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IL VATICANO E’ ORMAI SOLO UNA MACCHINA DA GUERRA CONTRO OGNI ECUMENISMO E CONTRO OGNI TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE. SCOMUNICATO IL TEOLOGO SALVADOREGNO, JON SOBRINO. Una nota di Sergio Grande e la lettera di AUTODIFESA DI JON SOBRINO - a cura di pfls

Una posizione che potrebbe portare prossimamente alla scomunica di San Francesco!!!
sabato 28 luglio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] prima le condanne verbali che aprono poi la strada alle aggressioni fisiche o ai veri e propri omicidi, come è successo in America Latina con i tanti martiri della teologia della liberazione a cominciare da Oscar Romero. Violenza fisica di fatto autorizzata dalla violenza verbale, dall’assolutezza della condanna delle idee che trova sempre chi si sente poi autorizzato a passare dalle parole ai fatti, sentendosi legittimato da cotante prese di posizione. Senza voler dimenticare che nei (...)

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> IL VATICANO E’ ORMAI SOLO UNA MACCHINA DA GUERRA CONTRO OGNI ECUMENISMO E CONTRO OGNI TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE. SCOMUNICATO IL TEOLOGO SALVADOREGNO, JON SOBRINO. Una nota di Sergio Grande - a cura di pfls

martedì 13 marzo 2007

Che disastro!

Ormai siamo di fronte ad una valanga inarrestabile, una frana incontenibile. Se ho ben capito ascoltando il giornale radio di oggi, il papa avrebbe invitato i nostri politici a non votare leggi "che vanno (secondo lui) contro la natura umana"! Ormai l’appello alla coscienza è diventato un optional nei sacri palazzi e i laici gli eterni infanti da guidare per mano.

Giovedì prossimo, dopodomani, sarà comunicata al teologo gesuita salvadoregno Jon Sobrino la condanna al "silenzio più assoluto", accusato di "non affermare apertamente la coscienza divina di Gesù Cristo"!

I "guardiani del Faro" hanno deciso che da oggi in poi i teologi, nella elaborazione delle loro riflessioni, devono usare il bilancino invece che l’intelligenza e la coscienza...

Quella chiesa che, ai tempi del Concilio Vaticano II, aveva riscoperto la sua vocazione di "itinerante", compagna di strada degli uomini e delle donne che Dio ama e per la quale "le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore" (Gaudium et Spes), riesuma dalle ceneri di un passato mai veramente passato la sua vecchia vocazione "imperante".

Lo scettro e il trono al posto del grembiule.

A quando la sedia gestatoria con i pavoneschi pennacchi e la gemmata mitra? I nodi sono venuti al pettine ed ora ci tocca sopportare (nel senso etimologico di portarne il peso) le triste eredità lasciataci da Giovanni Paolo II che, impunemente, ha sostituito i vescovi/profeti più avanzati con le figure grigie di vescovi/veline, carrieristi e diplomatici da manovalanza ed ha messo sottaceto ben 140 teologi per l’interposta persona dell’attuale pontefice, allora custode della "sacra verità"!

In quarta pagina del mio libretto "La Chiesa del silenzio" riportavo il triste lamento di Padre Turoldo: "Pare che i vescovi siano sempre più esposti al farsi prefetti di un impero, oltre che apostoli di una chiesa; il papa sempre più monarca assoluto, oltre che papa... Quella unità che dovrebbe essere un valore sacramentale ed evangelico ("fà che siano una cosa sola...") ecco che diventa una soggezione e una schiavitù".

Questa radiografia della chiesa risale ad almeno venti anni fa, ma concorda pienamente con quanto afferma Giuseppe Alberigo sull’articolo apparso qualche giorno fa su La Repubblica e che vi allego. Parlando dei Vescovi di oggi lamenta un "abbassamento di qualità" e uno "scadimento intellettuale": salvo rarissime eccezioni, si tratta di personaggi che si accontentano di fare da notai, ratificando quanto deciso altrove. Stando così le cose mi chiedo: lo Spirito Santo, sarà mica andato in ferie?....

Un abbraccio a voi tutte e tutti, anche ai vescovi cosìcosì.....

Aldo [don, Antonelli]


LA CHIESA DI RATZINGER E LA POLITICA di Giuseppe Alberigo (La Repubblica 9 Marzo 2007)

All’interno della storia della chiesa e in rapporto alla società la finzione, il ruolo e il peso dei vescovi è stato molto diverso. In origine questa figura aveva il compito di curare i rapporti tra le varie comunità ed eleggere i nuovi vescovi; elezione accettata e convalidata, in genere per acclamazione, dal popolo. È una situazione che durerà parecchi secoli, durante i quali assistiamo all’affermazione di un’autorità soprattutto spirituale.

