dopo uscì il libro Leggere I Promessi sposi, che raccoglieva quella di Eco e una quindicina di altre lezioni, volume curato dal semiologo Giovanni Manetti, il quale alla cena aveva impersonato Renzo Tramaglino. La cena celebrava en travesti la fine del ciclo di lezioni, faceva insomma parte dell’omaggio che Eco tributava a Manzoni, a cui lo legava non solo ammirazione ma anche vera e propria affezione.
LETTO PRIMA CHE A SCUOLA - Pochi anni dopo, durante un ciclo di conferenze all’università di Harvard, Eco presentava I promessi sposi a una platea americana che, pur essendo di livello universitario, ignorava il romanzo. Lo proclamò capolavoro dell’Ottocento italiano e aggiunse: «Tutti gli italiani, meno pochi, lo odiano, perché sono stati obbligati a leggerlo a scuola. Io debbo ringraziare mio padre, che mi ha incoraggiato a leggere questo romanzo prima che la scuola mi obbligasse, e per questo lo amo».
In particolare, Eco era affascinato dal famoso incipit del romanzo, con l’ampia romanza di “Quel ramo del lago di Como” che prima descrive dall’alto il panorama e poi giunge alla scala umana con campi, vigne, casali. Il paesaggio reale - dal lago ai monti alla città di Lecco - diviene materia letteraria “costruita” da Manzoni, romanziere “geografico” ancor prima che storico. Eco ci vedeva un che di metafisico: prima il punto di vista divino, e della Provvidenza; poi quello umano. Ma ci vedeva anche un che di cinematografico, di ripresa fatta da un elicottero. Certamente oggi aggiornerebbe l’analogia e attribuirebbe quel piano-sequenza a un drone.
IL DIALETTO MILANESE - In una delle fotografie scattate da Massimo Zingardi a casa Manzoni, a Milano, si vede Eco sfogliare un volume appartenuto a don Lisander, con l’interesse rispettoso del bibliofilo. Zingardi si ricorda che, dopo aver consultato il libro, Eco lamentò scherzosamente la mancanza di due parole: “ciola” e “gandola”. Con tutta evidenza si trattava del Vocabolario milanese - italiano di Francesco Cherubini, uscito in prima edizione nel 1814, di cui Manzoni si era servito per pulire la lingua del suo romanzo dai lombardismi. Era come l’Arno in cui sciacquare i panni, secondo il suo famoso detto. “Ciola” e “gandola” (le “O” qui si pronunciano quasi come “U”) costituiscono la rima di una specie di proverbio milanese che proclama la maggiore astuzia dei brevilinei: “Grand, gross e ciòla. / Piscinìn e gandòla”: grande, grosso e tonto; piccolo e sagace (“gandola” è la nocciola: piccola ma piena di nutrimento). Chissà perché Eco era andato a cercare proprio quelle due parole. I motivi per cui non le ha trovate sono invece di schietto interesse semiologico.
L’aneddoto ricordato dal fotografo dopo anni mostra quanto volentieri Eco scherzava. Tanto più volentieri lo faceva a proposito di chi e di quel che amava. Aveva partecipato a un gioco collettivo in cui si è riscritto tutto Il 5 maggio come se fosse una catena di indovinelli enigmistici (Senti. Manchu: “Ei Fu”; Grande come una casa: “siccome immobile”; alito assassino: “Dato il mortal sospiro”).
Ai Promessi sposi aveva invece dedicato due parodie memorabili. Nella prima fingeva di aver letto il manoscritto inedito dei Promessi sposi e di dover dare un parere da consulente editoriale. Ovviamente lo bocciava: «Il Manzoni anzitutto ambienta il suo romanzo nel Seicento, secolo che notoriamente non vende. In secondo luogo elabora una sorta di milanese-fiorentino che non è né carne né pesce e che non consiglierei di certo ai giovani come modello di composizioni scolastiche».Molto più raffinato ed esclusivo un saggio in cui Eco impersona un critico letterario che attribuisce I promessi sposi a James Joyce e lo legge come un romanzo di avanguardia ancor più avanzato dell’Ulysses e di FinnegansWake.
IL 5 MAGGIO - Proprio nella data celebrata dall’ode manzoniana a Napoleone, il 5 maggio dell’anno scorso, la Biblioteca Braidense di Milano inaugurava una mostra di libri antichi della collezione di Eco. Venuto egli a mancare nel febbraio del 2016, la sua collezione era stata acquisita dallo Stato e destinata alla Biblioteca pubblica, una delle più amate e frequentate dal professore. Gli studiosi ora possono consultare i suoi libri più preziosi, conservati in un ambiente che riproduce con ottima approssimazione lo studio che era nell’appartamento milanese di Eco, a Piazza Castello. La sala con la collezione è contigua proprio alla storica Sala Manzoniana, quella che conserva la biblioteca di don Lisander. E chissà se Eco, mentre Massimo Zingardi lo teneva nel mirino a casa Manzoni, se lo sarebbe immaginato.