Don Luigi Ciotti: «Legalità ai minimi, ma i ragazzi antimafia lottano»
di Massimo Solani *
«C’è una situazione grave di caduta del senso di legalità e moralità nel nostro paese. Una crisi etica che fa da cornice a tanti altri problemi». Alla vigilia dell’incontro con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e a due giorni dall’apertura degli "stati generali" dell’Antimafia a Roma, il presidente di "Libera" Don Luigi Ciotti traccia una linea che è insieme di bilancio e ripartenza nella lotta contro le mafie. «Perché oltre alle istituzioni anche la società civile si è mossa - spiega -, Libera 12 anni fa non esisteva ed oggi c’è. E assieme a Libera sono cresciuti molti gruppi che si sono impegnati al Nord come al Sud. Perché il problema della legalità non conosce geografie e riguarda tutti. La nostra è una lotta di libertà, perché le mafie ci rendono tutti un po’ meno liberi».
Tanti gruppi e tante esperienze, diceva. Due esempi per un intero movimento: i ragazzi di «addio pizzo» e i gli studenti di Locri. Il segno di un nuovo attivismo giovanile?
«I giovani ci sono sempre stati e gliene va dato tutto il merito. Bisogna scommettere su di loro perchè non rappresentano soltanto il nostro futuro, loro sono già il nostro presente. Però bisogna stargli accanto concretamente con politiche mirate a sostenere questo sano protagonismo. Dobbiamo realmente creare le condizioni perchè queste piccole realtà possano davvero operare sino in fondo».
Si inizia con la visita al Quirinale. Che significato ha questo incontro?
«Il Presidente Napolitano invitandoci ha dimostrato la sua coerenza: quando era ministro dell’Interno venne a Reggio Calabria assieme a Libera per la giornata della memoria e dell’impegno. Al Quirinale riceverà una nostra delegazione e una rappresentanza dei familiari delle vittime delle mafie: un bel gesto, un modo per abbracciare questa gente e ribadire l’impegno di un intero Paese contro la mafia».
Il ministro dell’Interno Amato, parlando della situazione di Napoli, ha detto che la polizia non basta, serve altro. Un messaggio che "Libera" ripete da anni...
«Certo, perché il problema non sono solanto le mafie, ma anche noi e le nostre azioni: è possibile che milioni di italiani si pieghino ad essere ostaggi di alcune migliaia di criminali? Giuseppe Fava, il giornalista ucciso dalla mafia a Catania nel 1984, diceva: "A che serve essere vivi se non c’è il coraggio di lottare?"».
Ma lei ripete spesso che la lotta alla mafia ha bisogno di nuovi strumenti, in special modo legislativi.
«Abbiamo bisogno di un testo unico della legislazione antimafia in modo da garantire una maggiore organicità ad una materia così complicata e delicata partendo dal lavoro della commissione presieduta dal professor Giovanni Fiandaca. Ma bisogna anche fare in modo di rilanciare anche quanto era scritto nel programma dell’Unione laddove si parlava della costituzione di un’agenzia nazionale per la gestione e l’assegnazione dei beni confiscati alle mafie. È arrivato il momento di farlo».
E che importanza potrebbe avere la nuova politica di interventi sociali di cui parlavamo prima?
«Un ruolo fondamentale. Sul territorio ci sono molti gruppi, e tantissime associazioni, ma potrebbero essere molte di più se ci fossero davvero le condizioni di adeguato sostegno. Per cui avanti con le politiche per la famiglia, con una idea più flessibile di scuola... bisogna ricominciare ad avere attenzioni di questo tipo, non ci si può limitare soltanto ad una visione "poliziesca" del contrasto ai fenomeni della criminalità».
Cosa si aspetta dai giorni degli "stati generali" di Roma?
«Saranno giorni di lavoro e spero di idee, progettualità e confronto di piccole e grandi esperienze di lotta. Ci saranno sedici gruppi di lavoro tematici e abbiamo chiesto a tutti, anche agli uomini politici e di governo, di farne parte e di lavorare assieme a noi. lavoreremo con molta forza e altrettanta umiltà».
Da un argomento all’altro. Il ministro Turco ha raddoppiato il quantitativo massimo di cannabis tollerato per uso personale. Un provvedimento che la trova d’accordo?
«È un atto di responsabilità per fare in modo che i poveri cristi non finiscano in carcere. Certo serve un cambiamento complessivo della legge Fini-Giovanardi, ma questo atto è un primo passo per evitare di continuare a perseguitare e colpire soltanto i più deboli. Ovviamente, però, non dobbiamo smettere di pensare alla prevenzione e a nuovi percorsi educativi e ad una corretta informazione. Non scandalizziamoci se un ministro usa il buon senso, piuttosto pensiamo a lottare contro chi gestisce davvero i grandi traffici».
* www.unita.it, Pubblicato il: 15.11.06 Modificato il: 16.11.06 alle ore 10.21