La prima grande novità si verifica nell’età feudale. Moltissimi vescovi diventano veri e propri signori feudali. Nascono figure impensabili prima. Il vescovo-conte o il vescovo-principe esercitano non solo un potere spirituale ma anche e soprattutto una signoria territoriale. Appartengono a una nuova geografia sociale che travalica i compiti tradizionali della chiesa. La conseguenza è che si diventa vescovo meno per vocazione e sempre più spesso per interessi di famiglia o per ambizione politica personale. Ancora fino a un secolo fa il vescovo di Trento era un principe dell’impero austro-ungarico. La sua autorità più che dalla chiesa finiva con l’essere legittimata dal sovrano. In nome di questa autorità territoriale decine di vescovi, sparsi per l’Europa, avevano proprie milizie, battevano moneta, ed erano autorizzati a imporre tasse. Il loro potere temporale inglobava e nascondeva quello spirituale. Un tale rilievo sociale, politico ed economico crebbe fino alla metà del Cinquecento, quando il Concilio di Trento tentò di ridimensionare questo processo avanzato di secolarizzazione.

Già Lutero e i protestanti avevano denunciato una situazione nella quale i vescovi non facevano più i vescovi ma i signori temporali. Costoro spesso non vi¬vevano neppure più nelle diocesi ma alla corte del principe più importante, al quale esprimevano devozione e fiducia e, in cambio della sottomissione, ricevevano la convalida del loro potere. Il Concilio di Trento porrà le basi per eliminare tutto questo. Ma occorrerà aspettare ancora due secoli perché di fatto la situazione si risolva. Saranno gli stati nazionali a eliminare progressivamente questi signorotti locali che ormai non sono più né laici né vescovi, ma un ibrido giuridicamente preoccupante. Si tratta di un passaggio fondamentale per ristabilire una figura di vescovo che avesse una fisionomia soprattutto spirituale, oggi diremmo pastorale.

Chi è dunque il vescovo oggi? Ecco una domanda che richiede una considerazione allarmante. Ancora quarant’anni fa, cioè all’epoca del Concilio Vaticano II, i vescovi erano circa duemila e cinquecento. Oggi nel mondo sono più che raddoppiati. Alla crescita numerica si è accompagnato mediamente un abbassamento della qualità. Può non sorprendere. Lo scadimento intellettuale si registra anche nella società. Ma le conseguenze nella chiesa sono di aver favorito alcune personalità più forti. Da questo punto di vista, la lunga e incontrastata presidenza di Camillo Ruini alla guida della Cei - che ha ridotto la conferenza episcopale a una struttura monolitica - è stata possibile sia per le sue spiccate doti politiche sia per la scarsa personalità dei vescovi che hanno conformisticamente obbedito alle sue scelte. Lamento, a voler essere più chiari, un’assenza di dibattito reale che mi auguro il nuovo presidente della Cei Angelo Bagnasco, sappia promuovere.

C’è un paradosso che a questo punto, vorrei segnalare. Quando fu firmato il nuovo concordato, quello per intenderci del 1984 con Craxi presidente del consiglio, si impose una novità: non era più la segreteria di stato del Vaticano (il loro ministero degli esteri per intenderci) a trattare con lo Stato italiano, ma la conferenza. Si disse che scopo di questa novità era di ridurre il coinvolgimento politico della chiesa. Si è visto che in questi anni è accaduto esattamente l’opposto. Perché? A parte le considerazioni sullo “spirito del tempo” credo che la forte personalità di Ruini abbia coinciso con il rafforzamento economico della Cei. Pochi sanno che l’otto per mille - il modo con cui lo Stato italiano finanzia lautamente la chiesa - è in larga parte gestito dalla conferenza episcopale.

La questione di quale rapporto deve esserci tra potere spirituale e temporale è nuovamente sotto i nostri occhi. La chiesa di questi anni sta ingigantendo i propri compiti proiettandoli in modo arbitrario sulla società. Il rischio è di sopraffare la società italiana e i cattolici che vi fanno parte. Discutibile mi appare la tendenza che sia la Cei a dettare le norme ai parlamentari cattolici. Quando De Gasperi ricevette da Pio XII l’ordine di fare un governo con l’estrema destra egli rifiutò, restando naturalmente un buon cattolico. Aveva chiara la distinzione tra quello che si deve a Cesare e ciò che si deve a Dio e ai suoi rappresentanti.

Si obietta che oggi, più che in passato, i cattolici italiani sono sottoposti a un processo di secolarizzazione molto intenso. È vero. Ma la chiesa può far fronte a questa pressione sia con ordini inappellabili, sia cercando il dialogo. Del resto non è la prima volta che la Chiesa abbia dovuto misurarsi con fenomeni minacciosi che ha poi felicemente superato. Ritengo che l’unità della chiesa sia un bene prezioso e innegabile.

Ma non c’è oggi il rischio di una spaccatura? Il pericolo più forte per la chiesa quasi mai viene dall’esterno, più spesso è frutto di tensioni intestine. Concludo con un pensiero che mi sta a cuore. In ogni grande epoca storica i vescovi hanno avuto dei modelli. Cioè un punto di riferimento esemplare.

Nell’età antica fu Gregorio Magno, che poi divenne papa, a svolgere questo ruolo edificante. Nel cinquecento lo stesso compito lo assolverà il vescovo di Milano Carlo Borromeo. Ancora oggi in certe chiese si possono ammirare le sue immagini. La considerazione un pò triste è che attualmente i vescovi non hanno più un modello da seguire. E neppure la pietà per Padre Pio può aiutarli a guadagnare quello stile che si ispira ai valori cristiani.


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