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Sulla spiaggia. Di fronte al mare...

CON KANT E FREUD, OLTRE. Un nuovo paradigma antropologico: la decisiva indicazione di ELVIO FACHINELLI - di Federico La Sala.

domenica 24 giugno 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Con Freud, oltre - in una nuova direzione e in modo nuovo: contro le sfingi e contro l’imbalsamazione degli uomini come delle teorie.[...]
Sulla spiaggia, davanti al mare, tutto acquista un’altra dimensione e appare nella sua luce più propria: «Progetto infantile: svuotare il mare con un secchiello! O setacciarne la sabbia. Anche il progetto di Freud - prosciugare l’inconscio, come la civiltà ha prosciugato lo Zuiderzee - è infantile»[62]. I libri di Aristotele stanno al gran libro (...)

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> CON KANT E FREUD, OLTRE. Un nuovo paradigma antropologico: la decisiva indicazione di ELVIO FACHINELLI - ---- Lea Melandri incontra Lisetta Carmi.

sabato 3 novembre 2007

LEA MELANDRI DIALOGA CON LISETTA CARMI *

Ho conosciuto Lisetta Carmi nel 1972, quando usci’ con una piccola casa editrice di Roma (Essedi’ Editrice) il suo libro di fotografie I travestiti, rifiutato dall’editore che lo aveva accettato e dalla maggioranza dei librai. Ripugnanza e orrore per l’argomento ne fecero in quegli anni un libro quasi clandestino, nonostante l’originale valore conoscitivo sottolineato dallo psicanalista Elvio Fachinelli nella Prefazione. Ritrovo oggi Lisetta nella splendida campagna della Val d’Itri, tra ulivi, trulli, tappeti di margherite e papaveri, l’ashram da lei fondato e la casa nel centro di Cisternino, paese di elezione da quasi quarant’anni. Le parlo subito della possibilita’ di ristampare il suo lavoro in un momento di grande interesse per queste tematiche. Ma lei mi sposta continuamente lo sguardo, mi avvolge con l’appassionato racconto delle sue "cinque vite", perche’, mi spiega, "l’opera di un artista va giudicata nella sua interezza, a ciclo compiuto".

-  Lea Melandri: Il tuo percorso esistenziale e artistico e’ contrassegnato, a prima vista, dal susseguirsi di fasi diverse, e quindi di svolte nette: il pianoforte, la fotografia, l’incontro col maestro induista Babaji e la fondazione di un’ashram a Cisternino, la ripresa della musica e della pittura con Paolo Ferrari, del Centro Studi Assenza, e il momento attuale che tu chiami "il periodo di totale liberta’". Io invece vedo, nella tua singolare esperienza, una linea di continuita’, che riassumerei cosi’: l’amore per la vita nei suoi aspetti molteplici e contraddittori; la forza e la coerenza nel tenere insieme ricerca interiore, creazione artistica e impegno sociale; infine, la lezione che ti e’ venuta dallo studio rigoroso della musica, quella concentrazione e solitudine che tu stessa riconosci aver "dato equilibrio" al tuo carattere ed essere rimaste come sottofondo alla fotografia.

