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Cercate ancora (Claudio Napoleoni, 1990)

PRIMO LEVI. Quando Levi morì (11 aprile 1987), Claudio Magris scrisse un articolo che cominciava così: «È morto un autore le cui opere ce le troveremo di fronte al momento del Giudizio Universale». Un ricordo di Ferdinando Camon - a cura di pfls

lunedì 2 aprile 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Nella sua sopravvivenza e nella sua scrittura c’è stato un doppio fallimento del sistema lager. Il sistema lager non ha agito su Levi con tutta la sua forza. Perché Levi era un chimico, perché ha imparato il tedesco, perché non si è mai ammalato, e perché ha avuto la fortuna di ammalarsi negli ultimi giorni, evitando la marcia della morte, l’evacuazione dal lager (raccontata da Elie Wiesel)[...]
[...]«C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio». [...] «Non trovo una soluzione al (...)

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>La voce di Primo Levi dall’abisso di Auschwitz -- Ruppe subito il silenzio. E molti non lo capirono. E trovare un editore all’inizio fu un problema.

sabato 27 gennaio 2018

Ruppe subito il silenzio. E molti non lo capirono
-  Altri preferivano non rievocare tante atrocità
-  E trovare un editore all’inizio fu un problema

di Frediano Sessi (Corriere della Sera, 27.01.2018)

Il ritorno a casa dalla deportazione, per Primo Levi, fu lungo più del previsto. «Per ragioni non chiare - scrive - il nostro rimpatrio ebbe luogo il 19 ottobre del 1945», dopo trentacinque giorni di viaggio. A Torino, nessuno lo aspettava. «Ero gonfio, barbuto e lacero, e stentai a farmi riconoscere». A casa, si sentiva schiacciato dal peso dei ricordi, più vicino ai morti che ai vivi.

La poesia fu il primo rifugio nella parola scritta; ma sul treno che lo riportava a Torino, Levi aveva cominciato a raccontare la sua storia. Così, quando in novembre prese a scrivere i singoli episodi del libro di ricordi, aveva ben chiaro che cosa dire. Scrisse forse gli ultimi capitoli; come disse poi in alcune interviste, Storia di dieci giorni fu il primo a essere scritto.

Furono gli amici e la sorella Anna Maria a leggere il dattiloscritto e a incoraggiare Primo a pubblicarlo, così il testo fu inviato ad alcuni editori, tra i quali la casa editrice Einaudi. Ma in breve, il libro fu letto e rifiutato da tutte le case editrici interpellate. Che fare? L’amico Silvio Ortona, segretario del Partito comunista di Vercelli, dopo avere letto alcuni capitoli, gli propose di pubblicarli a puntate sul settimanale del partito «L’Amico del Popolo». È il primo passo verso una redazione pubblica dei ricordi di Levi.

Intanto, la sorella Anna Maria, aveva portato il dattiloscritto agli uffici della casa editrice De Silva, di proprietà di Franco Antonicelli, che accolse la proposta di buon grado. In attesa della pubblicazione presso l’editore De Silva, Levi apportò alcune modifiche al dattiloscritto. Aggiunse colore, emozione, precisione e dettagli alle descrizioni, cercando di arrivare in modo più diretto al cuore del lettore: «Ho cercato di mantenere l’attenzione sui molti, sulla norma, sull’uomo qualsiasi, non infame e non santo, che di grande non ha che la sofferenza». Il libro fu stampato in 2.500 copie, ma ebbe poca circolazione al di fuori della città di Torino e del Piemonte. Già nella primavera del 1948, nessuno ne parlerà più, nonostante le ottime recensioni scritte da Italo Calvino e Cesare Cases.

Verso la fine di maggio del 1955, Levi ricorda che fu invitato a commentare una mostra sulla Resistenza in Piemonte e che fu assediato «veramente bombardato», di domande sulla sua esperienza diretta. Allora si decise a riportare il suo libro alla casa editrice Einaudi che, questa volta, l’11 luglio del 1955 firmò un contratto per la riedizione. Nonostante l’impegno previsto di pubblicarlo entro il marzo del 1956, il libro sarà di nuovo in libreria solo nel giugno del 1958.

Le differenze tra la prima edizione De Silva e la nuova edizione Einaudi sono significative: per esempio, mentre la prima edizione comincia con il racconto del campo di Fossoli, la seconda riporta il racconto dell’arresto in Valle d’Aosta.

