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IL VATICANO E’ ORMAI SOLO UNA MACCHINA DA GUERRA CONTRO OGNI ECUMENISMO E CONTRO OGNI TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE. SCOMUNICATO IL TEOLOGO SALVADOREGNO, JON SOBRINO. Una nota di Sergio Grande e la lettera di AUTODIFESA DI JON SOBRINO - a cura di pfls

Una posizione che potrebbe portare prossimamente alla scomunica di San Francesco!!!
sabato 28 luglio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] prima le condanne verbali che aprono poi la strada alle aggressioni fisiche o ai veri e propri omicidi, come è successo in America Latina con i tanti martiri della teologia della liberazione a cominciare da Oscar Romero. Violenza fisica di fatto autorizzata dalla violenza verbale, dall’assolutezza della condanna delle idee che trova sempre chi si sente poi autorizzato a passare dalle parole ai fatti, sentendosi legittimato da cotante prese di posizione. Senza voler dimenticare che nei (...)

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> Lo sbaglio di J. Sobrino, secondo l’"Avvenire".

lunedì 30 aprile 2007

Le spine brasiliane del Papa

di Maurizio Chierici *

È il viaggio più lungo e complicato di Benedetto XVI. Il 13 maggio apre la conferenza dei mille vescovi latini nel cuore spirituale del Brasile: santuario di Aparecida, 200 chilometri da San Paolo. Basilica dove 7 milioni di pellegrini ogni anno accendono candele. Se questa è la cornice, i problemi del continente dove vive più o meno la metà dei cattolici del mondo, e i problemi del Brasile nel quale i fedeli che guardano Roma sono 126 milioni guidati da 352 vescovi, restano nodi non solo mai sciolti, ma aggravati dalla miseria che ingrigisce il 41 per cento della popolazione sudamericana. Sfinimento endemico: liberismo e globalizzazione lo hanno esasperato. Ricchi-ricchi, poveri-poveri. Roma e il Vaticano vengono considerati vicini e lontani non tanto nell’interpretazione della dottrina ma dalla specificità dell’osservatorio sociale. L’essere cattolici nelle favelas brasiliane, o nei ranchos di Caracas, o nelle villas miserias di Buenos Aires e nei pueblos jovenes di Lima, mette in conto la diversità da chi prega nei quartieri rosa.

Il Vangelo può essere vissuto in modo diverso, non dai pastori arrembanti delle sette pentecostali, ma dagli stessi sacerdoti che obbediscono a Roma. Il futuro della Chiesa non appare semplice nel continente spagnolo sospeso tra le speranze suscitate dalla Teologia della Liberazione e l’obbedienza ripristinata al centrismo romano. L’autonomia prevista dal Concilio Vaticano II alle chiese locali è stata dimensionata da un rigore che affievolisce gli entusiasmi dei fedeli senza nome. Ed essendo la regione più cristiana del mondo, l’America Latina diventa laboratorio dove cattolici e protestanti cercano l’incontro con le folle che aspettano la speranza. Quando era giovane vescovo, il cardinale Hulmes ha animato nella sua diocesi attorno a San Paolo, Brasile, le pastorali del cardinale Arns protettore della teologia della liberazione: pastorale degli operai, pastorale dei fantasmi delle periferie. In prima fila col sindacalista Lula da Silva dava voce alle proteste dei lavoratori considerati braccia e non uomini. La «disobbedienza» al romacentrismo nel tempo si è attenuata: Benedetto XVI lo ha nominato prefetto della Congregazione per il Clero, tutore di una rinascita cattolica che Hulmes confessa non semplice: «In Brasile i cattolici diminuiscono dell’1% l’anno», un milione in meno ogni 12 mesi. Nel 1991 i brasiliani cattolici rappresentavano l’83% della gente. Oggi sono appena il 67%. Le nuove chiese contano il 10% dei fedeli e continuano ad allargarsi. Incremento dei cattolici 0,28; incremento delle Sette 8,30. Per ogni pastore cattolico vi sono due pastori protestanti. I sacerdoti dovrebbero essere 120 mila, sono 17 mila. Ci domandiamo: fino a quando il Brasile sarà ancora un paese «cattolico»?