-  Lisetta Carmi: Mi ritrovo totalmente in questa descrizione della mia vita. Sono nata in una famiglia borghese e non amo le famiglie borghesi, anche se la mia era una bellissima famiglia, due genitori intelligenti e molto severi. Non ho potuto identificarmi con mia madre, una grande artista che, sposata a ventidue anni e con tre figli, non ha potuto realizzarsi come voleva. Me lo ha confessato nell’estrema vecchiaia, quando e’ venuta ad abitare con me nel trullo a Cisternino, cinque anni prima di morire, a cent’anni. Ero l’unica figlia femmina e da piccola avrei voluto essere un maschio, perche’ papa’ era un uomo straordinario e cosi’ i miei due fratelli, Eugenio e Marcello. Ho accettato, e con gran gioia, di essere una donna soltanto alla fine del lavoro che ho fatto coi travestiti. Quando l’ho fatto vedere allo psichiatra Sergio Piro, alla domanda "Ma lei si identificava come uomo o come donna?", io ho detto "Ne’ come uomo ne’ come donna, perche’ esistono solo gli esseri umani". A quel punto ho capito che ero felice di essere una donna, che rifiutava il ruolo femminile ma non la sua appartenenza di sesso. Ma l’avvenimento che ha cambiato piu’ profondamente la mia vita e’ stato l’incontro con Babaji. Quando l’ho visto a Jaipur, l’ho riconosciuto come il mio guru da sempre. Insegnava in modo particolare, non con le parole ma coi fatti, con gli atteggiamenti, le cose. Mi ha insegnato che il denaro non e’ nostro, ma ci viene affidato da Dio per il bene di tutti, per cui va dato a ognuno secondo il suo merito o il suo bisogno. Quello che ha dato una misura alla mia vita e’ l’amore per l’umanita’ e la ricerca della verita’.

-  Lea Melandri: Tu hai detto spesso che eventi di grande spessore, anche tragici, hanno attraversato la tua vita, a partire dalle leggi razziali che nel 1938 ti hanno costretta, a soli quattordici anni, a lasciare la scuola e poi a fuggire in Svizzera con la tua famiglia. Ma sempre hai aggiunto che ti hanno aiutata a crescere, a condividere il dolore del mondo, a metterti dalla parte di chi soffre, di chi il potere lo subisce. Non una scelta, quindi, ma una "inclinazione", legata a una sofferenza e a una ricerca personale: l’essere ebrea, donna, comunista, sopravvissuta alla persecuzione razziale. Da qui la partecipazione profonda per quell’"universo umano oscuro" dei "senza voce", a cui hai cercato ogni volta di dare storia, visibilita’, attraverso il tuo raccontare o "scrivere con la macchina fotografica". Quella che e’ entrata nel tuo lavoro e’ l’umanita’ dolente degli emarginati, la parte di se’ che si rifiuta o non si vuole vedere, ma e’, contraddittoriamente, anche il piacere di liberarsi di vincoli, convenzioni, poteri e artifici inutili. Tu hai voluto fermare lo sguardo su cio’ che appare "impresentabile" della vita: la nascita nella sua naturalita’, come nelle fotografie sul parto fatte nell’ospedale di Galliera, la morte nella visione autoritaria e erotica che la borghesia genovese di fine ’800 ne ha dato nel cimitero di Staglieno, l’inferno dei portuali di Genova, la disperazione e l’ombra di un poeta vicino alla fine, nei dodici scatti "rubati" a Ezra Pound nel 1966 a Sant’Ambrogio di Rapallo. Nello stesso tempo e’ come se tu avessi voluto mostrare, in questi aspetti rifiutati, i segnali di una liberta’ sconosciuta, di una umanita’ diversa.

-  Lisetta Carmi: Ti faccio un esempio. Io sono stata in Venezuela per tre mesi e ho frequentato molto i rivoluzionari, i professori universitari, avevo molti contatti. Poi sono andata a Maracaibo, che allora era una delle citta’ piu’ ricche del mondo, con una immensa quantita’ di petrolio e una poverta’ infinita. Uno dei servizi, pubblicati sulla rivista "Nuovi argomenti", era sui negozi di poverissime persone, che avevano negozietti di legno con insegne che dicevano: "Mi ultimo esfuerzo", "La sucursal del cielo", "Libreria pobremente", "Mi ultima esperanza", "No vendo vicios". Titoli meravigliosi! Il servizio su Maracaibo mostra un quartiere poverissimo ma allegrissimo. A Maracaibo ho fotografato anche un basurero, il posto dove buttavano la spazzatura. Era una distesa immensa, tutta fumante, piena di spazzatura, chiusa. I camion arrivavano, aprivano e la buttavano giu’. Subito arrivava la folla dei poveri di Maracaibo a raccogliere quello che si poteva ancora vendere. C’e’ una fotografia con tante facce di ragazzi che vengono fuori ridendo da una montagna di basura. Avendo un grande amore per le persone, avevo con la gente un rapporto diretto. Nessuno si rifiutava, capivano che li fotografavo col cuore, che non andavo a fotografare la miseria coi soldi dei giornali ricchi. E’ stato cosi’ anche coi portuali di Genova. C’era uno che mi veniva a prendere da casa alle cinque e mi portava sul porto, dove mai mi avrebbero fatta entrare, comunista com’ero, perche’ sapevano che avrei fatto un lavoro contro la borghesia genovese. "Lisetta - mi dicevano - tu vieni a fotografare le formiche!", e tuttavia mi amavano moltissimo, perche’ vedevano che lavoravo per loro.

