Sicurezze
Evadere il problema
La violenza sulle donne
di Ida Dominijanni *
Scrivo mentre il catalogo della “questione sicurezza”, dopo il caso Reggiani, si è arricchito di altri due tragici capitoli, il caso Meredith Kircher e il caso Gabriele Sandri. Entrambi, l’omicidio efferato di Perugia e l’omicidio inqualificabile nella sua assurdità dell’Autosole, dimostrano egregiamente come il tema della sicurezza venga posto e dato in pasto all’opinione pubblica in forme strumentali e mirate. Nessuno infatti rubrica alla voce “sicurezza” la violenza sessuale e sessuata di cui sono fatte oggetto continuamente e vergognosamente le donne: anche nel caso Reggiani, la questione sicurezza è stata declinata non in riferimento alla violenza che una donna aveva subito, ma in riferimento alle “tendenze criminali” imputate alla comunità di appartenenza del suo aggressore. Quanto all’assassinio del giovane e innocente tifoso della Lazio, sono passate più di ventiquattr’ore senza che nessuno - fatta lodevolmente eccezione per l’editoriale di Paolo Franchi sul «Riformista» di lunedì 12 novembre - abbia avuto il coraggio di dire che anche le forze dell’ordine possono evidentemente trasformarsi da guardiani deputati della sicurezza collettiva in fonte di morte, violenza, insicurezza e panico. Al contrario, il problema sicurezza è prontamente slittato, nei commenti televisivi di domenica sera, dal colpo del poliziotto che ha freddato Gabriele Sandri alla reazione contro la polizia degli ultras nei campi di calcio e fuori.
Un paese così non è né sicuro né insicuro: è un paese che oscilla fra l’isteria e la paranoia e che, come dimostra la vicenda del disgraziato decreto anti-rom, legifera in base all’isteria e alla paranoia, le quali non sono innocue ma generano a loro volta insicurezza, panico e aggressività, in una spirale senza speranza. Ha ragione Gherardo Colombo, la sicurezza è - meglio, dovrebbe essere - questione seria e da prendere sul serio. E’ vero infatti che sbaglia chi, per combattere le politiche securitarie, nega che il problema esista. Ma è vero altresì che delle politiche securitarie si diventa conniventi e alleati, se oltre a dire che il problema esiste non si fa di tutto per rubricarlo diversamente da come viene rubricato. Colombo suggerisce giustamente di piantarla di addossarlo tutto al penale, e di chiamare in campo anche le politiche di governo del territorio. Sacrosanto: non solo la sicurezza di Francesca Reggiani sarebbe stata meglio tutelata da qualche lampione e qualche chilo di bitume su quella dannata strada di Tor di Quinto, ma anche la sicurezza di Meredith sarebbe stata meglio tutelata - se è vera l’analisi proposta su «Repubblica» di domenica scorsa da Ilvo Diamanti - da qualche barriera al mercato degli affitti e della droga, che trattano gli studenti stranieri come un albero della cuccagna da far prosperare nei ghetti dorati dei centri storici delle città universitarie ristrutturati all’uopo.
Dopodiché, la “questione sicurezza” è e resta in primo luogo una questione culturale: di cultura della convivenza, che vuol dire conoscenza degli altri e conoscenza di sé: tutte e due le cose insieme, l’una senza l’altra essendo monca e non credibile. Vengo al punto che mi sta a cuore, che troppo velocemente scivola via da molti discorsi pur corretti sulla sicurezza e contro le politiche securitarie, e che non vedo toccato fin qui neanche su «Golem», salvo un cenno nel contributo implacabile di Paolo Barnard. Il punto è questo: come è noto (o dovrebbe), né la sicurezza né la percezione della sicurezza sono le stesse per uomini e donne. Fa parte della complessità della questione, infatti, il suo carattere marcatamente sessuato. L’emancipazione e la libertà femminile non hanno eliminato dalla faccia della terra la violenza maschile sul corpo femminile, e può darsi perfino che l’abbiano incentivata in forma ritorsiva, se è vero com’è vero che di violenza sessuale e/o sessuata (ossia di stupri e maltrattamenti) muoiono in Europa più donne che di cancro e di infarto. E’ ovvio che questo rende la vita delle donne, mediamente, più insicura di quella degli uomini, e la nostra percezione dell’insicurezza diversa da quella degli uomini. Condizioni e abitudini ritenute “normali” per qualunque persona che goda dei diritti fondamentali - camminare per strada di giorno e di notte, incontrare casualmente sconosciuti, prendere un autobus notturno per tornare a casa, eccetera eccetera - per una donna non sono mai normali fino in fondo, e contengono sempre una quota di rischio. Ovunque, non solo nei paesi in cui le donne vivono una condizione di inferiorità o subalternità o oppressione: anche nei nostri, dove la parità dei diritti non cancella la asimmetria della sessualità maschile e femminile, che troppo spesso si traduce in prevaricazione.
Ora questo banale dato di esperienza, ovvio per qualsiasi donna di qualsiasi condizione sociale e qualsiasi livello culturale, continua a essere nient’affatto ovvio, e perfino nient’affatto registrato, nella mentalità maschile, di qualsiasi condizione sociale, qualsiasi livello culturale, qualsiasi fede politica. Di più: questa scotomizzazione d’esperienza fra donne e uomini non viene superata, ma aggravata dal meticciato globale e dalla problematica convivenza multiculturale, e occultata o sotto l’attacco razzista o sotto la difesa antirazzista di uomini occidentali nei confronti di altri uomini. Accade insomma di questi tempi di sentire, per stare all’Italia, uomini razzisti che si ergono a difensori delle donne minacciate dal patriarcato islamico dimenticando i residui patriarcali che continuano a minacciare le donne occidentali, e uomini antirazzisti che difendono gli immigrati rumeni dimenticando i maltrattamenti di cui questi ultimi notoriamente tempestano le loro donne (e rimuovendo anch’essi la violenza sessuale e sessuata di casa nostra).
Vorrei essere chiara: non mi appello, a mia volta, al penale. Nei lunghi - troppo lunghi - 17 anni che il parlamento italiano ha impiegato per approvare una legge sulla violenza sessuale, insieme con altre mi sono impegnata perché questa legge non avesse curvature emergenzialiste, antigarantiste e forcaiole; e temo questa stessa curvatura per la legge contro i maltrattamenti che oggi alcune chiedono. Mi appello a una campagna culturale, che dovrebbe avere non le donne ma gli uomini come promotori e destinatari. E’ stata convocata per il 24 novembre una manifestazione, l’ennesima, di donne contro la violenza sulle donne. Ma fa parte del copione che noi donne parliamo e manifestiamo in quanto vittime, e gli uomini tacciano o stiano a casa pensando sempre che il problema riguardi “altri” uomini. Lo so bene, non tutti gli uomini sono stupratori e violenti. Ma tutti gli stupratori sono uomini. Nella differenza fra queste due affermazioni, c’è lo spazio per una presa di posizione maschile contro la violenza maschile sulle donne. Pubblica, convinta, non reticente.