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Al di là della “concezione edipica del tempo”(Vattimo).

LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO DEI "DUE SOLI". Con la morte di Giovanni Paolo II, il Libro è stato chiuso. Si ri-apre la DIVINA COMMEDIA, finalmente!!! DANTE "corre" fortissimo, supera i secoli, e oltrepassa HEGEL - Ratzinger e Habermas!!! MARX, come VIRGILIO, gli fa strada e lo segue. Contro il disfattismo, un’indicazione e un’ipotesi di ri-lettura. AUGURI ITALIA!!!

Solo con Giuseppe, Maria è Maria e Gesù è Gesù. Questa la fine della "tragedia", e l’inizio della " Divina Commedia"!!! LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE "GIUSEPPE" E DELLO STESSO "PADRE NOSTRO" ... E CONTINUA A "GIRARE" IL SUO FILM PRE-ISTORICO PREFERITO, "IL PADRINO"!!!
domenica 24 giugno 2007 di Federico La Sala
[...] Per chi è diventato come Cristo, un nuovo re di giustizia e un nuovo sacerdote, non resta che denunciare tutta la falsità (non della donazione, ma) delle fondamenta stesse dell’intera costruzione teologico-politica della Chiesa di Costantino - e re-indicare la direzione eu-angélica a tutti gli esseri umani, a tutta l’umanità!!! Per sé e per tutti gli esseri umani, Dante ha ri-trovato la strada: ha saputo valicare Scilla e Cariddi, andare oltre le colonne d’Ercole ... e non restare (...)

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> LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO DEI "DUE SOLI". --- "IL DANTE DI TUTTI. Un’icona pop" (di Giuseppe Antonelli). Si parte dall’oggi, da una scritta su un muro in Prati, a Roma («Ti amo Beatrice | Dante») e si ritorna infine al presente (di Marco Grimaldi - "Le parole e le cose").

venerdì 11 novembre 2022

FILOLOGIA, STORIOGRAFIA, E "VITA NUOVA": USCIRE DALL’INFERNO... *


IL DANTE DI TUTTI. O QUASI

di Marco Grimaldi (Le parole e le cose, 11.11.2022)

Una volta Emil Ludwig chiese a Mussolini se “avesse vissuto molto con Dante”. Il duce dà una prima risposta, banale e scontata: «Veramente sempre... Egli per primo mi ha dato una visione della grandezza. Al tempo stesso mi ha indicato l’altezza alla quale la poesia può elevarsi». Poi ci ripensa, mette da parte “il tono platonico”, si protende in avanti, sorride e dice “con soddisfatto rancore”: «Oltre a ciò mi sento affine a lui per la sua passione faziosa, per la sua implacabilità. Dante non perdonò ai suoi nemici nemmeno quando li incontrò all’inferno!». Ludwig commenta: «Nel far simili confessioni egli spinge in avanti la mascella inferiore e pare che pensi a determinati avvenimenti». Ed è forse questa l’idea di Dante che avevano in testa quei professori di scuola, dantisti improvvisati, che durante il Ventennio cercarono varie volte di dimostrare che il personaggio destinato a liberare l’Italia dal vizio e dalla servitù al quale si allude nel Purgatorio con l’espressione «cinquecento diece e cinque», che in cifre latine è DXV e il cui anagramma è quindi DVX, ‘duce’, fosse appunto Mussolini, profeticamente annunciato dal poeta della Divina Commedia.

