Pirandello: la fede nata dalla terra e dal Caos
Ricostruita la storia della famiglia e della casa del drammaturgo; che ebbe due zii preti (uno quasi santo) e una madre molto pia
di Andrea Bisicchia (Avvenire, 05.06.2007)
Il lettore de La campagna del Caos di Gianni Di Falco (Editrice Petite Plaisance, Pistoia, euro 13), dinnanzi a una documentazione per nulla nota agli studiosi pirandelliani, essendo costruita su documenti demaniali e catastali in molti casi inediti, finisce per trovarsi in un pianeta sconosciuto per quanto riguarda la fanciullezza di Luigi e gli anni della sua formazione familiare. L’autore, in fondo, ricostruendo la storia del Caos, finisce per ricostruire quella della casa natale di Luigi Pirandello, addirittura prima della nascita, partendo dal matrimonio tra Stefano Pirandello e Caterina Ricci Gramitto, donna religiosissima, sorella di don Vincenzo morto in odore di santità, e di don Innocenzo al quale la tenuta del caos verrà intestata, dopo una lunga trattativa con il barone Salvatore Ricci.
Se da una parte scopriamo che la storia del Caos risale addirittura al 1600, e che soltanto dal 1800 appartiene, dopo varie vicissitudini che stanno dietro al diritto di enfiteusi, agli antenati di Pirandello, dall’altra parte comprendiamo meglio perché il sentimento del sacro sia presente nell’opera pirandelliana, vista l’educazione materna e il suo accentuato cattolicesimo. Il rapporto che Pirandello ebbe con la fede lo ritroviamo, in maniera tormentata, in alcune novelle come, Il tabernacolo (1903), Dono della vergine Maria (1899), La Sagra del signore della nave (1925), La storia dell’Angelo Centuno, utilizzata anche in una scena dei Giganti della montagna (1936), per non parlare del tema del sacerdozio che sviluppa in Lazzaro. Scopriamo inoltre che Pirandello era ossessionato dall’oltre, problema che ritroviamo in gran parte della narrativa e del il teatro. Ne I quaderni di Serafino Gubbio operatore, Pirandello scrive: «C’è un oltre in tutto. Voi non volete o non sapete vederlo». Mentre in Uno nessuno, centomila (1925), Pirandello distingue un Dio di fuori e un Dio di dentro, tanto che il protagonista Vitangelo Moscarda dirà: «A me è bastato finora averlo dentro, a mio modo, il sentimento di Dio». In quegli anni, scrivendo a don De Luca, Pirandello evidenzia ancora questo suo bisogno di fede: «Io ho una fede in Dio, non so se vera per lei, prete, ma fermissima, alla quale ho dovuto obbedire, offrire dolorose rinunzie». Ma è ne I Giganti della montagna, il suo testamento artistico e direi spirituale, che Pirandello sostiene la necessità dell’oltre, dell’invisibile, quello che ci mette in contatto con Dio e con l’infinito. Queste considerazioni mi sono venute in mente approfondendo le figure degli zii preti che, tra l’altro, occupavano un posto importante nella cattedrale di Agrigento e meglio ancora quella della madre, donna pia e devota alla quale Di Falco fa continui riferimenti, raccontandoci anche certi aspetti drammatici del suo matrimonio con Stefano Pirandello dovuti a difficoltà economiche causate da un crollo finanziario che lo vedeva protagonista, ai quali dovette assistere anche il giovane Luigi. La campagna del Caos divenne pertanto il teatro di questa crisi, tanto che Pirandello ne risentì durante gli anni del suo sviluppo culturale e spirituale compiutosi tra Palermo, Roma e Bonn. Di Falco ci accompagna lungo questo viaggio trattando la biografia con i mezzi a cui abbiamo accennato, restituendoci il Caos non solo come spazio fisico, ma come spazio della mente del grande narratore e drammaturgo.