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LA "PAROLA". Eu-angelo (Buona-notizia) o ... van-gelo ?!

IL POTERE DELLA PAROLA. «Ci sono solo due modi di fare letteratura». «Fare letteratura o costruire spilli per inculare le mosche». Una riflessione di Roberto Saviano - a cura di pfls

La criminalità dell’ex Urss: Roberto Saviano lo ha indagato con l’aiuto di un infiltrato speciale, Nicolai Lilin.
giovedì 3 maggio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Quando ero ragazzino scrissi un racconto metafisico e surrealista e lo inviai a Goffredo Fofi. Dopo qualche giorno mi arrivò un foglio di poche righe in una busta di carta riciclata: "Mi piace come scrivi, peccato che scrivi idiozie, ho visto da dove mi hai spedito la lettera. Affacciati alla finestra e raccontami cosa vedi, scendi giù, attraversa cosa vedi. Poi rispediscimi tutto, e ne riparliamo". Da allora affacciarsi e attraversare le cose mi sembrò l’unico modo per poter (...)

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> IL POTERE DELLA PAROLA. ---- Ora salgo sul palco e vado in scena sono stanco della mia solitudine. Dopo Gomorra, le minacce, la scorta mi sono convinto che vale la pena parlare (di Roberto Saviano).

venerdì 29 maggio 2009

Dal 6 all’8 ottobre e a febbraio lo scrittore sarà al Piccolo di Milano con "La bellezza e l’inferno"

"Dopo Gomorra, le minacce, la scorta mi sono convinto che vale la pena parlare"

-  "Ora salgo sul palco e vado in scena
-  sono stanco della mia solitudine"

di ROBERTO SAVIANO *

Ho scelto di raccontare sul palcoscenico del Piccolo di Milano quello che mi è capitato in questi tre anni. Lo faccio attraverso il teatro perché sono stanco di tanta solitudine, perché vorrei provare ad avere un rapporto diretto con i miei lettori. Voglio che possano guardarmi e, soprattutto, vorrei io poter guardare loro.

Poter sentire il calore e la forza che ti dà uno sguardo. Poter condividere lo spazio della parola. Sentire e vedere dove arriva. A chi arriva. Per fare questo avevo bisogno della piattaforma più adatta a me come persona e come scrittore. Di un luogo pregno di storia eppure dinamico, di un luogo coraggioso nel suo poter diventare metaforico della comprensione del nostro tempo.

Tutto ciò che la mia vita è diventata dalla pubblicazione di Gomorra in poi, le minacce, la scorta, l’isolamento, la diffamazione, si sono rivelati il carburante e lo sprone che mi hanno convinto che vale la pena parlare, che la letteratura e l’arte non sono attività superflue, ma fondamentali e che soprattutto possono salvare la vita.

In questi anni mi sono accorto dell’enorme capacità che ha il teatro di difendere e rendere salda la comunicazione non costringendola al ritmo televisivo e tenendola al riparo dall’intrusione delle immagini. In qualche modo, mi sembrava capace di restituire quel che la televisione aveva sottratto: carne, parola viva e soprattutto, tempo di riflessione.

Tuttavia, non credo che tra televisione e teatro vi sia alcuna contrapposizione, anzi mi convinco sempre di più che debbano tornare a contaminarsi, o iniziare a farlo in modo totalmente nuovo. La televisione riappropriandosi di tempi più umani, il teatro della specifica funzione informativa che da sempre gli appartiene e che evidentemente manca altrove. Qualcuno definisce la forma di teatro che veicola informazioni "teatro civile". E gli attori e i registi si sentono spesso infastiditi da questa aggiunta. Io che non sono né attore né regista, ma che mi definisco, in questo senso, un abusivo del teatro, sono felice di poter praticare una forma di civiltà attraverso la parola portata sopra un palcoscenico.

Sono estremamente stimolato dalla prospettiva che il teatro possa essere un’alternativa, che possa non soltanto intrattenere e rappresentare, ma perfino informare, aggiornare. Nel mio sogno di uomo cresciuto nel sud Italia, il teatro continua a essere uno spazio della polis, uno spazio non a margine o al lato della vita quotidiana, inteso come una sottospecie di passatempo per colti, ma come una necessaria e unica opportunità di riappropriarsi dello spazio pubblico.

Da qui la collaborazione col Piccolo che è conseguenza di un’empatia fortissima nata con il suo direttore, Sergio Escobar, e con uno "spazio" che negli anni è riuscito a considerare la forma teatrale come una specie di sistema immunitario di cui il corpo sociale dispone per difendersi dagli attacchi alla dignità. Come se il teatro salvasse quanto di umano c’è ancora, e attraverso la parola, mezzo fortissimo e al tempo stesso fragile, permettesse di riconoscere chi ci assomiglia e di voler conoscere chi è diverso da noi.

Mi piace l’idea di poter parlare - nell’alchimia che si crea tra parola, palco e spettatore - di ciò che mi è accaduto negli anni di reclusione e isolamento. Di tutte le situazioni che ho vissuto, dei libri che ho letto e soprattutto delle persone che ho incontrato, che sono entrate a far parte della mia vita come sporadiche luci nei miei lunghissimi bui. Luci fatte, però, di talenti, deboli e forti, evidenti e nascosti, ma sempre grandi.

Raccontandoli, attraverso una forma che sento particolarmente congeniale, quella del monologo, potrò mostrare come la parola, da sola, possa rappresentare l’unica alternativa di resistenza in una vita blindata. E magari riuscirò anche a convincere il mio pubblico che il talento e la forza impegnata da Anna Politkovskaja, Miriam Makeba, dei pugili di Marcianise, di Lionel Messi, di Michel Petrucciani e di Enzo Biagi sia la forma attraverso cui la bellezza è capace di contrapporsi e resistere all’inferno.

Published by arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency

* la Repubblica, 29 maggio 2009


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