Il Dio della ragione contro la spada di Maometto: l’imperatore di Bisanzio e la Jihad
di Giovanni Visone*
Il discorso pronunciato all’università di Ratisbona è una dotta dissertazione teologica sul rapporto tra fede e ragione. E una forte rivendicazione del rapporto fra il lògos e Dio, ovvero fra «ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia». Benedetto XVI muove dal «dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d’inverno del 1391 presso Ankara, ebbe con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue». E di questo dialogo sceglie di citare un «argomento» che lui stesso definisce «piuttosto marginale»
Marginale nel testo, ma estremamente attuale. Sono proprio le parole del sovrano di Bisanzio ad aver suscitato le dure reazioni del mondo islamico. Il tema è la Jihad. «Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava», si legge fra virgolette. Parole che il Papa cita con la sola cautela di definire il linguaggio di Manuele II «brusco e pesante», ma mostrando di condividere le sue successive deduzioni: «L’imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell’anima». E «l’affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio».
Insomma, la violenza irragionevole dell’Islam contro la ragione della Fede cristiana. Un tema su cui Benedetto XVI insiste, citando il commento del professore Theodore Khoury, editore del testo: «Per l’imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest’affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza».
Di qui in poi, il discorso si addentra nell’analisi del rapporto «tra spirito greco e spirito cristiano» a partire dal Medioevo, analizzando le «tendenze teologiche» contrarie a questa «sintesi». Alla fine, però, insieme all’esortazione affinché il Cristianesimo si riappropri del rapporto tra Fede e Ragione arriva un’altra citazione del dialogo incriminato. «Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza - è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente. «Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio», ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all’interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori». Una frase che è facile leggere come una nuova affermazione di superiorità sull’Islam. Dialogo sì, ma solo a partire dalla ragione dell’unico Dio ragionevole. Quello cristiano.
*
www.unita.it, Pubblicato il: 15.09.06 Modificato il: 15.09.06 alle ore 14.17