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DIO NON E’ "VALORE" (Benedetto XVI, "Deus caritas est")!!! E il grande fratello non è ... il Padre Nostro ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8)!!!!!!

PER L’ITALIA, "DUE SOLI". Per una nuova laicità, un nuovo cristianesimo!!! Come MARIA: "FIGLIA DEL TUO FIGLIO", così GIUSEPPE: "FIGLIO DEL TUO FIGLIO"!!! Dante non "cantò i mosaici" dei "faraoni", ma soprattutto la Legge del "Dio" di Mosè di Elia e di Gesù, del "Dio" dei nostri "Padri" e delle nostre "Madri". L’Amore che muove il Sole e le altre stelle ... e la fine del cattolicesimo costantiniano!!!

Solo con Giuseppe, Maria è Maria e Gesù è Gesù. Questa la fine della "tragedia", e l’inizio della " Divina Commedia"!!! LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE "GIUSEPPE" E DELLO STESSO "PADRE NOSTRO" ... E CONTINUA A "GIRARE" IL SUO FILM PRE-ISTORICO PREFERITO, "IL PADRINO"!!!
giovedì 16 agosto 2012 di Federico La Sala
[...] Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ... e della montagna è ben-altro!!!
La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemblea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” (...)

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> COME MARIA, COSI’ GIUSEPPE: FIGLIA DEL TUO FIGLIO, FIGLIO DEL TUO FIGLIO. Dante non "cantò i mosaici" (Carlo Ossola) dei faraoni, ma la Legge del "Dio" di Mosè, del "Dio" dei nostri "Padri" e delle nostre "Madri". L’Amore che muove il Sole e le altre stelle ... e la fine del cattolicesimo costantiniano!!!

lunedì 23 ottobre 2006

Per il riferimento (assunto solo e semplicemente come tale) a Dante cantò i mosaici di Carlo Ossola, cfr. “Il Sole-24ore/Domenica”, 15.02.2004. Sul suo - ovviamente - importante e prezioso lavoro, allego un’intervista a c. di Cristina Terzaghi (Tracce, n. 5, maggio 2004)


Intervista a Carlo Ossola

Dante vide. E scrisse: Figlia del tuo Figlio

di Cristina Terzaghi

Gli influssi dell’arte medievale sull’Inno alla Vergine di Dante. Che sicuramente ammirò la rappresentazione di Maria tra le braccia di Cristo in Santa Maria Maggiore a Roma. Uno dei più illustri esperti di letteratura italiana racconta a Tracce la storia della sua scoperta

Torinese d’origine, Carlo Ossola è oggi uno dei più illustri esperti di letteratura italiana a livello internazionale. Docente all’Università di Ginevra dal 1976 al 1982, nel 1971 pubblicò uno dei suoi più interessanti libri, dedicato alla produzione letteraria italiana nel Rinascimento: Autunno del Rinascimento. «Idea del Tempio» dell’arte nell’ultimo Cinquecento. Da allora il professor Ossola si è occupato di un gran numero di poeti e scrittori italiani ed europei (Dante, Petrarca, Giovanni Della Casa, Juan de Valdés, Torquato Tasso, Emanuele Tesauro, Pietro Metastasio, Cesare Cantù, Giuseppe Ungaretti, Roland Barthes, solo per fare alcuni nomi) e da ultimo ha curato l’Antologia della poesia italiana edita dalla prestigiosa collana Pléiade Einaudi. Dopo aver insegnato Letteratura italiana all’Università di Padova e di Torino, dal 1999 è docente di Letteratura moderna dell’Europa Neolatina al Collège de France, e membro dell’Accademia dei Lincei. Il Sole 24 Ore ha recentemente ospitato (domenica 15 febbraio) uno stralcio di un suo contributo, che apparirà per esteso sul numero di giugno della rivista Lettere italiane, dedicato alle fonti figurative dell’inno alla Vergine del XXXIII canto del Paradiso dantesco. Carlo Ossola ne rintraccia le fonti nella cultura figurativa bizantina che tradizionalmente rappresenta la Dormitio Virginis (la nascita della Vergine al Cielo) e la Natività di Gesù in stretta corrispondenza tra di loro. Egli traccia inoltre un confronto tra la preghiera di Dante e la canzone dedicata alla Vergine che chiude il Canzoniere di Petrarca.