-  Lea Melandri: Io ti ho conosciuta l’anno in cui hai pubblicato il tuo lavoro sui travestiti di Genova, nel libro omonimo edito da Essedi’ Editrice di Roma nel 1972, con una Prefazione di Elvio Fachinelli. Quella ricerca mi sembra che sia tuttora la piu’ complessa, la piu’ densa di investimenti intellettuali, fantastici, emotivi, personali. Nella figura del travestito, ricercato e respinto dalla societa’, confluiscono la persecuzione contro gli ebrei e l’omofobia, la paura del diverso, dell’effeminato, il travaglio della donna contro un ruolo imposto e della borghese ribelle e tragressiva. Ma vi si legge anche il piacere di potersi identificare con chi, mosso da coraggio e provocazione, aveva cercato di uscire da rapporti standardizzati e violenti, con quella che appariva come un’"avanguardia contraddittoria", segnale della crisi del rapporto uomo-donna. Tu stessa hai definito i sei anni trascorsi con loro, in una frequentazione quotidiana, "quasi una terapia".

-  Lisetta Carmi: Invece di andare per sei anni da uno psicanalista e spendere soldi senza risolvere nulla, ho fatto questo lavoro sui travestiti che mi ha fatto capire molte cose della mia vita. Nel mondo borghese io vedevo tanta ipocrisia. Quando ero particolarmente triste e ribelle di fronte a una societa’ che vuole apparire diversa da come e’, andavo da loro: persone sfruttate, aggredite, giudicate male dalla societa’, pero’ vere. Sono stata attirata dal loro essere e non essere uomini e donne nello stesso corpo; vedevo in loro una verita’, un’allegria, un vivere "altro" che mi ha aperto quella porta che il mondo borghese non vuole varcare, chiuso nella finzione e nelle false sicurezze. Io sono contro la famiglia, che considero una prigione, mi piacciono le famiglie allargate. Quando sento dire "mio figlio", "mia moglie", "mio marito", penso: ma che follia! Non c’e’ niente di nostro su questa terra, neanche il corpo e’ nostro, ci e’ dato perche’ noi possiamo crescere.

-  Lea Melandri: Nella trascrizione grafica del Quaderno musicale di Luigi Dallapiccola (Ed. Sedizioni, Milano 2005) ho trovato molte considerazioni che potrebbero essere riferite a te. Di Dallapiccola dici: "un uomo sensibile a molti e gravi problemi di oggi... un artista che difende nel suo isolamento, nel suo vivere appartato, la sua liberta’ interiore, per poter esprimere musicalmente la sua originale partecipazione alla vicenda umana del secolo XX". In un altro passaggio scrivi: "Soltanto affermando sinceramente e coraggiosamente noi stessi, possiamo dire una parola valida nel tempo per noi e per gli altri". Sono questi due aspetti che io vedo in te e nel tuo lavoro: la sensibilita’ profonda ai problemi del mondo, nei vari contesti in cui ti sei trovata a vivere, tra culture diverse, e il modo originale con cui questa passione di condividere si e’ legata in tutto il tuo percorso alla solitudine, alla rigorosa ricerca di una liberta’ interiore. Per strade diverse, io ho imparato dal femminismo che e’ solo partendo dalla storia personale che si possono capire gli altri. La gente confonde generalmente la solitudine con l’isolamento, con la perdita di ogni interesse. Io la considero, al contrario, un privilegio, a volte anche doloroso. Da un certo punto in avanti, ho sentito proprio il piacere di un intrattenimento tra se’ e se’, pieno delle voci, dei volti e di tutte le storie di cui siamo fatti.

