C’ERA UNA VOLTA IL POSTO FISSO DOPO LA LAUREA

Il numero di laureati che trovano stabile occupazione è in calo. L’università non può garantire la certezza di una occupazione post-laurea

domenica 14 maggio 2006.
 

C’era una volta. Tutte le fiabe iniziano così e tutte quante hanno un lieto fine. Per lo meno questo è ciò a cui i narratori ci hanno abituato. Chi non hai mai sognato il posto fisso, o semplicemente trovare lavoro dopo il proprio percorso di studio? In questa favola rientra anche la storia del sottoscritto, un ragazzo desideroso e speranzoso di dare tutto se stesso per l’attività che avrebbe intrapreso dopo la laurea. Una novella che accomuna tanti giovani come me. Immagazzinati nello stereotipo collettivo del posto sicuro dopo la laurea. Una storia che inizia dopo il diploma, con l’iscrizione all’università. L’entusiasmo, la volontà di far presto, la consapevolezza di avere più possibilità di trovare un posto di lavoro dopo il fatidico titolo di dottore, la gioia di seguire le lezioni ma anche di avere più liberta rispetto ai rigidi orari e schemi del servizio scolastico superiore sono le peculiarità che mi hanno fatto optare per il proseguimento degli studi anziché andare subito a lavorare. L’università, questa specie di parcheggio ragionato, dove sai quando entri ma non quando esci. Una istituzione che, specie nelle grandi città, per quanti ventagli d’opportunità possa offrirti, in realtà non ti assicura mai il raggiungimento della soddisfazione. Ti fa spendere moltissimi soldi in tasse, ma non ti dà la sicurezza, poi, di recuperarli a titolo conseguito. Innanzitutto iscriversi all’università non è sinonimo di raggiungimento certo del titolo. Dipende dalla volontà, certo, ma anche dal modo in cui sei catapultato in una situazione che nulla ha a che vedere con quella scolastica. Il giovane che, magari, fino a qualche mese prima era abituato ad essere “imboccato” dai propri docenti, si trova immerso in una realtà fatta di moduli, crediti, debiti, altre attività formative e via discorrendo che neanche la migliore delle guide universitarie riesce a descrivere bene. Molto dipende anche dalla società nella quale l’individuo vive, certo, ma anche dalla tipologia di istruzione superiore che ha conseguito. Le statistiche ci dicono che la percentuale di laureati nei sette anni dopo il conseguimento della maturità varia dal tipo di scuola che si è fatto. La composizione percentuale dei laureati per diploma di maturità, se confrontata con quella dei ragazzi usciti sette anni prima dalla scuola secondaria superiore, vede notevolmente aumentata l’incidenza di ex liceali e, al contrario, di molto diminuita quella delle persone che hanno conseguito un titolo tecnico o professionale. Del 46,2% dei diplomati nell’area tecnica, sette anni dopo ne sono laureati il 27,7%. Nei licei, invece, del 27,9% di maturi, si laureano nei sette anni successivi ben il 61,8%. Ciò è chiaramente dovuto alla diversa propensione allo studio accademico che, evidentemente, nei liceali è più accentuata rispetto ai ragazzi usciti da tecnici. Già questo è un fatto che dovrebbe far riflettere sul diverso metodo d’insegnamento che esiste oggi tra le diverse tipologie di scuole. Più accurato ai licei, meno curato ai tecnici e professionali anche se, poi, il titolo conseguito offre a tutti quanti gli stessi ventagli d’opportunità. Data la situazione di crisi economica attuale, e dati anche i contratti di lavoro che vengono proposti, dove chi è più giovane lavora e chi passa i trenta no, molti universitari, me compreso, decidono anche di lavorare durante gli anni d’ateneo, per garantirsi una possibile via di fuga nel caso non si riesca a proseguire con gli studi. Due ragazzi su tre svolgono una attività lavorativa durante il periodo universitario. Di questi, oltre la metà è impegnato in lavori occasionali mentre solo poco più del 15% svolge attività lavorative continuative. Fatto, questo, che può incidere sulla qualità dello studio: di certo impegnarsi a capofitto risulta più proficuo, anche in termini di votazioni e frequenza ai corsi, che avere un lavoro durante il periodo universitario. I guai vengono dopo la laurea. A tre anni di distanza dal conseguimento, il 97,3% dichiara che si riscriverebbe subito ad un corso universitario, magari anche lo