Non le chiamerei Sette. Definizione spregiativa. Sono cristiani che meritano rispetto. Stanno dominando un settore fondamentale della modernità e della postmodernità: radio, Tv, ogni mezzo di comunicazione. La teologia della liberazione aveva proposto le comunità ecclesiali di base. Alcuni vescovi continuano a seguire questi modelli pastorali, preziosi per la funzionalità delle «parrocchie negli anni in cui tanti preti vengono a mancare». Parole di Frei Betto, che ha abbandonato il sacerdozio. «Le chiese pentecostali non sono una tragedia», è il parere di Leonardo Boff, teologo della liberazione: «processato» e ridotto allo stato laicale dal cardinale Ratzinger. «Contribuiscono a tener viva la spiritualità della gente bisognosa di dialogare con tutte le chiese». L’oscuramento dei teologi della liberazione ha coinciso col dilagare del neoliberismo mentre le dittature militari si trasformavano in democrazie formali, più o meno le stesse famiglie a tutela degli stessi interessi delle multinazionali. Il teatrino ambiguo di queste democrazie ha attenuato le persecuzioni ma aggravato l’emarginazione, mentre le comunità della Liberazione ammutolivano. Il sospiro di Pedro Casaldaliga, uno dei vescovi guida, non aiuta l’ottimismo: «Cos’è rimasto? Sono rimasti i poveri ed è rimasto Dio». I teologi si incontrano a Porto Alegre, organizzando meeting programmatici; per il momento Roma resta lontana. E le sette hanno riempito il vuoto e galoppano. È il nodo che il viaggio del Papa prova a sciogliere. Galoppano per due ragioni: «Usano capillarmente la modernità dei mezzi di comunicazione come la Chiesa non fa», ripete Frei Betto. Battono i tamburi della religione-spettacolo: miracoli in diretta Tv, posti d’ascolto seminati in ogni angolo delle città.

La teologia della liberazione può riprendere vigore? Non solo le gerarchie della Chiesa, gli stessi fratelli Boff danno risposte diverse: «Può, perché segue le mutazioni della società. Si è radicata in movimenti sociali alla ricerca di una normalità finora negata. I Sem terra, per esempio», risponde Leonardo. «Può, perché la teologia della liberazione nasce dalla spiritualità e dalla fede ma questa fede bisogna nutrirla e non pensare soltanto alla lotta contro Bush, la guerra, e il neoliberismo». Anche Clodis Boff è un teologo. «Dov’è scritto che la Chiesa ha perseguitato la teologia della liberazione come scrivono i giornalisti? Giovanni Paolo II ripeteva che è una teologia “utile, opportuna e necessaria”. È viva». Alla vigilia del viaggio papale la Congregazione della Fede ha segnalato gli «errori» contenuti in due saggi di Jon Sobrino, mitigando la condanna annunciata del gesuita che insegna all’Uca, università di San Salvador. Roma affida alla decisione della Chiesa locale (primate Saenz Lacalle, spagnolo e Opus Dei; con le mostrine di generale dell’esercito in quanto assistente spirituale delle forze armate, ha celebrato sull’altare del vescovo Arnulfo Romero), Roma affida la decisione di consentire o impedire l’insegnamento di Sobrino i cui libri conterrebbero «elementi che non concordano con la dottrina della Chiesa». Il grande incontro aperto da Benedetto XVI in Brasile dovrà ribadire o sfumare queste diffidenze. «Una delle grandi sfide della Conferenza sarà come evangelizzare la politica e i politici, come poter dialogare col mondo dell’economia, perché la globalizzazione non è né cattiva né buona: deve essere per lo sviluppo dell’uomo e per il bene comune e non solo per pochi. Le vere armi di distruzione di massa restano la povertà, l’ingiustizia sociale e la corruzione». Chi va a messa alla domenica si considera discepolo di Dio, dice il cardinale Andrés Rodriguez Maradiaga, primate dell’Honduras, «ma durante la settimana troppi si trasformano in discepoli di Machiavelli più che della Bibbia». Maradiaga appariva fra i papabili; 64 anni, molto amato nel suo paese. Quando era presidente della Commissione Episcopale latina ripeteva: «Il rapporto che deve accompagnare la nostra missione continua a misurarsi con popolazioni non felici. La Chiesa non deve solo tenerne conto, ma impegnarsi a rimuovere l’infelicità». Difensore molto cauto della teologia della liberazione, è un diplomatico convincente: parla cinque lingue, suona, canta, pilota aerei ed è conoscitore non banale dell’economia. Aveva insistito con Giovanni Paolo II per ottenere la quinta conferenza episcopale latina. Dopo la morte del Papa, è tornato alla carica con Benedetto XVI: nel 2005, l’assenso. Lo racconta a Popoli, rivista internazionale dei gesuiti di Milano. La direzione è passata da padre Bartolomeo Sorge a Stefano Femminis, cambia la generazione non la linea di intelligente apertura.