Levi vuole così stabilire un ponte tra la sua storia di ebreo ad Auschwitz e il breve periodo trascorso nella Resistenza. Molte altre aggiunte vanno nella direzione di attribuire maggiore chiarezza al testo, che deve, assolutamente, raccontare dei fatti. Levi accorda un posto di rilievo al racconto di alcuni bambini deportati. -Questo si spiega anche con il fatto che nel 1958, Levi è padre per la seconda volta. Le altre aggiunte riguardano per esempio il terzo capitolo, Iniziazione , che non era presente nella prima edizione; capitolo nel quale Levi presenta la babele concentrazionaria. Interessante notare il senso profondo di queste aggiunte: la volontà di annientare gli ebrei, sembra suggerire Levi, riguarda l’intera umanità, proprio perché colpisce anche i bambini.

La scrittura di Levi, procede già in questo libro per «tessere», vale a dire parti essenziali che si incastrano e che hanno funzioni diverse: a volte sono narrative, altre volte invitano o propongono una riflessione, altre volte servono a costruire il sentimento del tempo, a sollecitare, più che la ragione, l’emozione del fatto narrato, quasi a voler indurre il lettore a provare compassione.

Ma il viaggio di Se questo è un uomo non finisce qui: nel 1964, Levi licenzia una versione radiofonica del libro, che andrà in onda alla radio il 25 di aprile, anniversario della Liberazione. La riduzione teatrale, invece, scritta in collaborazione con l’attore Pieralberto Marché è del 1966.


Il coraggio di ricordare e il dovere di raccontare

La voce di Primo Levi dall’abisso di Auschwitz

di Antonio Ferrari (Corriere della Sera, 27.01.2018)

      • La collana
        -  Oggi in edicola con il quotidiano «Se questo è un uomo», il primodi sedici volumi contenenti le opere del grande scrittore ebreo sopravvissuto alla deportazione nel più importante campo di concentramento e di sterminio. Una testimonianza di valore inestimabile sotto il profilo civile e quello letterario

In Primo Levi tanti si sono specchiati, perché lo scrittore sopravvissuto agli orrori di Auschwitz non sfoggiava coraggio indomito da superuomo, ma aveva la forza che scaturisce dalla volontà di chi ha dominato la paura. La sua storia nasce dalla rabbia per le ferite subite (fisiche, ma soprattutto psicologiche) che lo hanno spinto a voler raccontare subito quel che gli altri sopravvissuti ai campi di sterminio avevano e hanno taciuto per quasi trent’anni, nel timore di non essere creduti.

Questo ebreo, convinto antifascista, dopo qualche dissapore famigliare, si era unito a formazioni partigiane, e dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943, aveva raggiunto le montagne della Val d’Aosta. «E ora chi vuole davvero combattere ha preso la via dei monti», aveva scritto Ruggero Zangrandi.

Non fu fortunato, Primo Levi. Catturato dai nazifascisti, preferì confessare la sua appartenenza - «sono ebreo» - piuttosto che rischiare di compromettere i compagni che lottavano con lui contro gli occupanti tedeschi e le forze della Rsi.

Arrestato subito, fu portato a Fossoli, campo di transito non lontano da Carpi, in provincia di Modena. Da lì, caricato su un treno merci in cui c’erano cinquanta persone per carrozza, visse il destino dei tanti sventurati che condivisero quel feroce viaggio, in cui la maggior parte, soprattutto gli anziani e i più deboli, morirono prima di arrivare a destinazione. Levi ebbe una prima «fortuna», se così si può dire.
-  Essendo laureato in Chimica, aveva ottenuto il «privilegio» d’essere dirottato dopo qualche tempo nel campo di Buna-Monowitz, conosciuto come Auschwitz III, che dista poche centinaia di metri dal lager centrale. Non era di salute ferrea, anzi piuttosto cagionevole, ma fu subito circondato dall’umanità di alcune persone che riuscivano a comprenderne il dramma. Ed è qui che Primo Levi scopre il mondo, feroce, solidale e spietato, delle retrovie del campo di sterminio, dove ciascuno aveva un ruolo: i morti viventi, i predestinati, gli intraprendenti, i kapò. Le camere a gas erano a poca distanza, dai camini uscivano fumo e cenere. Se questo è un uomo, capolavoro di testimonianza diretta e realismo, è il racconto-documento che Levi scrisse di getto, tra la fine del 1945 e il gennaio 1947. Un tuffo terribile, nel desiderio di sapere, di vedere e di conoscere, a che cosa può portare l’abiezione, e l’ingresso in un inferno dantesco.

