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A Mikhail Gorbaciov e a Karol J. Wojtyla ... per la pace e il dialogo, quello vero!!!

"AVREMMO BISOGNO DI DIECI FRANCESCO DI ASSISI". LA RIVOLUZIONE EVANGELICA, LA RIVOLUZIONE RUSSA, E L’ "AVVENIRE" DELL’UNIONE SOVIETICA E DELLA CHIESA CATTOLICA. Le ultime riflessioni di Lenin raccolte da Viktor Bede - a cura di Federico La Sala.

«Io non sono in grado di affermare se i colloqui riferiti rappresentano una condanna della sua opera; ciononostante possono indurre anche noi a una riflessione».
venerdì 11 maggio 2012 di Maria Paola Falchinelli
[...] Alla presenza di un ex-prete ungherese, suo collega giornalista a Parigi e suo confidente, sicuro dell’imminenza della morte - come avevano affermato i medici - avrebbe dichiarato: «Ho sbagliato. Senza dubbio è stato necessario liberare masse di persone dalla repressione, ma i nostri metodi hanno avuto, come conseguenza, l’oppressione e il terrificante massacro di altri oppressi». Proseguiva, rivolto all’amico ungherese: «Tu sai che la mia malattia mi porterà presto alla morte e mi (...)

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> "AVREMMO BISOGNO DI DIECI FRANCESCO DI ASSISI". ---- Negri, Cacciari e Agamben invocano in coro una rivoluzione ispirata al poverello di Assisi (di Marco Rizzi - I sanculotti francescani)

domenica 5 agosto 2012

I sanculotti francescani

Negri, Cacciari e Agamben invocano in coro una rivoluzione ispirata al poverello di Assisi

di Marco Rizzi (Corriere della Sera/La Lettura, 5 agosto 2012)

Qualche giorno fa, durante il concerto di Patti Smith a villa Arconati, un ragno si era inerpicato sul microfono della cantante; l’assistente che si era precipitato a levarlo di mezzo, con fare minaccioso, si era però sentito intimare di non fargli alcun male. A differenza della gran parte dei suoi colleghi dello star system, il rispetto panico per le creature, aracnidi inclusi, non deriva a Patti Smith da qualche filosofia orientale, appresa più o meno di seconda mano, bensì da una intensa frequentazione con san Francesco e i suoi testi.

Nell’ultima raccolta (Banga. Believe or explode, Columbia records), spicca un lungo reading, «Constantine’s dream», il sogno di Costantino, ispirato dal celebre affresco di Piero della Francesca nella chiesa di san Francesco ad Arezzo; il sogno dell’imperatore diviene quello della cantante, che prega con Francesco, dipinge con Piero, accompagna Costantino nella battaglia vittoriosa, prima, e Colombo, poi, alla scoperta dell’America, per concludersi nella notte apocalittica del XXI secolo, in cui «si dissolve nella luce il sogno del re angosciato»; in sottofondo - in italiano - le parole della «preghiera semplice» apocrifamente attribuita a Francesco.

Non pochi lettori potrebbero rimanere del tutto sconcertati dall’accostamento di Francesco all’imperatore della svolta che fece del cristianesimo la religione dell’impero romano e, ancor più, alla conquista dell’America, viaggio sinonimo di tutti gli imperialismi, in andata e - soprattutto - in ritorno. Ma decenni di indagine storiografica hanno demolito l’immagine un po’ melensa e protoecologista del santo di Assisi, sostituendola con un ritratto di una personalità e di una vicenda di ben altra forza e complessità: in Francesco, il problema della natura si lega strettamente a quello della povertà e centrale risulta la distinzione, che diverrà fonte di tutti i successivi conflitti con l’autorità ecclesiastica, tra uso e possesso, tra un rapporto con i beni della creazione fondato sulla condivisione o sull’appropriazione. Tuttavia Francesco è soprattutto diventato oggetto, imprevisto e un po’ paradossale, di una serie di riflessioni in ambito filosofico e politico, che ne fanno il portatore di una «rivoluzione» opposta e alternativa a ogni forma di potere e di imperialismo, che rappresenterebbero l’odierna versione dell’istituzone ecclesiastica che spense l’originario afflato francescano.

