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DIALOGO TRA RELIGIONI: APPELLO DI PACE 2006 dell’incontro interreligioso di Assisi (4-5 settembre)

giovedì 7 settembre 2006 di Federico La Sala
[...] In questi giorni, ci siamo chinati sulle nostre diverse tradizioni religiose che, in modo differente, testimoniano un messaggio di pace dalle radici antiche. Abbiamo intrecciato il nostro dialogo con uomini e donne di cultura laica e umanista. Abbiamo vissuto una scuola di dialogo.
Oggi ci siamo raccolti nella preghiera secondo le diverse tradizioni religiose, convinti del valore dell’invocazione a Dio nella costruzione della pace. Abbiamo mostrato come la preghiera non divide, ma (...)

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giovedì 7 settembre 2006

Mecca - Il cuore cosmopolita dell’Islam

di Mai Yamani ( trad. M.G. Di Rienzo)*

La Mecca, la capitale di tutti i musulmani, è un punto focale di pellegrinaggio (l’annuale hajj) e preghiera. E’ anche un centro di scambio culturale, di mutuo transito fra gruppi e di coesistenza pacifica. Questa tradizione aperta e cosmopolita è stata evidente per più di un migliaio di anni, sino all’annessione forzata della Mecca (capitale anche del regno Hijaz) fatta dagli uomini di al-Saud e dai loro partner wahabiti nel 1932.

L’Hijaz è la più vasta e la più popolata regione del paese, nonché quella che presenta la maggior varietà culturale e religiosa, perché è stata la tradizionale area ospitante per i pellegrini, molti dei quali vi si fermarono, e contrassero matrimoni misti. La repressione del modello culturale dell’Hijaz divenne immediatamente la punta di diamante degli sforzi sauditi/wahabiti di imporre un’ortodossia conformista ai musulmani ovunque. Vale la pena di ricordare ciò che è andato perduto. Sino all’inizio del 20° secolo, la Grande Moschea della Mecca ospitava i “circoli di conoscenza”, che provvedevano un’occasione unica di dialogo fra musulmani provenienti da diversi retroterra etnici e da tutte le differenti branche dell’Islam. Asiatici, malesi, indiani, persiani, egiziani, turchi (invero tutti i rappresentanti dell’umma, della comunità mondiale musulmana) venivano non solo per compiere il pellegrinaggio, ma come studenti e sapienti in cerca di conoscenza. La Mecca era il luogo in cui l’Islam si rinnovava ed arricchiva.

I nuovi conquistatori sauditi/wahabiti guardavano a questa convivenza culturale e religiosa di differenze come al caos, alla degenerazione e all’eresia. Perciò propagandarono con la forza la loro ristretta visione dell’Islam in nome dell’unità nazionale e della purificazione religiosa. Gli interessi politici del regime ebbero la precedenza rispetto alla vitalità dell’umma. Il desiderio ultimo dei leader sauditi/wahabiti era di imporre la loro grigia e dogmatica ideologia politico-religiosa all’intero mondo islamico. Avendo conquistato la Mecca, il regime confidava di poter rimodellare l’Islam a sua immagine e somiglianza. Quest’esagerata ambizione fu presto sostenuta da un potente elemento extra, che permise all’ideologia saudita/wahabita di disporre di un’incredibile quantità di mezzi: il denaro del petrolio. Scuole religiose e moschee in tutto il mondo, dal Kosovo a Jakarta, ricevettero generose donazioni saudite e divennero obbedienti alle strutture del wahabismo. La sete globale di petrolio e la stretta relazione con gli Usa sembravano aver scolpito nel marmo questo dominio ideologico.

Ma gli eventi dell’inizio del 21° secolo sembrano aver crepato il marmo. Gli attacchi agli Usa nel settembre 2001 hanno identificato il wahabismo con il nichilismo terrorista e scatenato la furia dell’America, spesso indiscriminata, sui paesi musulmani. Gli Usa, naturalmente, hanno rivestito il responso militare di alti scopi, il bisogno di impiantare la democrazia, o la “libertà”, nel medio oriente musulmano. Il risultato non voluto dei frenetici assalti americani è stato il potenziamento dei musulmani sciiti, prima con la caduta dei sunniti talebani in Afghanistan, poi con la caduta del regime sunnita di Saddam Hussein in Iraq, dove gli alleati sciiti dell’Iran ora detengono influenza politica significativa. I delegati dell’Iran in Libano, il partito Hezbollah, hanno raggiunto un momento chiave di questo processo, grazie all’effettiva sconfitta degli obiettivi israeliani nella guerra del luglio/agosto 2006.