Primo Levi respira la vita del lager, e in particolare si lega al gruppo degli ebrei saloniki , che vengono dalla città al nord della Grecia e che hanno imparato in fretta, essendo stati deportati in anticipo, le immonde regole del lager, dove ogni cosa, ogni oggetto, ogni informazione, ogni pezzo di pane ha un prezzo e un valore. La fame è un incubo, e gli ebrei di Salonicco si dimostrano «ladri, saggi, generosi, furfanti e solidali», come li ha descritti Levi, e come ha ricordato Sergio Luzzatto sulle colonne del nostro «Corriere della Sera» nel 2007. È come se anche ad Auschwitz ci fosse una Borsa valori, che calcolava non soltanto le valute sottratte agli aguzzini nazisti o agli ebrei che le avevano nascoste. Borsa che seguiva indici spietati da mercato ultracapitalistico, altro che hedge fund e Bitcoin.

Per esempio, come racconta Levi, il cambio di biancheria intima al mercato del lager aveva regole ferree: a volte si poteva scambiare una camicia con discrete dosi di cibo, altre volte la camicia o gli «intimi» non valevano neppure un tozzo di pace. Liliana Segre, che il presidente Sergio Mattarella ha nominato senatrice a vita, ha raccontato che una volta, in coda per la distribuzione di un’improbabile minestra a un gruppo di affamati, aveva ascoltato da una detenuta precedente che in quella «brodaglia» nuotava un topo. La Segre disse: «Forse andava bene anche il topo».

La fame era davvero un incubo. I saloniki , che del lager conoscevano ormai tutti i segreti e i sotterfugi, erano diventati, con le buone o le cattive, i padroni delle cucine, contando su una sottile ed esperta catena di spicciola corruzione. Un ebreo di Salonicco, che ormai faceva parte del Sonderkommando, cioè degli ebrei addetti alla pulizia delle camere a gas e dei forni crematori, raccontò alla collega Alessia Rastelli e a chi scrive che si poteva anche tentare di sottrarsi al forno, pagando una forte somma o qualche dente d’oro. Sami Modiano, che veniva da Rodi, ci raccontò che, ormai destinato al gas, si salvò perché era arrivato un carico di patate alla stazione e i nazisti avevano bisogno di braccia giovani per scaricarle. Nedo Fiano, altro sopravvissuto, ci raccontò d’essersi salvato perché conosceva il tedesco, sapeva cantare ed era di Firenze. L’ufficiale-aguzzino, che forse era andato in vacanza nel capoluogo toscano con la fidanzata, lo prese in simpatia.

Primo Levi, nelle pagine più intense di Se questo è un uomo, racconta le prime notti sul pagliericcio e l’ingresso in quel tremendo dormiveglia fra il sogno di rivedere la libertà, la casa, gli amici, e l’incubo di un cibo abbondante che non riusciva mai a raggiungere, perché il sogno-incubo finiva. Poco prima della liberazione del lager da parte dell’Armata Rossa, Levi vive un secondo «incidente fortunato». Si ammala di scarlattina, malattia infettiva, e viene ricoverato nell’infermeria. Evita così la «marcia della morte», con il brutale trasferimento dei prigionieri: chi non ce la faceva e cadeva, veniva ucciso subito. I nazisti non volevano testimoni dei loro crimini.

Dopo molte peripezie, lo scrittore-chimico torna a Torino, cerca di riadattarsi alla vita civile, ma deve prendersi carico della mamma e della suocera, seriamente malate. Levi, a 67 anni, in fondo alle scale della sua casa, cade e muore. Si disse che non era stato un incidente, ma forse un suicidio. Non si può escluderlo. Della vita Primo Levi aveva conosciuto, da fragile coraggioso, soprattutto il peggio.

      • Memoria, romanzi e racconti, interviste. Una serie che comprende sedici uscite

      • È in edicola da oggi con il «Corriere della Sera», in occasione della Giornata della Memoria, il romanzo-testimonianza di Primo Levi (Torino, 1919-1987), Se questo è un uomo, al costo di e 7,90 più il prezzo del quotidiano. Il volume è il primo della nuova collana «Opere di Primo Levi» (nel piano dell’opera della pagina accanto sono riportate tutte le 16 uscite), dedicata ai lavori dello scrittore e chimico. I volumi, tutti editi da Einaudi (fatta eccezione per la raccolta di poesie Ad ora incerta, proveniente dal catalogo Garzanti), sono presentati nella versione originale dell’editore; solo i Racconti sono suddivisi in due uscite. Se questo è un uomo (la prefazione è di Cesare Segre) è il volume che Levi pubblicò nel 1947, reduce da Auschwitz, e narra lo sconvolgente inferno dei lager, l’offesa, l’umiliazione e l’inerme degradazione dell’uomo di fronte allo sterminio di massa. È il testo che ha reso Levi uno degli scrittori italiani più letti nel mondo. Tra le prossime uscite, tutte settimanali: La tregua (3 febbraio); Se non ora, quando? (10 febbraio); La chiave a stella (17 febbraio).


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