Professore, da dove è nata l’idea di collegare la terzina della Preghiera alla Vergine contenuta nel XXXIII canto del Paradiso di Dante: «Vergine, madre, figlia del tuo Figlio» con la tradizione figurativa bizantina e in particolare con le immagini della Dormitio Virginis che fino al Trecento nella tradizione iconografica orientale e occidentale raffigurano l’animula della Vergine, che, al momento del trapasso, viene presa in braccio da Gesù e ha l’aspetto di un bimbo in fasce?

Mi ero accorto di questa simmetria quando ho visitato per la prima volta la chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio a Palermo, che tutti conoscono come la “Martorana”. Il ciclo di mosaici con le Storie della Vergine si accentra negli archi est e ovest della crociera e nella volta del braccio ovest della stessa, in modo che si trovino di fronte, perfettamente speculari, i mosaici della Natività di Cristo e della Natività di Maria all’eterno, dopo la Dormitio. Ho quindi pensato che il verso dantesco poteva essere dettato da una simile tradizione. Dopo l’articolo pubblicato sul Sole 24 Ore mi hanno scritto in molti. Nessuno di coloro che non vogliono credere a questa fonte figurativa spiega quei versi andando al di là di quello che era il lascito dell’innologia. Se infatti si scorrono gli Hymni latini Medii Aevi, si possono incontrare formule simmetriche («Pater matris hodie / filius fit filiae»); oppure bisogna ricorrere a un centone di più inni per avere un annuncio del verso dantesco («Virgo mater, o Maria, / tantus frater prece pia», da unire con: «Tui mater genitoris, / tui nati filia»). Ma una sola resta la visione sintetica come il verso dantesco: il punto focale è quando il poeta arriva a Roma per il giubileo del 1300 e lì vede il mosaico absidale di Pietro Torriti in Santa Maria Maggiore che era appena stato inaugurato, finito nel 1295-1296, dove, al di sotto dell’Incoronazione della Vergine, è raffigurato Gesù che porta teneramente tra le braccia l’animula di Maria, che confidente si posa come un infante sul petto del Figlio. Quella fonte figurativa era incontestabilmente nota a Dante.

È davvero un’idea bellissima, ma lei non crede che un uomo medievale, e per di più di grande cultura com’era Dante, vedendo quella raffigurazione, avesse ben presente che si trattava della rappresentazione simbolica dell’anima e quindi andasse direttamente al significato dell’immagine, senza badare troppo alla sua resa iconografica, quella cioè di una bimba in fasce tra le braccia del padre?

Certo è un problema di “storicità della lettura” che vale per ogni testo e ogni immagine. Ci sono però due elementi che varrebbe la pena tenere presenti. Sin tanto che è valso soltanto l’elemento squisitamente simbolico, la rappresentazione della Vergine in fasce (animula) è una presentazione ieratica, tutta fasciata di eternità. Quale è l’ostensione, per così dire, di Cristo appena nato, tale è esposta l’animula della Vergine; ma con l’avanzare dell’Umanesimo, e anche già alla fine del XIII secolo, si può vedere questa animula che nasce al “sempre”, tuttavia portando la traccia, gli affetti, le pose del transito nel tempo. Come a Santa Maria Maggiore, così si può osservare la cimasa della Maestà di Duccio, dipinta per il duomo di Siena: anche lì, disponendo Duccio di uno strumento pittorico sicuramente più duttile del mosaico, lì veramente l’anima della Vergine ha l’aspetto di una bambina con i suoi bei riccioli, ed è tutta, direi, di “fresca carne”. Quindi la progressiva antropomorfizzazione del volto della Madonna dipinge l’eterno di temporalità “preservata”.

