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EMMAUS HA PERSO IL SUO FONDATORE. HENRI GROUES, L’ ABBE’ PIERRE E’ MORTO. Jaques Chirac: "Tutta la Francia è profondamente commossa. Abbiamo perso un’immensa figura, una coscienza, un uomo che impersonificava la bontà".

Segnalazione del prof. Federico La Sala
martedì 23 gennaio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] La vocazione alla povertà più assoluta si coniuga infatti con l’impegno sociale, che in quegli anni significa impegno per la giustizia, per la libertà in una Francia assogettata e umiliata dal nazismo. Nel 1942 comincia così un’intensa azione di salvataggio delle vittime della tirannia nazista. E’ proprio in quegli anni che l’Abbé Groués diventa l’Abbé Pierre. Salva diverse persone (ebrei, polacchi) ricercate dalla Gestapo. Falsifica passaporti, diventa guida alpina e trasporta (...)

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> EMMAUS HA PERSO IL SUO FONDATORE. HENRI GROUES, L’ ABBE’ PIERRE E’ MORTO.

mercoledì 24 gennaio 2007

TESTIMONIANZA

La vita del sacerdote francese appena scomparso è stata ricca di impeti per i poveri, «rabbie» che spesso sferzavano il potere politico e anche la Chiesa. Era un vecchio prete «scomodo» ma con un’enorme fiducia nell’uomo e nella sua libertà. Il ricordo di Graziano Zoni, amico italiano da sempre

Abbé Pierre, «collera di Dio»

Nel 1949 l’incontro con Georges, ex carcerato abbandonato da tutti, gli cambiò la vita: nacque Emmaus una comunità dove il «recupero» è la trasformazione della persona, ottenuta rispettando la sua dignità

di Graziano Zoni (Avvenire, 24.01.2007)

Ho avuto la grazia e la responsabilità, per quasi 40 anni, di conoscere molto bene questo «prete fuori da tutti gli schemi», come lo definì il suo amico cardinal Roger Etchegaray. Ogni colloquio, ogni incontro con lui sono stati una lezione pratica sull’Uomo, sulla dignità e sul valore infinito di ogni vita, anche quella più misera, più provata dalla sofferenza, più emarginata dalle ingiustizie. Un continuo approfondimento e una costante esperienza dell’Eterno che è Amore e - quindi - che noi tutti siamo amati e siamo capaci di amare.

Quanto fosse ferma nell’Abbé Pierre la convinzione della dignità della persona umana risulta evidente come non mai, nell’incontro con Georges, assassino e tentato suicida, avvenuto per caso nel novembre 1949. L’Abbé Pierre era, all’epoca, un sacerdote-deputato che possiamo definire maturo. Varie esperienze, alcune molto forti, avevano contribuito a segnare profondamente la sua vita, e a formare la sua speciale straordinaria personalità. Da non dimenticare, come lui stesso precisa, i ricorrenti periodi di malattie, alcune gravi, che hanno segnato sempre i passaggi principali della lunga vita, alquanto stravagante, di questo profeta e testimone del nostro tempo.

Sintetizzando molto, possiamo ricordare la formazione religiosa ed umana ricevuta in famiglia; una famiglia ricca, ma ben radicata nei valori cristiani, in cui domina la figura del padre, determinante nella caratteristica della sensibilità umana e spirituale del futuro Abbé, quinto di 8 figli. Poi l’incontro con san Francesco, avvenuto all’età di 16 anni ad Assisi, all’Eremo delle Carceri, e il tormento scavato nell’animo, straordinariamente mistico e sensibile, del giovane Enrico (nome di battesimo dell’Abbé Pierre) dalla frase di Francesco: «L’Amore non è amato...».

Quindi i 7 anni di rigida vita monastica nel noviziato dei Cappuccini di Lione, che l’Abbé Pierre afferma essere essenziale in quello che è accaduto dopo. Inoltre la sua partecipazione, anche qui "per caso" , alla Resistenza durante la guerra, quando si trasformò in guida alpina per portare in salvo in Svizzera ebrei, polacchi ed altri ricercati dalla Gestapo. In questo periodo imparò, da una suora, come falsificare i passaporti per dare nuove identità ai ricercati politici e fu ripetutamente arrestato dalla polizia italiana e francese ed infine dalla Gestapo, dalla quale riuscì a fuggire in Algeria nascosto in un sacco postale. Infine il rientro a Parigi, a guerra terminata, e l’elezione all’Assemblea Nazionale per tre legislature (lascerà il Parlamento nel 1951, per non votare una legge-truffa).

In questi anni da deputato, con l’indennità parlamentare l’Abbé Pierre aveva affittato a poco prezzo una vecchia casa abbandonata alla periferia di Parigi, che nei momenti liberi lui stesso aveva sistemato per farci un Ostello internazionale della gioventù, chiamato «Emmaus» nel ricordo dei discepoli sfiduciati e illusi che incontrarono Gesù Risorto, «lo riconobbero nello spezzar del pane» e rientrarono a Gerusalemme trasformati dalla disillusione entusiasta.

