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Di Cosmo de La Fuente

Chavez il tiranno, ecco le novità dal Venezuela

La marcia del sale dei venezuelani e le voci, sempre più insistenti, che parlano di malcontento persino tra i militari. Risvolti pericolosi all’orizzonte
mercoledì 6 giugno 2007 di Emiliano Morrone
Proprio come Gandhi con la sua pacifica protesta, il quale, nel 1930, per dimostrare allo stato inglese che il regime non avrebbe fermato il desiderio di rivalsa del popolo, giunse, dopo 24 giorni di cammino, al mar arabico, per ottenere il sale attraverso l’evaporazione dell’acqua di mare ,in maniera illegale perché ottenuta liberamente senza il pagamento della tassa, che non si oppose poi all’arresto e alle torture, così sta marciando il popolo del Venezuela.
La vera rivoluzione è quella (...)

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> Chavez: Odio o amore, la fascinazione degli intellettuali. - Ecco perché il Caudillo mi ha affascinato (di Gianni Vattimo)

giovedì 7 marzo 2013

IL FILOSOFO TORINESE È STATO SPESSO OSPITE DEL GOVERNO VENEZUELANO ECCO PERCHÉ IL CAUDILLO MI HA AFFASCINATO

Hugo Chávez

Ecco perché il Caudillo mi ha affascinato

di Gianni Vattimo (La Stampa, 07.03.2013)

«Il n’est pas tombé, il est mort»: questa frase, riferita tradizionalmente - credo - a Jean Antoine Carrel, uno dei primi scalatori del Cervino, mi viene in mente ora mentre, con una commozione che riesce nuova anche a me penso alla scomparsa di Hugo Chavez. Anche lui non è caduto, ha tenuto duro fino alla morte, facendo della sua resistenza alla malattia un emblema della sua lotta politica per l’ideale di una America Latina «bolivariana». Per me come per tanti occidentali della mia formazione, Chavez aveva tutte le qualità per essere guardato con sospetto: militare, «golpista» almeno agli inizi della sua avventura politica, populista, «caudillo», e via dicendo.

Pregiudizi che continuano a ispirare molta dell’opinione «democratica» prevalente. Che non solo si fanno gioco dei sospetti (non provati, ma del tutto verosimili conoscendo la Cia e le imprese petrolifere) sul suo preteso avvelenamento da parte dei suoi nemici di sempre, ma che dimenticano la sostanza della sua immensa azione di riscatto del suo Paese e di tutto il Sud America.

Chavez ha ripreso, facendone una corposa realtà, quella che ormai era diventata una sorta di mito, l’eredità di Castro e del Che. Incontrando direttamente, nel corso di ripetuti soggiorni, fino all’ultimo in occasione della sua ennesima rielezione nel novembre passato, la realtà del Venezuela, era difficile non rendersi conto della verità che troppo spesso i media occidentali ci nascondevano: e cioè che, avendo ricuperato i proventi dell’industria petrolifera, Chavez ha avviato e in gran parte realizzato una epocale trasformazione emancipativa del suo Paese: scuole che anche nelle zone amazzoniche più remote hanno ridotto drasticamente l’analfabetismo, assistenza sanitaria gratuita e di qualità, programmi sociali che hanno debellato la povertà estrema in cui il Paese, tra i più ricchi di risorse naturali, versava sotto i regimi «democratici» di impronta neocoloniale.

Impressionante è stato tutto il piano delle «misiones»: una sorta di sistema di gruppi di intervento volontari dei cittadini, che affiancano l’amministrazione pubblica in settori particolarmente importanti.

Essendo gruppi volontari, è ovvio che chi vi si impegna siano i «chavisti», prestando così il fianco all’obiezione che si tratti di roba di regime. Non sono però chiusi a nessuno, basta decidere di partecipavi. Si è così diffusa una vitalità democratica «di base» che nelle nostre democrazie «mature» non si riesce nemmeno a immaginare.

Le misiones e la politica sociale sono ciò che ha colpito tanti intellettuali occidentali, primo fra tutti Noam Chomsky, o cineasti come Michael Moore e Oliver Stone. I quali, come gli altri visitatori, quando arrivano a Caracas domandano quali quotidiani leggere, e si accorgono che i media sono tutti, salvo la televisione di stato, anti-Chavez. Sarebbe questo un Paese dove non c’è libertà di pensiero, di informazione, di stampa?

Ma la forza dell’esempio di Chavez si vede anche e soprattutto da quello che è accaduto in tanti Paesi latino-americani negli anni recenti. Come Chavez sarebbe impensabile senza Castro, così Evo Morales, Correa, Mujica e gli stessi Lula e Cristina Kirchner sono impensabile senza Chavez. Tutti insieme costituiscono forse la sola grande novità della politica mondiale di questi decenni, molto più che lo sviluppo neocapitalistico di Cina e India. Un modello di democrazia di base a cui l’Europa dovrebbe guardare con più attenzione.


