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Per l’Italia di Gioacchino da Fiore e di Dante !!!

MATEMATICA E ANTROPOLOGIA, ALTRO CHE MISTERO. GALILEO GALILEI E’ GALILEO GALILEI ... E LA TRASCENDENZA CRISTIANA NON E’ LA TRASCENDENZA "DELL’ENTE ...CATTOLICO-ROMANO", DEL VATICANO!!! Cerchiamo di "non dare i numeri": il "Logos" non è un "Logo", e la "Charitas" non è la "caritas"!!!

domenica 31 dicembre 2006 di Federico La Sala
HAI VINTO, O GALILEO! L’elogio "laicista" di Piergiorgio Odifreddi diventa per Michele Smargiassi (seguendo De Santillana) un "Hai vinto, Vaticano"!!!
Aristotele fu un uomo, vedde con gli occhi, ascoltò con gli orecchi, discorse col cervello. Io sono un uomo, veggo con gli occhi, e assai più che non vedde lui: quanto al discorrere, credo che discorresse intorno a più cose di me; ma se più o meglio di me, intorno a quelle che abbiamo discorso ambedue, lo mostreranno le nostre ragioni, e non (...)

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>GALILEO GALILEI E’ GALILEO GALILEI ... La teologia è la madre di ogni fantascienza (di Stefano Jorio)

lunedì 16 ottobre 2023

La teologia è la madre di ogni fantascienza

Teologia e pensiero scientifico sono opposti o complementari? La ricerca della trascendenza può collaborare alla ricerca?

di Stefano Jorio (L’Indiscreto, 13/10/2023)

Uno dei primi uomini a scrivere quel che oggi chiameremmo un romanzo di fantascienza fu l’astronomo Giovanni Keplero. Il nome evoca un’aura favolosa in chiunque abbia frequentato le scuole superiori: Keplero è insieme a Galilei il convalidatore e perfezionatore della tesi eliocentrica. Scoprì che l’orbita dei pianeti è in verità ellittica, dimostrò che il loro moto non uniforme è reale e non solo apparente; con la «terza legge» mise in relazione tra loro, tramite il comune riferimento al Sole, le velocità dei pianeti sulle diverse orbite. Tutto questo fa di lui un protagonista della rivoluzione scientifica e un padre fondatore, dotato in quanto tale di una qualità eroica perché per fondare il nuovo dovette lottare contro il vecchio: in questo caso la tradizione religiosa, metafisica e oscurantista, fedele fino alla malafede all’autorità di Aristotele e delle Scritture, che aveva nella Chiesa un difensore potente e pericoloso. Forse a causa di tale qualità eroica, le due grandi forze nate dalle rivoluzioni borghesi della modernità - la tradizione liberale e quella marxista, accomunate da scientismo e razionalismo come strumenti del Progresso - hanno sempre mostrato di Keplero un’immagine parziale come in certe genealogie degli avi, depurata da ogni elemento che potesse comprometterne la rispettabilità. Come però sanno gli storici davvero dotati di senso storico, possiamo rendere giustizia al passato solo smettendo di mutilarlo come rudimentale annuncio del presente.

Tra questi storici fu Paolo Rossi: nel suo libro La nascita della scienza moderna in Europa (1997) mostrò che nei primi decenni del XVII secolo le strade della metafisica, della mistica e della scienza non erano separate, e che alcuni degli uomini che cominciarono a indagare matematicamente le leggi del cosmo e il moto dei pianeti trovarono utili e sensate anche la metafisica platonica e la teologia cristiana. Nell’esporre l’ipotesi eliocentrica Copernico menzionò il Corpus Hermeticum, nel quale il divino Uno neoplatonico viene pensato tramite la metafora del Sole, e ascrisse l’immobilità di quest’ultimo alla sua natura divina; nello sforzo di dimostrare le «ragioni fisiche e metafisiche» del sistema copernicano, convinto della «mirabile corrispondenza fra le tre cose immobili nell’universo e le tre persone della Trinità», Keplero non soltanto rese complementari rigore matematico e misticismo numerico, osservazione del cosmo e Scrittura, ma presentò i risultati del proprio lavoro come rivelazioni divine, tanto che venne ignorato da Bacon, guardato con diffidenza da Galilei, e le sue leggi diventarono «scientifiche» solo quando Newton mostrò che descrivevano con esattezza i moti dei pianeti intorno al Sole.