Tutto questo - Mussolini che si mette in posa e si identifica con Dante, Dante che avrebbe annunciato l’avvento di Mussolini - sembra oggi ridicolo, ma è parte di un fenomeno più ampio che merita ancora il nostro interesse. Dalla fine del Settecento Dante diventa infatti il simbolo di una nazione in cammino verso l’unificazione, di una patria che esiste prima di tutto nella lingua e nella letteratura e che - anche in nome di Dante - pretende l’unità politica. Dante resta legato ancora oggi a questo aspetto militante. Ed è per questo che c’è stato un Dante fascista, come c’è stato un Dante guelfo, ghibellino, massonico, risorgimentale, cattolico. Dante, per la capillare diffusione delle sue opere e per l’influenza che ha avuto sullo sviluppo della lingua e della cultura italiana, è diventato nel corso dei secoli Il Dante di tutti di cui parla un bel libro di Giuseppe Antonelli, appena pubblicato da Einaudi, trasformandosi in Un’icona pop, come recita il sottotitolo. Antonelli racconta questa storia in novanta pagine, agili e scorrevoli (e in nove capitoli, ovviamente...).
-  Si parte dall’oggi, da una scritta su un muro in Prati, a Roma («Ti amo Beatrice | Dante») e si ritorna infine al presente, con le riscritture di Dante nel rap e nel linguaggio giovanile. In mezzo ci sono i primi divulgatori popolari di Dante, gli sconosciuti che ne cantano e recitano i versi in piazza già nel Trecento, ci sono i moderni interpreti radiofonici e televisivi come Vittorio Gassmann e Roberto Benigni, ci sono i lettori colti come Giovanni Boccaccio, Franco Sacchetti, Francesco De Sanctis e Giosuè Carducci. C’è Dante tradotto in fumetti, dall’Inferno di Topolino al giapponese Gō Nagai. E c’è Dante protagonista al cinema e nei videogiochi, dai primi del Novecento al Dante’s Inferno del 2010.

Il libro ha molti pregi. Innanzitutto, benché destinato a un pubblico ampio e non specialista, non rinuncia a spiegare in parole semplici concetti difficili, ad esempio che «oltre l’80 per cento delle parole che oggi usiamo più spesso nella comunicazione quotidiana è già stato utilizzato da Dante». Oppure, al contrario, che non tutte le parole utilizzate da Dante hanno ancora lo stesso significato, come donna, che in sonetto famoso come Tanto gentile e tanto onesta pare significa ‘signora (del cuore)’. O ancora che il modo in cui per tutto il Novecento abbiamo tradotto in immagini i versi della Commedia è stato influenzato prepotentemente dalle illustrazioni di Gustave Doré (1861-1868). E che Dante, secondo Boccaccio, oltre al naso aquilino aveva anche la barba. E c’è poi la moltitudine di aneddoti e di immagini che Antonelli impiega per narrare la storia del Dante popolare e che rende il libro godibile e prezioso: la pubblicità del lassativo accompagnata dai versi «I’ son Beatrice che ti faccio andare»; l’artigiano che impazzisce cercando di imparare la Commedia a memoria (come il Matto di Edgar Lee Masters e De André con l’enciclopedia); il concorrente di Lascia o raddoppia che dichiara di sapere a memoria tutti i versi del poema; la copia dell’Inferno che compare in una scena della serie televisiva Mad Men. Tutto concorre a dimostrare, spiega Antonelli, «quanto sia grande la vitalità di Dante a sette secoli di distanza dalla sua morte» e a chiarire «senza ombra di dubbio che Dante sopravvivrà anche a questo centenario e a chissà quanti altri in futuro» grazie alla sua arte e al suo pensiero, alla sua biografia ormai mitica e al culto che gli è riservato in quanto padre della lingua italiana, ma anche «grazie a quella percezione collettiva che lo ha reso ormai una straordinaria icona pop», icona «nel senso di un simbolo legato a un immaginario condiviso». Starebbe qui, per Antonelli, «il potere atemporale di Dante», vale a dire «quel Dante metastorico che può essere citato in ogni epoca e a ogni proposito», un potere atemporale «che ha portato Dante e la sua opera a superare i confini della letteratura per diventare parte di un patrimonio più ampio e condiviso».