-  Lisetta Carmi: Sono totalmente convinta di questo: se uno non analizza la propria interiorita’, se non vive intensamente la propria vita, non puo’ capire gli altri. Qui, attorno a me, c’e’ tutto: isolamento e partecipazione totale al mondo. In un mio scritto leggo: amava il silenzio, perche’ parlare disperde.

* Nonviolenza. Femminile plurale. Supplemento de "La nonviolenza e’ in cammino" Numero 137 del 2 novembre 2007

[Dal sito della Libera universita’ delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente dialogo gia’ apparso el suppemento settimanale "D" del quotidiano "La Repubblica" del 29 settembre 2007.

Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L’erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e’ impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L’infamia originaria, L’erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d’amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita’ indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l’Associazione per una Libera Universita’ delle Donne di Milano, di cui e’ stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E’ stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L’erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l’antologia: L’erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni ’70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni:

L’infamia originaria, edizioni L’erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d’amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita’ indicibile. La pratica dell’inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: ’Ragazza In’, ’Noi donne’, ’Extra Manifesto’, ’L’Unita’’. Collaboratrice della rivista ’Carnet’ e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista ’Lapis. Percorsi della riflessione femminile’, di cui ha curato, insieme ad altre, l’antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell’Universita’ delle donne scrive per le rubriche ’Pensiamoci’ e ’Femminismi’".

Lisetta Carmi (Genova, 1924), intellettuale, musicista, artista, amica dell’umanita’. Dal sito www.exibart.com riprendiamo la seguente scheda: "Ripercorrere oggi la vicenda fotografica di Lisetta Carmi significa coglierne da un lato l’alto significato sotteso di esperienza umana, dall’altro recuperare i valori di una fase storica che ha segnato in maniera forte la societa’ e la cultura italiane tra gli anni Sessanta e Ottanta del Novecento. Nata a Genova nel 1924, vissuta in via Sturla ’nell’allegria di una famiglia protettiva e molto severa, in un clima di inclinazioni artistiche e di rigore (il padre assicuratore e la madre donna colta e raffinata)’ con due fratelli ’intelligenti e creativi’, Lisetta Carmi studio’ musica alla scuola del maestro Alfredo They allievo di Ferruccio Busoni perfezionandosi in pianoforte. Segnata negli anni del secondo conflitto mondiale dal clima di violenza e persecuzione contro gli ebrei di cui la famiglia ebbe a subire pesantemente gli effetti, intraprende dopo la guerra, con successo, la carriera di concertista. L’interesse e la svolta per la fotografia maturano in lei improvvisi dopo il 1960 quando, colpita dai movimenti di piazza conseguenti alla svolta a destra del governo Tambroni, mal sopportando il clima ovattato delle serate concertistiche al pianoforte, decide in spregio ai rischi ai quali poteva andare incontro, contro i quali la metteva in guardia il maestro They giustamente preoccupato, di scendere in piazza accanto ai portuali e protestare con essi, dando testimonianza del suo desiderio di impegno civile. La fotografia la scopri’ quasi subito, in un viaggio fatto in Puglia dove aveva seguito l’amico etnomusicologo Leo Levi che vi si recava per studiare i canti di una comunita’ ebraica. Consapevole dalla bellezza del paesaggio che andava a visitare e della ricchezza di testimonianze artistiche che avrebbe incontrato, ritenne doveroso portare con se’ la macchina fotografica (un’Agfa Silet) per trarne immagini. Al rientro a Genova, chi le vide ne rimase attratto e impressionato positivamente tanto che Lisetta Carmi si convinse che quella di fotografa poteva essere la sua nuova vita, una volta lasciata la musica. Fotografo’ prima per il teatro Duse, qualche anno; come fotografa di scena apprese l’arte dei dosaggi sapienti di luci e ombre, quindi inizio’ a fare reportage, pubblicando sui giornali, dai quali seppe comunque sempre tenersi indipendente. Nascono cosi’ le ricerche e i servizi sul lavoro dei portuali, sui travestiti, sulla borghesia genovese vista attraverso i monumenti sulle tombe nel cimitero di Staglieno; e comincia a viaggiare, viaggia molto: Parigi, Israele, Venezuela, Afghanistan, India, Pakistan, sempre attenta alla gente e ai suoi problemi. Ma covava dentro un’ansia insoddisfatta, un desiderio di rinnovamento spirituale, una spinta verso nuovi orizzonti e prospettive che trovarono appagamento nel 1976 nel momento in cui le si rivelo’ ’Babaji Hairakhan Baba... come uno specchio chiaro in cui potevo vedere il mio se’’. Interviene allora un nuovo radicale cambiamento: abbandona la fotografia e nel 1979 crea in Puglia ’terra che il maestro considerava sacra’ un ashram ’per la trasformazione delle persone e la purificazione delle loro menti, per la meditazione e il karma yoga’.