La presa del regime sunnita saudita/wahabita, un tempo potentissima, si è indebolita a livello internazionale ed interno. All’inizio l’Arabia Saudita, assieme ai governi sunniti in Egitto e Giordania, criticava Hezbollah per aver funto da detonatore per la guerra con Israele, ma questa posizione è divenuta subito non difendibile: i civili libanesi soffrivano, ed Hezbollah, nonostante le pesanti perdite di uomini e di armi, è sopravvissuto al massacro israeliano. In effetti, la “vittoria” di Hezbollah ne ha fatto l’avanguardia dell’autoaffermazione musulmana, con i wahabiti forzati nel retroscena, a brontolare lamentele non ascoltate da nessuno. Paradossalmente, la nuova reputazione di Hezbollah nel mondo arabo suggerisce che, contrariamente alla visione convenzionale, la politica dell’Islam non può consistere semplicemente di un bilanciamento di potere fra sciiti e sunniti. Dirò di più: sebbene le distinzioni culturali giochino ancora un ruolo importante, gli scismi settari nel mondo musulmano vengono espressi molto di più dai governi e dai gruppi di guerriglieri che a livello popolare. I decisori sauditi si sono guadagnati il favore di Washington con l’opposizione ad Hezbollah, ma questo conta ben poco. Il modello saudita/wahabita di politiche negative e settarie sta crollando sotto l’onda dell’opinione pubblica islamica.

Le politiche di al-Qaida sorgono dall’originale discorso di divisione del wahabismo. Ciò ha avuto conseguenze non solo sul wahabismo ufficiale, ma anche sulla sua stessa creazione deformata. La violenza incontrollata di al-Qaida, come si mostra nella sua guerra settaria contro gli sciiti in Iraq, rende all’organizzazione impossibile guadagnare sostegno popolare. Sebbene la retorica di al-Qaida faccia appello agli spossessati sunniti in Iraq e ovunque, il modello di Hezbollah, più calcolato e sofisticato (l’operare come partito politico, organizzazione militare e provveditore di servizi sociali) è molto più unificante ed attrattivo per l’arabo della strada. Il percepibile indebolimento del sistema saudita/wahabita sta conducendo al rilascio di energie sociali precedentemente represse nella popolazione saudita, che potrebbero condurre a forme ancora non identificabili di attivismo. Mentre il regime si arrocca fra i suoi bastioni wahabiti ed erode le basi popolari della sua legittimazione, le tendenze popolari all’asserzione delle distinzioni culturali si sono fatte più nette. La repressione non potrà più a lungo garantire un ordine, e la legittimazione potrà essere rinnovata solo attraverso l’adozione di riforme, religiose come politiche.

In momenti storici come questo, nuovi gruppi emergeranno mentre il vecchio sistema si dissolve. La situazione suggerisce che la tradizione cosmopolita della Mecca entri in risonanza con gli arabi e con i musulmani molto di più delle ideologie settarie di chi li governa. Forse questo momento rappresenta un richiamo alla Mecca, la capitale dell’Islam, a rinnovare l’aperta ed inclusiva tradizione dell’Hijaz. L’Arabia Saudita avrebbe l’occasione di avere veramente un ruolo guida, ripristinando i “circoli della conoscenza” nella Grande Moschea. Dopo tutto, i leader sauditi/wahabiti sono una minoranza nel loro stesso paese e nel più vasto mondo musulmano: potrebbero muoversi da una strategia di sopravvivenza alla ristrutturazione delle istituzioni politiche e religiose, di modo che esse riflettano ed accolgano le differenze.

Ripristinare le perdute tradizioni della Mecca dev’essere un atto legato al cambiamento interno: gli imam e le moschee dell’Arabia Saudita devono rappresentare l’umma, i sistemi di educazione religiosa devono aprirsi per coprire lo spettro di tutte le scuole islamiche di pensiero, e favorire una cultura della tolleranza e della creatività. Il monopolio dei principi al-Saud deve finire. Questo non significa far diventare la Mecca capitale politica, ma un modello di inclusione culturale e religiosa. Nel frattempo, l’occidente dovrebbe guardare con attenzione agli sviluppi nella “culla dell’Islam” e prestare ascolto alle locali richieste di riforme. I riformatori che vengono imprigionati, o che sono costretti al silenzio, vanno sostenuti. L’occidente dovrebbe incoraggiare la libertà di espressione e di culto. Sembra che sia l’occidente che il mondo musulmano abbiano a lungo dimenticato il contributo della Mecca alla civiltà. E’ giunto il tempo di ricordarlo, a beneficio di entrambi.

*

www.ildialogo.org, Giovedì, 07 settembre 2006


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