stesso. Percentuale, questa, che indica sicuramente una esperienza positiva e formativa, ma che mette in luce anche un chiaro disagio nel trovare un posto di lavoro. Sempre più spesso, infatti, il percorso di studio dei laureati non termina col conseguimento della laurea. Nella maggior parte dei casi si opta attività come tirocini o stage, borse di studio e corsi di formazione professionale, ma anche di specializzazioni, master, e dottorati di ricerca. Se, statistiche alla mano, il 79% dei laureati nei tre anni successivi alla laurea ha iniziato almeno una di queste attività, solo per 1 laureato su 10 si tratta di impegni remunerati. Situazione che deve far riflettere sulla condizione di eterno precariato a cui siamo sottoposti noi giovani. Si rischia, quindi, di studiare una vita senza concludere nulla; anche perché, per svolgere queste attività, gli anni passano e le aziende, per quanto qualificati si possa essere, di norma preferiscono puntare su una persona più giovane ed anche meno qualificata. Solitamente, chi è molto qualificato richiede anche una retribuzione maggiore. Costi che per l’azienda possono essere evitati assumendo personale di più giovane età con contratti atipici, di formazione o di collaborazione a tempo determinato. In linea di massima comunque, per poter puntare a livelli dirigenziali occorre specifica competenza. I master sono una buona opportunità, perché facilitano l’inserimento nel mondo del lavoro aprendo i contatti con le aziende. Ma master e corsi di perfezionamento hanno un numero relativamente limitato di laureati in materie dei gruppi scientifico (8,6%), cioè quelle più richieste, ed il tasso è nettamente più elevato per i gruppi psicologico (26%) e letterario (20,7%), cioè quelle più necessarie ai fini lavorativi. Accade però che la domanda può saturare l’offerta. Per questo i laureati in discipline umanistiche non riescono a trovare subito lavoro, al contrario dei dottori in discipline scientifiche. Il dottorato, il più alto e qualificante percorso extra laurea che forma i futuri ricercatori è una prerogativa per pochi. Ciò dipende chiaramente dal numero limitato di posti disponibili e, quindi, dalla difficoltà di accesso a questo ramo dell’istruzione, ma anche dalla troppa specificità. Quindi i sogni e le speranze di avere un posto di lavoro grazie al conseguimento della laurea sono remote. Se andassimo a chiedere ad una persona qualunque le aspettative e cosa pensa dell’università al momento dell’iscrizione e rifacessimo la stessa identica domanda al termine del percorso di studi avremmo sicuramente due risposte discordanti. L’Università di Roma, dove studio, mette a disposizione dei laureati e dei laureandi l’iscrizione (obbligatoria) al consorzio Alma Laurea, che è una società di lavoro interinale e che dovrebbe dare, almeno sulla carta, dopo l’inserimento del curriculum vitae et studiorium, maggiori possibilità di essere contattato dalle aziende alla ricerca di uno specifico profilo professionale. Tuttavia oggi rimane solo un pretesto per accaparrarsi dei dati personali degli studenti, individuando, tramite apposite domande, gusti, preferenze e cosa si aspettano dopo la laurea. Però, a quanto si vocifera, pochi sono riusciti a trovare lavoro con il consorzio. Gli stessi docenti, di cui uno intervistato dal sottoscritto, alla domanda: “I giovani laureati in geografia cosa devono aspettarsi dopo la laurea?”, rispondono: “Non posso farci nulla. Molti vengono a pormi questa domanda, ma le speranze per voi che vi accingete a terminare sono basse”. Riflettiamo, dunque, sul senso dell’università. Essere dottore in una disciplina forse non conviene più. Serve per cultura personale, ma non è sempre utile ai fini lavorativi. Il lavoro non te lo dà nessuno, e quei pochi che lo offrono lo fanno solo per tempi determinati e senza alcuna garanzia di mantenimento. A questo punto servirebbe fare un sondaggio tra i giovani. Bisognerebbe chiedere assurdamente: “Se ti laurei ma non hai la certezza di un posto fisso, oppure non ti laurei, vai subito a lavorare, e tra pochi anni hai più speranze di essere assunto a tempo indeterminato, cosa sceglieresti?”. Non so in quanti vorrebbero proseguire. Nel frattempo lasciamoci parcheggiare anche dopo la laurea.

Mauro Diana


Rispondere all'articolo

Forum