Hugo Chávez

Odio o amore, la fascinazione degli intellettuali

di Luca Mastrantonio (Corriere della Sera, 07.03.2013)

Nel gennaio del 1999 Gabriel García Márquez e Hugo Chávez hanno viaggiato assieme, dall’Avana a Caracas, su un aereo delle forze venezuelane. Si erano conosciuti durante un incontro con Castro. García Márquez si definiva un giornalista in pensione, Chávez era presidente del Venezuela da circa due settimane. Ma era un onore, per lui, conoscere lo scrittore colombiano, autore del romanzo Il generale nel suo labirinto, incentrato sulla storia di Simón Bolívar, letto e riletto in prigione. García Marquez - come raccontò in un articolo per la rivista Cambio - era magnetizzato da Chávez. Il «corpo di cemento armato», la «cordialità immediata, la «grazia da venezuelano puro».

Chávez parlò per tutto il viaggio. Raccontò la sua storia di povertà e trionfi, i suoi talenti, dal canto al baseball, la scelta militare, la formazione intellettuale, la rabbia sociale, il golpe fallito nel 1992 e la mossa di arrendersi a patto di parlare in tv a tutta la nazione. Quel video, annota García Márquez, «era il primo della campagna elettorale che lo avrebbe portato alla presidenza della Repubblica»; grazie all’amnistia arrivata dopo soli due anni e i consigli di un oscuro spin-doctor, l’argentino Norberto Ceresole, teorico del «caudillo» post-moderno.

Arrivati a Caracas - conclude nel suo articolo «L’enigma dei due Chávez» - García Marquez guarda dal finestrino una nebbiolina luminosa, come di stella distante, e conclude: «Mi venne l’impressione di aver viaggiato e conversato con due uomini opposti. Uno a cui la sorte ha dato l’opportunità di salvare il suo Paese. E l’altro, un illusionista, che potrebbe passare alla storia come un despota». Quale dei due fosse sceso da quell’aereo non è mai stato rivelato da Gabo.

Non aveva dubbi, invece, José Saramago. Sedotto a Caracas da come Chávez sapesse «toccare il cuore del popolo». Il nobel portoghese firmò un appello contro gli Usa per le presunte manovre dietro il golpe anti Chávez del 2002; Chávez lo scelse per sostituire la prefazione dell’ostile Vargas Llosa, peruviano, al Don Chisciotte in versione popolare. Nel 2005 Saramago intervenne per denunciare l’uso politico che gli anti-chavisti stavano facendo del suo romanzo Saggio sulla lucidità: «Mi hanno piratato un libro in Cina - scrisse - e in America Latina, ma nessuno mi aveva piratato un’idea», prima che l’opposizione venezuelana cercasse «di diffondere la falsa analogia tra il voto in bianco di cui si parla nel romanzo e l’astensione da loro invocata alle elezioni» in segno di protesta contro Chávez.

Dall’entusiasmo al livore. Altro che cuore. A Roberto Bolaño il caudillo venezuelano rivoltava lo stomaco. Non si può rifondare la sinistra - diceva a El Mercurio nel 2003 - se «continua ad appoggiare Castro, che è simile a un tiranno bananero». Il cileno lo trita nel sarcasmo di «Los mitos de Cthulhu», pubblicato nel Gaucho insopportabile: «Dio benedica i figli ritardati di García Márquez e i figli ritardati di Octavio Paz (...) Dio benedica i campi di concentramento per omosessuali di Fidel Castro e i ventimila desaparecidos dell’Argentina e la faccia perplessa di Videla e il sorriso da vecchio maschione di Perón e gli assassini di bambini di Rio de Janeiro e il castigliano di cui si serve Hugo Chávez, che puzza di merda».

La scrittura real-visceralista di Bolaño ribollì d’odio contro i chavisti che gestivano il Celarg, l’istituzione del premio Romulo Gallegos, che aveva vinto con il capolavoro I detective selvaggi nel 1999. Era giurato dell’edizione successiva, ma era stato falsificato il suo voto e fu messa in giro la voce che l’assenza era dovuta a biechi motivi economici (quando in realtà stavano peggiorando le sue già precarie condizioni di salute). Bolaño, nella lettera pubblicata dal giornale Tal Cual, invitò i «neo-stalinisti» dalla pancia piena come piccoli mafiosi a mettersi i soldi che gli dovevano dare e tutti i libri che aveva letto per loro, circa 250, là dove il Demonio, si dice, produca danaro.


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