Lisetta Carmi vive oggi in Puglia, a Cisternino. Scrive di lei Uliano Lucas nel saggio che fa da introduzione all’ampia scelta di fotografie pubblicate nel n. 3 dei Quaderni di Aft: ’Nel panorama della fotografia italiana degli anni Sessanta e Settanta che e’ stato, a mio avviso, il periodo piu’ stimolante della storia della nostra fotografia, Lisetta Carmi ha avuto un ruolo centrale quanto insolito e sfuggente. Centrale perche’ a riguardarle oggi, le sue immagini si scoprono tutte inserite in quel momento di rottura, di svolta nella storia della cultura e della societa’ italiana rappresentato appunto dai movimenti antiautoritari e di sinistra degli anni ’60, dall’imporsi della societa’ di massa e dal nascere di un nuovo modo di raccontare e interpretare la realta’. Insolito e sfuggente perche’, pur incarnando a pieno e interpretando con grande forza espressiva questo momento, la Carmi sembra viverne al contempo ai margini, in una sua personalissima storia che la porta fuori dai circuiti e dalle dinamiche del fotogiornalismo di allora, fuori dalle tematiche e dai racconti prediletti, tanto che io stesso, imbattutomi sporadicamente nelle sue immagini e nel suo nome in gioventu’, l’ho scoperta e conosciuta solo in questi ultimi anni quando, uscendo dal vortice dell’impegno politico e del reportage giornalistico, sono tornato a guardare e a ricostruire le tessere e i percorsi della nostra fotografia. Ho riflettuto allora su questa figura anomala, solitaria, di donna, appartenente ad una famiglia della borghesia genovese, di origine ebraica, adolescente durante la guerra, che decide a trent’anni di abbandonare una promettente carriera di concertista e di ricorrere alla macchina fotografica come strumento per conoscere il mondo e se stessa’. La ricerca sui travestiti a Genova fu realizzata nell’arco di un quinquennio tra il 1965 e il 1970. Il volume con le fotografie usci’ nel 1970 dopo non poche traversie e grazie all’impegno del fotografo Luciano D’Alessandro. All’epoca fece abbastanza scalpore: modernissima líimpaginazione dovuta a Giancarlo Iliprandi, l’introduzione era scritta dallo psichiatra Elvio Fachinelli. ’A riguardarlo a distanza di un trentennio - dice Uliano Lucas nel saggio pubblicato nel catalogo della mostra nel fascicolo n. 3 dei Quaderni di Aft -, la sua modernita’, la vitalita’ del racconto, la forza dello stile rimangono intatti. E’ un libro ormai entrato di diritto nella storia della fotografia italiana’"]


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