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Saper amare il "padre" e la "madre" ... W o Italy!!!

IL PRESIDENTE DELLA CEI ANGELO BAGNASCO: «L’ITALIA MERITA UN AMORE PIU’ GRANDE». BENISSIMO!!! Ma - in nome della Verità (Charitas) - cerchiamo di andare avanti e non "cantare" in "latinorum" sempre lo stesso ritornello. Una precisazione sulla Costituzione italiana - di Federico La Sala

giovedì 18 ottobre 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Nella prolusione del presidente della Cei al Consiglio permanente spicca, tra l’altro, un ampio capitolo dedicato alla situazione sociale del Paese. In essa monsignor Bagnasco rileva, da una parte, segnali preoccupanti legati a «un atteggiamento di resa che contrassegna tanta prassi», dove prevalgono «divismo, divertimento spinto a oltranza, disimpegno nichilista»; dall’altra, invece, rimarca i valori ancora condivisi «dalla maggioranza sana». Di qui l’interrogativo sulla «modalità, (...)

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> IL PRESIDENTE DELLA CEI ANGELO BAGNASCO: «L’ITALIA MERITA UN AMORE PIU’ GRANDE». BENISSIMO!!! Ma - in nome della Verità (Charitas) - cerchiamo di andare avanti e non "cantare" in "latinorum" sempre lo stesso ritornello. Una precisazione sulla Costituzione italiana - di Federico La Sala

venerdì 19 ottobre 2007

Bagnasco: «La persona, fondamento di ogni valore»

DAL NOSTRO INVIATO A PISTOIA

di FRANCESCO OGNIBENE (Avvenire, 19.10.2007)

Cent’anni «di innumerevoli opere in campo sociale, economico, culturale, politico, sgorgate dalla intelligente creatività della fede e della carità cristiana». Cent’anni di Setti­mane sociali che documentano «la storia di un tessuto vivo», il «senso della storia e della presen­za di Dio nella vicenda dell’Italia di questo seco­lo ». Ne ha tracciato l’eredità il presidente della Cei e arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco - fresco di nomina cardinalizia - intervenendo ieri all’a­pertura di questa edizione centenaria nel duomo di Pistoia.

L’occasione di questo appuntamento nazionale è «particolarmente significativa», secondo Bagna­sco, anzitutto perché induce a «soffermarci a guar­dare il percorso», certo «non sempre agevole», che «tante generazioni di credenti hanno compiuto per il bene del Paese». Lungo questo cammino so­no numerose le «figure di donne e di uomini, di laici, di religiosi, di sacerdoti, di vescovi, a partire dai vescovi di Roma, che si sono succedute in­trecciando sempre un rapporto speciale col no­stro Paese, tutti protagonisti di un dialogo inces­sante con le necessità, le attese, le speranze, le sof­ferenze del popolo italiano». È un’autentica «tra­ma di amore e di responsabilità civile», che si è ri­preso a tessere a partire dal 1991, dopo l’interru­zione del 1970. Il compito affidato a questa nuova pagina delle Settimane sociali in una fase di «transizione» è la «elaborazione e proposta culturale attraverso il confronto delle idee e delle esperienze», nello sfor­zo per cercare «con fatica e lungimiranza di saper pensare in grande e guardare lontano». Oggi la Settimana sociale, precisa Bagnasco, si presenta così come l’«occasione per stare con fedeltà e crea­tività dinanzi alle nuove sfide che si presentano». A una Chiesa il cui volto più promettente è quel­lo dei «giovani dell’Agorà sulla spianata di Mon­torso » nel loro incontro col Papa di inizio settem­bre - «il volto di una Chiesa italiana che guarda al futuro con passione, con apertura e dedizione, con semplicità e fiducia» - il presidente dell’epi­scopato assegna la missione di riflettere e opera­re attorno all’idea forte di bene comune e, ancor più alla radice, a quella di persona. C’è infatti tra le due un «circolo virtuoso» che «siamo chiamati a innervare nella vita sociale» e che «parte dalla persona» per arrivare all’«ordine sociale «poiché - aggiunge Bagnasco citando la Gaudium et spes - l’ordine delle cose deve essere subordinato al­l’ordine delle persone, e non l’inverso». La visio­ne cristiana della società è una visione «realistica, che falsifica gli schematismi ideologici»: al suo in­terno la società «non può non essere connessa al­la persona, in un dinamismo che si articola su u­na trama scandita da precisi punti di riferimen­to ».

Bagnasco passa subito a enumerarli: «È possibile e doveroso - spiega - correlare giustizia, libertà, verità, carità, di fronte alla concretezza della vita e dei suoi problemi». In particolare «è essenziale al bene comune del nostro Paese un nuovo patto tra le generazioni all’insegna di un corretto prin­cipio di autorità e di comunità, di tradizione e di futuro».

Per evitare astrattismi occorre però «ridare al con­cetto di bene comune una attualizzata efficacia operativa». Come? Serve «una forte proposta e­ducativa in grado di introdurre alla vita e alla realtà intera, capace di giudizio, di proposte alte, di impegno concre­to e continuo, cordialmente aper­ta al bene di tutti e di ciascuno a prezzo di interessi individuali o particolari, a prezzo del proprio personale sacrificio». Di più: «Non solo non si può attuare il bene co­mune ma neppure concepirlo né tanto meno ragionarci e discuter­ne senza ricuperare le virtù cardi­nali della fortezza, della giustizia, della prudenza e della temperan­za, con le attitudini interiori che ne conseguono». Diversamente si parla al vento, in una deriva «facil­mente ideologica». È qui, «partendo dalla persona e ritornando alla persona», che si innesta l’impegno sui valori non negoziabili, che Bagnasco definisce «capisaldi del­la storia e della tradizione del nostro popolo»: «Penso - precisa - all’intangibilità della persona e della vita umana, dal concepimento fino al na­turale tramonto; a quella cellula fondante e inar­rivabile di ogni società che è la famiglia», «al va­lore incommensurabile della libertà che - lungi dall’essere mero arbitrio - è impegnativa adesio­ne al bene e alla verità, a quel codice morale che si radica nell’essere profondo e universale del­l’uomo ». A rendere tangibili questi valori sarà «una comu­nità cristiana capace di educare al sociale, di ali­mentare un tessuto di iniziative e di opere di respiro ben più che secolare, da cui zampilla una cultura cattolica capace di progettualità, volta a spender­si senza riserve per il bene comune». Per guidarla c’è «la parola dei pastori», «chiara ferma e rispet­tosa ». Perché «chi sta vicino alla gente - al contra­rio di quanti si muovono da posizioni preconcet­te - percepisce che esiste ed è forte l’attesa» della loro guida nel «delicato momento» del Paese.


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