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DANTE E LA "MONARCHIA" DI AMORE. L’Arca dell’Alleanza, il Logos, e l’ordine di Melchisedech...

DANTE ALIGHIERI (1265-1321)!!! LA LINGUA D’AMORE: UNA NUOVA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO. CON MARX E FREUD. Una "ipotesi di rilettura della DIVINA COMMEDIA" di Federico La Sala (in un "quaderno" della Rivista "Il dialogo"), con prefazione di Riccardo Pozzo.

AL DI LÀ DELL’EDIPO E DEI VECCHI HEGEL HEIDEGGER HABERMAS E RATZINGER. Nel 200° anniversario della pubblicazione della "Fenomenologia dello Spirito" di Hegel (1807)
martedì 23 ottobre 2007 di Maria Paola Falchinelli
L’Arca dell’Alleanza del Logos e il codice di Melchisedech
La Fenomenologia dello Spirito... dei “Due Soli”. Ipotesi di rilettura della “Divina Commedia”.
di Federico La Sala
IL DIALOGO/Quaderni di teologia, Martedì, 24 luglio 2007

VIRGILIO A DANTE: "«[...]Dunque: che è? perché, perché restai?/perché tanta viltà nel core allette?/perché ardire e franchezza non hai?/poscia che tai tre donne benedette/curan di (...)

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> DANTE ALIGHIERI (1265-1321)!!! LA LINGUA D’AMORE: UNA NUOVA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO. --- "Gli occhi di Cesare. La biblioteca latina di Dante". Un lavoro di Luciano Canfora

lunedì 16 novembre 2015

Ispirazione e tormento

Gli autori latini (e pagani) della biblioteca di Dante

Il libro di Luciano Canfora (Sellerio Editrice)

di Livia Capponi (Corriere della Sera, 16.11.2015)

L’ ultimo libro di Luciano Canfora, Gli occhi di Cesare. La biblioteca latina di Dante, si apre con il ritratto di Cesare «con li occhi grifagni» nella galleria dei grandi pagani che abitano il «nobile castello» posto da Dante all’interno del Limbo. Il particolare deriva da Svetonio, lettura colta per i medievali appassionati di storia romana. La ricostruzione della biblioteca latina di Dante è solo uno dei pregi del volumetto, che, attraverso un’erudita galoppata nei secoli, parte da Cesare e Alessandro, simboli della monarchia assoluta dall’antichità al Medioevo, per poi analizzare l’idea di impero e il rapporto Stato-Chiesa nella Monarchia dantesca.

Per Dante, l’impero romano è la provvidenziale preparazione alla diffusione del Cristianesimo su scala mondiale. Cesare e il suo oppositore Catone Uticense, colui che per la libertà «vita rifiuta» (era morto suicida nel 46 a.C. pur di non assistere alla fine della Repubblica), sono due aspetti di un disegno più grande, da cui consegue Augusto, il «buon monarca» da accettare come garante della convivenza umana.

Una monarchia universale come garanzia di pace è anche la risposta ai problemi dell’Italia di Dante. Lo spiega Giustiniano, protagonista del canto VI del Paradiso e incarnazione del cesaropapismo bizantino, dove è la Chiesa a essere subordinata all’imperatore, che, avendo ricevuto il potere direttamente da Dio, non ha bisogno di obbedire a un suo Vicario. L’errore, se mai, è stato la donazione di Costantino, il documento con cui si assegnava ufficialmente del territorio al Papa, legittimandone il potere temporale (fino al 1517, quando fu dimostrato falso dall’umanista Lorenzo Valla).

Questo è il macigno che costa alla Monarchia la condanna all’ Indice dei libri proibiti nel 1559, e suscita poi una serie di ritrattazioni papali, fino alla risoluzione del problema con la soppressione dell’ Indice stesso nel 1966. È noto che nella storia gli elenchi di libri proibiti funzionarono sempre come pubblicità a rovescio.

Nel Limbo i pagani sono condannati a desiderare, senza mai poterla conseguire, la «vera fede». Ma la desideravano davvero? Difficile per Dante (e per molti suoi lettori) accettare che gli «spiriti magni» dei classici, così grandi ed eticamente impeccabili, fossero esclusi da tutto solo perché nati prima di Cristo.

Per Canfora, quando fa dire al pagano Virgilio che senza la fede «ben far non basta», Dante sta convincendo anzitutto se stesso. Perché «ben far» non dovrebbe bastare alla salvezza? E, infatti, è proprio Virgilio che salva Dante.

Con Borges, Canfora vede in Omero, Orazio, Ovidio e Lucano nell’ Inferno proiezioni o figurazioni di Dante. I classici non solo nutrono la poesia dantesca, ma ne stimolano i risvolti filosofici, fino a insidiarla con dubbi tormentosi sul rapporto ragione-fede. Lo prova il monumento che Dante innalza a Ulisse, eroe pagano dannato in eterno.

Nella Monarchia, e nella Commedia, libertà non è arbitrario soddisfacimento delle proprie pulsioni (cioè il «viver come bruti»), ma libera obbedienza a leggi giuste, perché, anche a rischio di morire, «la semenza» degli uomini è fatta per «seguir virtute e canoscenza».

L’indagine filologica, che si snoda in maniera più appassionante di un giallo, risveglia la curiositas sulle inedite sinapsi fra gli autori del nostro patrimonio comune. Mostra le continuità classico-cristiane e il riaffiorare quasi «carsico» dell’idea di un potere politico sovranazionale più potente della religione. Alla fine, il lettore si ritrova in mano due armi formidabili contro ogni forma di oscurantismo: i classici e Dante.


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