L’idea che sottostava all’ostello era dare occasione ai figli di coloro che si erano reciprocamente uccisi durante la guerra di vivere insieme per conoscersi meglio e rafforzare le basi di una società nuova, giusta ed umana, fondata sul rispetto reciproco e sull’accoglienza di tutti, specialmente dei più deboli.

In questo periodo avvenne l’incontro con Georges. Georges aveva ucciso suo padre in un momento di rabbia e di follia e, dopo aver scontato una ventina d’anni di lavori forzati nella Guyana francese, era di ritorno a Parigi. Sua moglie conviveva con un altro uomo; c’erano bambini che portavano il suo nome, ma non erano suoi... La sua unica vera figlia, ormai ventenne, non lo voleva nemmeno vedere, perché è ammalato e alcolista. Disperato, vuole farla finita. Con un rasoio da barba tenta di togliersi la vita. Non ci riesce. L’Abbé Pierre viene chiamato al capezzale di quest’uomo che ha solo un’idea fissa: riprov are a suicidarsi e riuscirci. L’Abbé gli dice semplicemente: «Georges, tu sei libero, se vuoi ucciderti, nulla te lo impedisce... Ma prima, perché non vieni ad aiutarmi a terminare le 20 case per senzatetto che sto costruendo illegalmente, nei momenti liberi dal Parlamento? Da solo non ce la faccio...».

In quel momento - diceva l’Abbé Pierre - il volto di Georges cambiò improvvisamente. Capì che era, che poteva essere ancora utile a qualcuno, a qualcosa. Appena dimesso dall’ospedale, si mise con l’Abbé a lavorare in solidarietà. E così nacque la prima Comunità Emmaus. Ed è facile vedere in questo episodio quanto l’Abbé Pierre rispetti la persona umana. Rispetta talmente Georges non solo da ritenerlo capace - lui così disperato - di dargli una mano, ma addirittura la proposta non è fatta «per recuperarlo», per «reinserirlo» come si direbbe oggi. No. L’Abbé gli dice: «Prima di ritentare di suicidarti...». Il rispetto assoluto anche della sua libertà.

Rispetto e fiducia nella persona. Caratteristiche che l’Abbé Pierre ha sempre vissuto ed ha saputo infondere nel suo movimento. A chi bussa alla porta delle nostre Comunità, infatti, non viene chiesto nulla del suo passato. Se sia credente o meno, di destra o di sinistra, «regolare» o «clandestino». Gli si domanda se ha bisogno di mangiare, di farsi una doccia, di un letto per dormire. E gli si propone «solo» di lavorare per guadagnarsi da vivere, di stare insieme in comunità e di destinare quanto rimane del lavoro in azioni di solidarietà, in Italia e nel mondo. Una proposta di vita: non per avere, ma per essere. E qui sta il vero «recupero», la trasformazione della persona.

Quando morì, dopo 15 anni di vita solidale e sobria a Emmaus, Georges confessò all’Abbé Pierre, che qualsiasi cosa gli avesse dato, quel giorno non avrebbe risolto nulla: «Non mi mancava di che vivere! Mi mancavano valide ragioni per vivere». E Georges trovò la ragione della sua vita nel vivere il resto dei suoi giorni in solidarietà con gli altri , cominciando dai più deboli e poveri.

Personalmente è sempre rimasta scolpita nel mio cuore e nella mia mente quella frase che sentii pronunciare dall’Abbé Pierre nel marzo del 1971 a Firenze, nel Salone dei 500, gremito di gente: «Fate bene a commuovervi di fronte a tanti bambini che muoiono di fame nel mondo. Facciamo bene a dare, per loro, ai missionari o ad altri, la nostra offerta... Ma ricordiamoci: se non siamo decisi, contemporaneamente, a mettere a disposizione non solo i nostri soldi, ma tutto il nostro impegno politico e la nostra "collera d’Amore" perché a questi bambini sia garantito di vivere nel pieno rispetto di tutti i loro diritti fondamentali di esseri umani, nella giustizia e nella pace, allora vi dico che saremmo stati meno crudeli a lasciarli morire in giovane età, pur di non costringerli a vivere disperati in condizione di miseria e di sfruttamento».

La vita dell’Abbé è stata piena di queste «collere d’amore» e spesso, in Francia e non solo, il potere politico ha avuto paura di lui e delle sue azioni a difesa dei più poveri. Anche alla Chiesa l’Abbé Pierre non ha risparmiato critiche e provocazioni.

E per ricordare questo vecchio prete «scomodo» un po’ per tutti, dentro e fuori la Chiesa, mi sembra alquanto significativa la lettera di Pierre Hervé, ex redattore capo del giornale comunista L’Humanité e compagno dell’Abbé Pierre nella Resistenza: «Padre, se un giorno ci sarà qualcosa che mi porterà a condividere la tua fede e la tua speranza, più che le esortazioni appassionate ed erudite di tanti "predicatori" sarà l’esempio dei tuoi amici stracciaioli. Poveri che lavorano non per arricchirsi, ma per donare».


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