Inviare un messaggio

In risposta a:
Al di là della “concezione edipica del tempo”(Vattimo).

LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO DEI "DUE SOLI". Con la morte di Giovanni Paolo II, il Libro è stato chiuso. Si ri-apre la DIVINA COMMEDIA, finalmente!!! DANTE "corre" fortissimo, supera i secoli, e oltrepassa HEGEL - Ratzinger e Habermas!!! MARX, come VIRGILIO, gli fa strada e lo segue. Contro il disfattismo, un’indicazione e un’ipotesi di ri-lettura. AUGURI ITALIA!!!

Solo con Giuseppe, Maria è Maria e Gesù è Gesù. Questa la fine della "tragedia", e l’inizio della " Divina Commedia"!!! LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE "GIUSEPPE" E DELLO STESSO "PADRE NOSTRO" ... E CONTINUA A "GIRARE" IL SUO FILM PRE-ISTORICO PREFERITO, "IL PADRINO"!!!
domenica 24 giugno 2007 di Federico La Sala
[...] Per chi è diventato come Cristo, un nuovo re di giustizia e un nuovo sacerdote, non resta che denunciare tutta la falsità (non della donazione, ma) delle fondamenta stesse dell’intera costruzione teologico-politica della Chiesa di Costantino - e re-indicare la direzione eu-angélica a tutti gli esseri umani, a tutta l’umanità!!! Per sé e per tutti gli esseri umani, Dante ha ri-trovato la strada: ha saputo valicare Scilla e Cariddi, andare oltre le colonne d’Ercole ... e non restare (...)

In risposta a:

> LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO DEI "DUE SOLI". --- EPISTOLA A CANGRANDE: CI VUOLE AUDACIA PER SCALARE LA COMMEDIA. Una nuova edizione critica (di Edoardo Rialti).

domenica 18 febbraio 2024

RECENSIONE

La lezione di Dante nell’Epistola a Cangrande: Ci vuole audacia per scalare la Commedia

Una nuova edizione critica della lettera con cui il poeta dedica il Paradiso allo Scaligero riaccende il dibattito critico È una dichiarazione di poetica, un’introduzione, ma anche il memoriale difensivo proprio di un momento di crisi

DI EDOARDO RIALTI (La Stampa, 17 febbraio 2014)

      • Autore DANTE ALIGHIERI
        -  Editore EDITRICE ANTENORE
        -  Pagine 480
        -  Genere SAGGISTICA
        -  Prezzo 15 €

«Il nostro problema sta nel fatto che non abbiamo ancora narrazioni pronte non solo per il futuro, ma nemmeno per l’oggi concreto, per le trasformazioni ultrarapide del mondo di oggi. Mancano il linguaggio, mancano i punti di vista, le metafore, i miti e le nuove favole. In una parola, ci mancano nuovi modi di raccontare il mondo». Sono le parole di Olga Tokarczuk al conferimento del Nobel da cui forse è possibile prendere le mosse per riflettere sull’unicità e la rilevanza di Dante per le sfide della scrittura oggi, sollecitati anche dall’edizione monografica della sua Epistola a Cangrande (Antenore), a cura di Luca Azzetta. Montale definì quanto ottenuto dall’Alighieri l’ultimo miracolo della poesia, e magari aveva ragione nel sancirne l’irrepetibilità. Il recente centenario ha visto iniziative, convegni, pubblicazioni, e ciò resta giusto e doveroso, sebbene talvolta insidiato dal tarlo della retorica monumentale che sigilla una voce in catafalco o la riduce a marchio d’esportazione. Dante funziona sempre, notava Paolo Poli, come il nero, sfila e fa fare bella figura. Resta tuttavia un salto tra scrivere bene e scrivere davvero di qualcosa, così come tra il leggere bene e il leggerlo davvero. Prendi e mangia, intimava l’angelo dell’Apocalisse a Giovanni porgendogli un libro. Poesia e visione si accolgono con le viscere, permettendole di impattare i nodi più profondi e oscuri della nostra attuale posizione sulla terra. È proprio la capacità di Dante di coinvolgerci ancora in un sogno collettivo - un inconscio più antico del linguaggio stesso, nelle parole di McCarthy, riesponendoci a una capacità penetrativa del presente storico e concreto, particolare, che consente al contempo di proferire i verbi del futuro - a mettere in discussione l’asfissia di tanta scrittura e comunicazione, in pendolo perenne tra l’egotismo rattrappito di un io superficiale - dal narcisismo scriviamo per diventare ancora più narcisisti - e le narrazioni massificanti di qualche noi partitico, ottuso e violento. Il tutto in una prospettiva comunitaria ridotta a mera sopravvivenza, dove l’unico valzer ballabile resta quello del consumismo rapace e l’autorevolezza è stata barattata con la visibilità.

La lupa dell’avidità dopo ogni pasto ha più fame di prima. Rispetto a questo ricatto Dante sa ancora mostrare cosa vuol dire tatuarsi l’anima, come ha dichiarato Mircea Cartarescu, sfidarci a un diverso modo di vedere, e quindi di scrivere, l’io e il noi saldati fin dai primi due versi dell’Inferno. Nostra vita... mi ritrovai... Forse quella porta rimane sbarrata alle nostre spalle, ciò che l’ha consentita resta effettivamente inaccessibile. Pure, tornando a fissare quanto non può essere ripetuto, possiamo comunque attingere forze ed enzimi per esprimerlo in altro modo.
-  Si deve dunque sottolineare l’importanza d’una nuova pubblicazione monografica di un testo così decisivo, in cui l’autore medesimo - e che autore - fornisce categorie e appigli su come poterlo scalare, in quale relazione porsi con l’esperienza della Commedia - con ampia introduzione e commento a ripercorrere il dibattito sulla controversa attribuzione e illustrare i rapporti dell’epistola al signore di Verona con la precedente e coeva ars dictandi delle dediche, e le circostanze contingenti che indussero Dante a offrire questa introductio operis, questa chiave per schiudere la Commedia che è anche «un memoriale difensivo proprio di un momento di crisi», negli ultimi anni dell’esilio e del lavoro al poema che ha fatto macro e grigio il poeta.
-  Ma tutto ciò resta in fondo per tornare a fronteggiare «una sconcertante dichiarazione di poetica» in virtù della quale Dante stesso ci chiede di leggerlo «con un’audacia che non ha riscontro in alcuno degli antichi esegeti» come faremmo con la Bibbia o il Maharabatha, secondo quattro sensi che vanno dal letterale all’anagogico, come un prisma che si rigiri tra le mani e resti lo stesso nelle sue varie sfaccettature. In una clamorosa declinazione laica, storica e in italiano volgare dell’esperienza visionaria e profetica di Paolo, degli apostoli con Cristo e delle invettive di Ezechiele sulla corruzione di preti e politici - «finis totius et partis est removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis».

Trasportare, strappare i lettori dalla miseria e condurli, nuovo Mosè, alla felicità stessa. In questa vita - hac vita, non dopo. Forse non c’è davvero più stata una così radicale fiducia nel valore trasformativo dell’esperienza poetica. Che si creda o no all’eternità dell’anima e nel giudizio di Dio, resta l’interrogativo su quale sia il fondamento che ci possa consentire di mettere in discussione realtà e società, realizzando opere capaci di abbracciare gli affanni e gli struggimenti delle esistenze altrui. Come constatò una mia studentessa messicana all’università «Sembra che Dante abbia sempre saputo che lo avremmo letto a secoli di distanza».

EDOARDO RIALTI, 17 Febbraio 2024


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: