PEDAGOGIA
Gettando il proprio corpo nella lotta
L’attualità di don Milani oltre le facili letture
di Alberto Ghidini (il manifesto, 10.08.2008)
LIBRI: LORENZO MILANI. ANALISI SPIRITUALE E INTERPRETAZIONE PEDAGOGICA
DI JOSÉ LOUIS CORZO,
SERVITIUM, PAGINE 478, EURO 28
Nell’ottobre 1967, quattro mesi dopo la morte di don Lorenzo Milani, Pier Paolo Pasolini venne invitato alla Casa della Cultura di Milano per una discussione con i ragazzi di Barbiana. In maniera, come suo solito, «parresiastica», Pasolini si rivolse agli allievi di don Milani criticando Lettera a una professoressa, un libro di cui aveva in ogni caso colto a fondo la portata e da lui stesso definito «straordinario» per diverse ragioni. Interrotto polemicamente più volte per certi suoi passaggi e riferimenti giudicati troppo «intellettuali» e «letterari», riuscì comunque a portare a termine il proprio intervento, a conclusione del quale, dopo aver citato un motto degli intellettuali neri americani secondo cui bisogna «gettare il proprio corpo nella lotta», si rivolse ai presenti cin queste parole: «ebbene fate conto che, invece che a parlare, io sia venuto qui a portare il mio corpo». Si tratta di un episodio indubbiamente significativo, ripreso anche da Giorgio Pecorini nel suo studio documentario Don Milani! Chi era costui? - edito nel 1996 da Baldini Castoldi Dalai -, che getta luce sul rapporto non sempre facile tra Pasolini, i movimenti giovanili del tempo e la loro «ansia di cambiare il mondo».
In un articolo apparso esattamente un anno fa sull’inserto domenicale del Sole 24 Ore, Goffredo Fofi scriveva che Pasolini e (prima di lui) don Milani possono essere considerati a buon diritto come «gli ultimi veri pedagogisti italiani». Entrambi, infatti, credevano ancora nel potenziale rivoluzionario dell’educazione. Per lo scrittore corsaro e luterano che all’inizio degli anni Settanta esercitò una critica violenta alla modernizzazione capitalistica, al nuovo potere educativo e di controllo dei consumi e della comunicazione di massa, agente di un’impetuosa «mutazione antropologica», il prete intellettuale fiorentino rappresentò una vera e propria figura di riferimento.Don Milani aveva infatti capito che non si può educare se non si è pronti a lottare in prima persona, senza mediazioni.
Per questo - ricorrendo all’immagine di Pasolini - «gettò il suo corpo» in un ambiente impervio, non soltanto dal punto di vista geografico, incarnando, fin sul letto di morte, l’idea di una «giustizia necessaria». Non a caso, proprio così lo ricorda anche Michele Ranchetti, nella densa e partecipata nota che accompagna la traduzione di Monica Serena dell’ottima monografia che José Louis Corzo Toral ha dedicato al priore di Barbiana. Si tratta di un libro da leggere - secondo le condivisibili parole del curatore Fulvio Cesare Manara - per imparare ad «ascoltare don Milani» con la stessa «cura» di Corzo, padre scolopio spagnolo, studioso di altissimo profilo, ma anche «militante» della pedagogia di Milani ed esperto di «scrittura collettiva». Corzo, in Italia, è noto anche per una versione ridotta e adattata da Francuccio Gesualdi del suo ampio studio Escritura colectiva: teoría y práctica de la escuela de Barbiana, uscito in Spagna per Anaya e pubblicato in Italia da Edizioni Gruppo Abele con il titolo Don Milani nella scrittura collettiva.
Intrecciando esperienza di vita e ricerca scientifica, Corzo ha saputo accostarsi a don Milani esplorandone criticamente e radicalmente la dimensione spirituale e il contributo pedagogico attraverso una lettura «complessa», che restituisce un’immagine «integrale» del prete educatore. Pubblicato per la prima volta in Spagna nel 1981, questo lavoro - che trae origine dalle ricerche per una tesi di dottorato in teologia difesa all’Università Pontificia di Salamanca, dove ora Corzo insegna presso il campus di Madrid - rimane unico nel panorama europeo, se si esclude per certi versi l’Italia. Va comunque detto che studi tanto approfonditi sull’opera di don Milani sono rari anche in Italia, dove spesso si è privilegiato l’aspetto, per dir cosi, «agiografico». Ciò ha contribuito non poco a una conoscenza parziale e distorta di don Milani, sempre meno studiato e «ascoltato», benché costantemente citato e «tirato per la tonaca» dai più disparati interpreti. Nel maggio scorso anche il ministro Bondi ha provato «a farlo suo» in occasione di un convegno della Fondazione Magna Carta di Marcello Pera svoltosi a Firenze.
Oggi, di fronte al pullulare del suo nome, se vogliamo davvero ricordare Milani, non possiamo farlo se rinnovare al tempo stesso la sua esperienza pedagogica. Per questa ragione, sarebbe bene - come ha suggerito Enzo Mazzi - iniziare a fare i conti con il contesto attuale. Il bel libro di Corzo, in questo, aiuta a comprendere la necessità di ritornare al messaggio di don Milani, ma al tempo stesso invita a capire, come osserva Paolo Perticari nella sua efficace postfazione, a comprendere che cosa resta di quel messaggio mentre si sta affermando uno scenario politico che fa sentire ancora più forte l’urgenza della lotta.