Che nel sapere del XVII secolo l’indagine della natura potesse seguire sentieri ritenuti oggi incompatibili con la scienza è mostrato dal racconto fantastico-scientifico Somnium, seu opus posthumum de astronomia lunari. Scritto da Keplero nel 1609, pubblicato dal figlio nel 1634, esso ha un valore soprattutto simbolico ai fini della presente riflessione: nell’epoca in cui metafisica e teologia cominciavano a spegnersi, un astronomo che non escludeva il ricorso a strumenti conoscitivi di lì a poco proibiti sentì il bisogno di esplorare l’ignoto anche per via immaginativa e poetica. Non fu il solo: per tutto il XVII secolo vennero scritti «romanzi di fisica» (come si diceva allora) che impiegavano le recenti scoperte nel campo dell’astronomia, dell’ottica e della medicina per raccontare - facendo seguito alla tesi bruniana degli infiniti mondi possibili - mondi che come quello pensato dalla metafisica erano «altri» o «paralleli» al nostro. Francis Godwin, The man in the Moone (1638); Cyrano de Bergerac, Histoire comique des états et empires de la Lune (1656); Pierre Borel, Discours nouveau prouvant que les astres sont des terres habitées (1657); Margaret Cavendish, Description of a new world (1666); Bernard de Fontenelle, Entretiens sur la pluralité des mondes (1686). Questi racconti hanno in comune due cose: da un lato segnano il passaggio dal genere rinascimentale dell’utopia (i cui orizzonti, pur aprendo lo spazio di un altrove, restavano terrestri) a quello moderno e tuttora attuale della fantascienza interplanetaria; dall’altro espongono con semplicità al vasto pubblico della stampa preoccupazioni che dovettero essere assillanti nei decenni in cui si compiva il passaggio tra due diverse epoche. Nelle parole di Paolo Rossi: «Dalla tesi della pluralità dei mondi abitati emergevano domande inquietanti: qual è il senso della vicenda della caduta e della redenzione, del peccato originale e del sacrificio di Cristo, se la Terra, che è la grande scena ove si svolge questo grande dramma, è solo uno fra i molti mondi? Se ci sono più mondi e molti di essi sono abitati, il Salvatore avrà redento anche quei mondi?» Rispetto a tutto questo Fontenelle fu forse il primo a esprimere lo “sgomento cosmico” nichilista che avrebbe ispirato tanta letteratura moderna: «un universo così immenso che mi ci perdo. Non so più dove mi trovo. Io sono un niente. Il nostro mondo è terrificante nella sua insignificanza,» dice la protagonista degli Entretiens.