Ma poi c’è una seconda questione teologicamente più importante: e cioè che per Dante, come per buona parte della teologia medioevale, l’Assunzione della Vergine, è assunzione di tutta intera la storia, la vita, il corpo, l’anima della Madonna. Quindi è la sua transizione alla vita eterna, ma così com’era stata nella giornata terrena, perché Colei che ha portato Cristo non merita di passare attraverso l’aculeo della morte, lei, la prima, primizia delle creature. In questo senso tutta l’innologia mariana è molto precisa. Chi legga la bolla papale Munificentissimus Deus con la quale è stato promulgato il dogma dell’Assunzione nel 1950, troverà dispiegata la forza della traditio: vengono infatti portati a suffragio del dogma la liturgia e tutti gli elementi cultuali, la cui evidenza alla fine varca anche l’insufficienza della documentazione biblica. L’Assunzione della Vergine, e la sua Incoronazione a Regina, sono elementi nei quali la “memoria collettiva”, come avrebbe detto il sociologo Maurice Halbwachs, memoria liturgica e iconografica, conferma il credere, rende venerabile l’antica traccia.

Più precisamente...

Nell’Incoronazione della Vergine di Santa Maria Maggiore, veramente Cristo mette la corona in capo alla Vergine e la Madonna ha una regalità almeno pari a quella di Cristo; è uno straordinario momento mariano che porta a compimento una lunga tradizione, un fiorire di culti mariani che culminano nei Sermones di san Bernardo. E Dante si inserisce in questo momento teologico e poetico: come alla fine del Purgatorio Virgilio aveva coronato l’umanità di Dante: «per ch’io te sovra te corono e mitrio», così è bello pensare che nel Paradiso la preghiera di san Bernardo alla Vergine affinché il poeta venga fatto degno di vedere il mistero divino, significhi insieme il coronamento dell’umanità di Maria, di cui l’Assunzione e l’Incoronazione rappresentano il compimento. Il fascino della Divina Commedia è proprio questo: che è assolutamente rigorosa nel mantenere la distanza tra il divino e l’umano («l’infinito eccesso» del Verbo, Par. XIX), ma nello stesso tempo esalta tutto quello che è possibile elevare della dignità umana. Questa per me è la lezione profonda della preghiera alla Vergine, la cui ispirazione poggia su teologia e visione: ma visione nel senso di iconicità bizantina, sguardo che ci viene incontro per assorbirci, dall’eterno nell’eterno.

A proposito dell’umanità della Madonna secondo la visione dantesca, don Giussani ha recentemente messo a paragone il testo di Dante con la preghiera alla Vergine che chiude il Canzoniere di Petrarca “Vergine bella che di sol vestita”. Nella chiusa della canzone interviene una diversa lettura della figura di Maria: «Petrarca aveva una devozione ammirata per la Vergine, madre di Cristo; ma il suo destino vittorioso, il suo destino di regina del cielo e della terra, egli non lo sentiva possibile». Lei cosa ne pensa?

Il testo che ha trovato sul Sole 24 Ore pubblica solo una parte del mio studio che ho letto a gennaio a Parigi e che uscirà in italiano sulla rivista Lettere italiane, 2004, 3; la seconda è dedicata proprio alla canzone finale del Canzoniere. È in effetti diversissima la lettura della figura di Maria fornita da Dante rispetto a quella di Petrarca e di fatto dovrebbero essere evocati tutt’altri riferimenti iconografici rispetto alla Dormitio Virginis. Petrarca accentua il ruolo di una Vergine che si piega verso questa valle di lacrime, che intercede pietosa, non regina, ma madre della misericordia. I versi del Petrarca «al mio prego t’inchina», «volgi al mio dubio stato» troveranno il loro equivalente figurato, il secolo successivo, nell’affresco di Filippino Lippi a Santa Maria sopra Minerva a Roma, dove la Madonna assunta in cielo si china da una distanza grande, e tuttavia visibile, sopra gli astanti e non ha più nulla della regalità del mosaico di Santa Maria Maggiore, ma in un moto d’affetto si china, intenta quasi all’umana conversazione degli astanti.

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http://www.tracce.it/det_Articoli.asp?Sezione=maggio+2004&ID=20040525


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