Ha iniziato Toni Negri, che in Impero (Rizzoli) non ha avuto remore a scrivere come nell’epoca postmoderna ci ritroviamo esattamente nella medesima situazione di san Francesco e, come lui, alla miseria del potere possiamo contrapporre la gioia dell’essere: «È una rivoluzione che nessun potere potrà controllare. In ciò consiste l’irreprimibile chiarezza e l’irreprimibile gioia di essere comunista».

Meno ingenuamente, Massimo Cacciari (Doppio ritratto. San Francesco in Dante e Giotto, Adelphi) ricorre alla categoria di «profezia radicale» per individuare l’essenza del messaggio del santo (ma la quarta di copertina sa che per intrigare i lettori bisogna parlare proprio di «rivoluzione francescana»); un messaggio tradito dai suoi due sommi divulgatori sul piano letterario (Dante) e su quello visivo (Giotto), nel momento in cui si sforzano di rapportarlo alle condizioni ordinarie dell’esistenza umana per comunicarlo all’uditorio universale. Allo stesso modo, i progetti religiosi, teologici o politici che nei secoli successivi si sarebbero richiamati a Francesco non lo avrebbero mai rappresentato appieno, come, del resto, il modello cristologico di Francesco (il Gesù dello svuotamento di sé, la kenosis) resisterebbe, secondo Cacciari, «oltre ogni cristianesimo».

Ancora più radicale l’approccio di Giorgio Agamben, che, denunciando l’abbandono del lascito più prezioso del francescanesimo, individua un compito decisivo e indifferibile per l’Occidente: pensare una vita umana «del tutto sottratta alla presa del diritto e un uso dei corpi e del mondo che non si sostanzi mai in un’appropriazione». In tutto questo, però, il messaggio di Francesco nulla avrebbe più a che fare con il cristianesimo né, tanto meno, con la Chiesa. II vecchio detto anarchico «a ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue capacità», diviene nel neofrancescanesimo anomico di Agamben «pensare la vita come ciò di cui non si dà mai proprietà ma soltanto un uso comune». Questo, però, era già il programma della prima comunità cristiana descritta dal quinto capitolo degli Atti degli apostoli. Senza questo precedente, di natura strettamente ecclesiologica, neppure il riferimento diretto al modello di Cristo avrebbe avuto senso per Francesco: la comunità delle origini è segno della possibilità storica, non mera tensione escatologica, dell’ideale di povertà nella e per la Chiesa predicato da Francesco.

A ben vedere, a inaugurare una via d’uscita «francescana» dalla crisi del pensiero marxista era stata già la pubblicazione, voluta da Paolo Pullega all’inizio degli anni Ottanta, di una raccolta di scritti di Gyorgy Lukàcs anteriori alla svolta marxista, significativamente intitolata Sulla povertà di spirito (Cappelli, 1981), in cui il riferimento era a Francesco come il primo che aveva ricercato la povertà, anziché subirla; in questo, Lukács vedeva un’analogia con lo sforzo di essenzializzazione della rivoluzione astrattista nella pittura.

Due anni prima, nel settembre del 1979, Patti Smith aveva concluso la prima fase della sua carriera con un memorabile concerto a Firenze, nel clima cupo e sovraeccitato dal terrorismo, dalle tensioni sociali e dalle utopie rivoluzionarie che percorrevano l’Italia nell’ultimo scorcio degli anni Settanta. Ricorda lei stessa: «Prima di iniziare misi un nastro con la voce di Giovanni Paolo I che parlava ai bambini, e lo fischiarono. La terza sinfonia di Beethoven, secondo movimento, e la fischiarono». Come era solita fare, allora, iniziò il concerto mandando il fratello a sventolare la bandiera americana. Fu un trionfo. Gran parte del pubblico di allora sognava la rivoluzione, quella vera; qualche decennio dopo, intellettuali pensosi hanno riscoperto quella di Francesco; qualcuno pure quella americana.


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