In questa storia luminosissima, tuttavia, ci sono anche delle ombre, e Antonelli lo sa bene. Nei versi ripetuti un po’ da tutti e nelle citazioni senza spiegazione, «la voce del poeta può arrivare a scomparire quasi del tutto», e il rischio dell’attualizzazione linguistica è di creare «un Dante in maschera», «un metalinguaggio che taglia fuori metà del messaggio». Si dovrà parlare allora di «abbassamento, attualizzazione e minima comune memoria dantesca». E infatti Antonelli cita quasi subito alcune considerazioni di Luca Serianni, secondo il quale «lo scotto che inevitabilmente paga un’opera divenuta popolare» è «l’alterazione dei significati originali, perlopiù attraverso la banalizzazione di un concetto e spesso anche modificando il dettato originale» (Parola di Dante). Ciononostante, per Antonelli persino il Dante che compare in un romanzo per ragazzi (Vai all’inferno, Dante! di Luigi Garlando) e che parla con le parole di oggi, discute di calcio e non può non essere considerato «un’aperta ed esplicita provocazione», persino questo Dante può essere letto come una provocazione che ha un effetto positivo: «Mescolare sacro e profano è il modo in cui si cerca di smontare o scavalcare o almeno aggirare il muro di una certa diffidenza. Dante s’impadronisce di quel lessico con l’obiettivo di creare un terreno comune. Per vincer la tenzone, risponde per le rime».

Il libro finisce così, con un’estrema nota di ottimismo. Ed è forse l’unico difetto. In questa storia del Dante popolare di cui si narrano sempre e solo le sorti magnifiche e progressive non c’è nessun cattivo. Non c’è Mussolini, non c’è la massoneria che contribuisce a creare il culto di Dante in opposizione alla Chiesa cattolica. Non c’è quel Dante che a ogni livello, colto e popolare, è stato ed è tuttora al centro della controversia, quel Dante che può essere evocato ancora oggi da molte parti politiche e da diverse ideologie, quel Dante che divide e non unisce, Dante come simbolo legato spesso a un immaginario non condiviso.
-  In una storia del Dante popolare ci vorrebbero più note oscure, perché a quella storia appartiene anche il Ministro della Pubblica Istruzione Benedetto Croce che nel 1920, a Ravenna, inaugurando le celebrazioni per il sesto centenario dantesco, dopo aver esortato a dare «Dante al popolo», sostiene che la Commedia si distacca dalla poesia del Medioevo poiché il poema di Dante è «privo di passione per la guerra in quanto guerra, delle commozioni che accompagnano la lotta militare».
-  Quel discorso meriterebbe di figurare in una storia del Dante popolare perché l’immagine di Dante che Croce vuole divulgare è falsa (Dante in una lettera ricorda ai fiorentini che se non si piegheranno all’imperatore le loro case verranno bruciate, le loro donne stuprate: Dante non era un pacifista), benché ai suoi occhi utile per fare di Dante un cantore della pacificazione attraverso la poesia (nella poesia, pensava Croce, «ci risentiamo veramente uomini e fratelli»), una pacificazione che pareva necessaria dopo la Prima guerra mondiale, quando l’Italia si apprestava a entrare nel ventennio più buio. La storia avrebbe spazzato via quell’idea di poesia, quell’idea di Dante e quell’idea di pace. Il vero Dante popolare sarebbe diventato di lì a poco il poeta che insegna a Mussolini a non perdonare mai il nemico.


*

FILOLOGIA STORIOGRAFIA, E VITA NUOVA: USCIRE DALL’INFERNO...

Premesso che la “donna mia” di “Tanto gentile” vale “signora (del cuore)”, come è possibile continuare a pensare, oggi, anche dopo i maestri del sospetto (Marx, Nietzsche, e Freud), che Dante ami Beatrice, tradisca Gemma Donati, i figli, e la figlia Antonia, suor Beatrice?

(Sul tema, forse, può essere utile tenere presente una mia “vecchia” ipotesi di ri-lettura della vita e delle opere di Dante.

Federico La Sala


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