Sulla luna gli alberi parlano oppure sono tre volte più grandi, i «lunari» si nutrono di fumo e sono «più veloci dei cammelli», respirano lentamente e sanno nuotare. Ci sono spiagge, equinozi, «zone astronomiche analoghe alle vostre», una fauna dalle dimensioni enormi e dalla crescita assai rapida. I lunari non conoscono omicidi, odiano il vizio e vivono nell’amore. L’elenco potrebbe proseguire: qui ci interessa però che accanto a queste caratteristiche che finiscono per fare degli altri pianeti una copia bizzarra ma omogenea del nostro, nei romanzi di fisica del XVII secolo troviamo anche un’alterità radicale, ontologica, che la fantascienza continuerà a proporre fino ai nostri giorni. Un modo d’essere costitutivamente misterioso perché trascende il mondo fisico e non è dunque indagabile in base ai principi (causalità, spazio, tempo, numero, principio di non contraddizione) secondo cui conosciamo e dobbiamo conoscere la natura. Questa alterità ontologica viene descritta, per esempio da Francis Godwin, con parole che ricordano da vicino quelle della metafisica e della mistica: «un colore mai visto nel nostro mondo terreno e dunque impossibile da descrivere [...] e da concepire [...] Solo questo posso dirne, che era il più glorioso e dilettevole che si possa immaginare». È «un grande mistero» che sulla luna i cadaveri non vadano in putrefazione, che gli abitanti cadano in un sonno mortale («this sister of death») e si risveglino dopo tredici giorni. Lo stesso Keplero, raccontando un Somnium, entrò in un dominio dell’esperienza in cui non valgono la ragione e il principio di identità (e in cui l’astronomo Duracotus è figlio di una maga come lo era lui); la narratrice della Description di Margaret Cavendish arriva al «Blazing World», il Mondo Splendente, attraversando un «labirinto quasi impenetrabile» dopo il quale la Luna viene presentata, come ha scritto Mary Baine Campbell nel suo Wonder and Science (1999), «come un Altro Mondo; non, o non solo, uno specchio, ma un vero Altro» che è al tempo stesso «perfettamente visibile quasi ogni notte» («ciò che è invisibile e insieme ciò che è più visibile», si dice nel Corpus Hermeticum dell’Essere); «otherness by and for the Other», precisa Campbell con un’espressione che potrebbe ben tradurre il kath’auto, lo sfuggente essere «per sé» dell’ontologia dei Greci. Un essere a sé, costitutivamente inafferrabile perché non riconducibile ad altro che - essendo a noi noto - potrebbe aiutarci a definirlo: Giorgio è un uomo, l’uomo è un animale, l’animale è un vivente, il vivente è un ente, l’ente... è, l’essente è essente, non lo si può più definire tramite le categorie della logica perché non ci sono più categorie disponibili. La lingua come pensiero logico arriva qui alla fine delle proprie risorse.

A partire dai romanzi di fisica, mano a mano che la metafisica perdeva il suo ruolo apicale di guida delle scienze e veniva respinta come secolare menzogna, la modernità vide una crescita ininterrotta dei racconti sull’«altra dimensione», o dimensione «parallela», con autori e percorsi che uno storico del genere potrebbe catalogare esaurientemente accanto a quelli della rassicurante fantascienza “cartesiana”, ambientata in un altrove solo apparente. Mano a mano che il sapere dimenticava il pensiero dell’essere e si addentrava nel nichilismo, la fantascienza - ma come vedremo anche la stessa scienza - immaginò in modo allegorico e quasi clandestino, con maggiore o minore consapevolezza, una “realtà” inquietante perché di essa possiamo sapere solo che è. Resta inspiegabile, resiste all’indagine, tanto che i racconti di fantascienza parlano volentieri di un’«entità». Qualcosa di simile dovette intendere Platone quando per primo diede speciale significato filosofico al termine οὐσία (nella lingua comune «i beni», «le sostanze») che crea un sostantivo femminile dal participio presente del verbo essere; così Aristotele quando ne fece un elemento centrale della propria ontologia. Tanto che la traduzione italiana letterale e oggi più sensata di οὐσία è proprio «entità». Nel pensiero di Platone l’οὐσία è immateriale ed efficace come per la scienza moderna la forza di gravità; in Aristotele le determinazioni categoriali di un ente sensibile (genere, peso, dimensione) sono tutte detraibili, tutte accidentali, e quanto resta alla fine sarà un’«entità». Un puro essere che è, accade, e solo per questo, stando “sotto”, può “sorreggere” gli accidenti e le corrispondenti predicazioni (sub-stantia in latino, in italiano «sostanza», è appunto uno dei termini con cui la tradizione filosofica tradusse οὐσία). È in questo allarmante senso “fantascientifico” - il fallimento irrimediabile delle risorse conoscitive umane davanti a un Ignoto - che l’essere, come scrisse Heidegger all’inizio di Essere e tempo, «per il suo nascondimento sospinse e mantenne nell’inquietudine il filosofare degli antichi» (la bella traduzione è di Pietro Chiodi). In questo stesso senso, sempre in Essere e tempo, l’angoscia è via d’accesso privilegiata allo svelamento dell’essere.