Se Roma e le nuove chiese si rivolgono agli ultimi, altre istituzioni inseguono una borghesia soprattutto benestante. Primate del Peru è il cardinale Cipriani, primo vescovo in anni lontani a dichiararsi Opus Dei. Nemico radicale della teologia della liberazione: l’accusava di «sconvolgere la dottrina con aberrazioni marxiste». Ma l’America Latina è lo spazio naturale dove si moltiplicano esperienze mirate a plasmare rapporti di integralismo e obbedienza tra Chiesa e fedeli. L’impegno non cambia: la formazione di una classe dirigente destinata a programmare il futuro non solo nel continente. Come l’Opus Dei, rete di collegi e università, i Legionari di Cristo si considerano «gli ussari neri del Papa». Apparsi in Messico nel 1920, sono cresciuti durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Con un rigore sconosciuto alle comunità più severe, inseguono l’Opus Dei: naturalmente scuole, università. Ce n’è una anche a Roma e se ne aprono nei paesi ex comunisti. Ma l’America Latina resta terra naturale di conquista. La loro determinazione è temuta dai diseredati. L’ultima esperienza viene dall’Argentina: esporta i sacerdoti ultraconservatori del Verbo Incarnato. Si formano all’Ive, istituto fondato nel 1984 a San Rafael sotto le Ande, da padre Miguel Buela, legato all’estrema destra e protetto dal vescovo Leon Kruk. Negli anni della dittatura, Kruk sosteneva i vescovi Tortolo e Victor Bonamin le cui omelie giustificavano la mano dura dei militari della repressione. Il ritorno alla democrazia non ha scoraggiato questi «soldati della Chiesa». La loro promessa si è allargata a 75 diocesi argentine e in 38 paesi del mondo. Un esercito di 1550 preti e suore del Verbo sta «evangelizzando» America Latina, Europa, Usa, ma anche Siberia e Kazakistan; da poco inaugurato un seminario metropolitano a San Pietroburgo e un centro spirituale a Grosseto.

Ultimo nodo, ma non per importanza, il rapporto tra Chiesa e politica. Gli anni lontani di quando Giovanni Paolo II alzava il dito del rimprovero verso Ernesto Cardenal e altri sacerdoti, ministri sandinisti del Nicaragua del primo Ortega, sono un ricordo. Nuovi scenari agitano il Vaticano. La dissonanza tra la presidenza argentina e il cardinale Bertoglio, primate d’Argentina: incontra i politici all’opposizione e dà via libera a un vescovo che nella provincia di Missiones guida il referendum popolare contro la rielezione del governatore fedelissimo di Kirchner. Vince e torna in Europa. E c’è la patata bollente del vescovo Lugo, nel Paraguay addormentato. Lascia la diocesi e l’abito talare per correre alle presidenziali come leader di movimenti contadini: vuol mandare a casa gli eterni notabili che continuano la politica del dittatore Stroessner. La Chiesa condanna e invita a trascurare queste tentazioni. A Cuba il nuovo vescovo di Pinar del Rio taglia i fondi a Vitral, rivista della Chiesa «troppo dispettosa verso l’autorità politica». O a Caracas nella quale è arrivato un nunzio apostolico di provata diplomazia. Il nunzio precedente, André Dupuy, aveva animato dietro le quinte il colpo di stato contro Chavez. A nome del Vaticano si era affrettato a riconoscere la nuova autorità del presidente degli imprenditori Pedro Carmona. Pedro il breve: solo 36 ore di regno. Dupuy non si era fermato. Discorsi, convegni e un ultimo messaggio d’addio: dovete resistere e preparatevi a rovesciare il dittatore.

Tante chiese, tante anime. Povero Papa.

mchierici2@libero.it

* l’Unità, Pubblicato il: 30.04.07, Modificato il: 30.04.07 alle ore 8.37


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