Prendiamo un testo fantascientifico a noi relativamente vicino, un romanzo (e film) dal valore paradigmatico: Solaris di Stanislaw Lem, pubblicato nel 1961 e filmato nel 1972 da Andrej Tarkovskij. Entrambi, con poche discrepanze, raccontano la storia di uno psicologo (la professione è solo apparentemente incongrua) inviato in missione su una stazione spaziale da cui arrivano segnali anomali e preoccupanti. La stazione orbita intorno al pianeta Solaris, oggetto di una secolare quanto inconcludente esplorazione scientifica e definibile a detta di alcuni - con un’ipotesi che non può essere confermata né rifiutata - come una «sostanza pensante». I vertici scientifici e militari del programma ascoltano increduli i rapporti degli astronauti, classificano come allucinazioni quei confusi racconti di giardini con alberi e sentieri fuggevolmente creati dall’oceano gelatinoso del pianeta, di giganteschi bambini nudi che nuotano nello spazio: anche perché le immagini girate dagli astronauti per comprovare queste loro visioni mostrano solo delle nuvole. Quei rapporti «non corrispondono alla realtà», sono fatti da gente «senza alcuna qualifica scientifica»: si valuta l’opportunità di abbandonare il progetto perché Solaris, nonostante tutti gli sforzi, resta un mistero. Lo psicologo Kelvin dovrà capire cosa sta accadendo sulla stazione spaziale (restano solo tre membri degli iniziali ottanta dell’equipaggio) e in base a questo decidere se sospendere l’intero programma oppure proseguire con l’attività di ricerca.

Solaris è ai nostri fini un caso speciale e privilegiato: da un lato il pianeta pensante e misterioso funziona come una Trascendenza sostitutiva, elaborata dalla fantascienza in un’epoca convinta che l’essere sia in realtà niente e che la Trascendenza (fraintesa come secondo mondo e «al di là» cristiano) sia una vecchia e ormai insostenibile favola; dall’altro romanzo e film mettono consapevolmente in scena l’oblio della Trascendenza nel progressivo dispiegarsi del pensiero razionalista: il pianeta Solaris è un’allusione al Sole divino, Essere e Uno della tradizione neoplatonica, di Copernico e Keplero; la «solaristica» (l’indagine dell’essere del mondo naturale) è arrivata secondo gli scienziati a un punto di stallo a causa del «fantasticare di alcuni irresponsabili» che hanno eretto «una montagna di fatti irrelati e incoerenti»; «tutto ciò che sappiamo di Solaris è negativo», argomentano i positivisti fautori della sospensione del programma, e aspirando a distruggere quanto non possono capire suggeriscono di bombardare l’oceano di Solaris con delle radiazioni. L’io narrante racconta esplicitamente nel romanzo come l’incessante metamorfosi del pianeta pensante sia per alcuni un’«incarnazione dell’Essere», l’attività di «un cervello immane, in anticipo di milioni di anni rispetto allo sviluppo della nostra civiltà; qualcosa come uno “yogi del cosmo”, un saggio, onniscienza divenuta forma [...] inadeguata all’immaginazione umana». Arrivato in orbita, Kelvin scopre che i tre uomini superstiti e ormai quasi pazzi vengono visitati con regolarità da misteriose presenze umane, presto anche lui verrà visitato da una figura identica a sua moglie, morta da tanti anni; le presenze (gli enti, quanto l’uomo percepisce e ama) sono apparentemente originate dall’interazione di Solaris con l’uomo stesso, eliminarle con mezzi ordinari è impossibile perché dopo una breve assenza ritornano. Solo la tecnologia (un apparecchio «annichilatore») permetterà di sbarazzarsene in modo definitivo.

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