Storie

Quel matrimonio dell’anno di Giuseppe Zeno - di Domenico Monteleone

Un lungo racconto di Domenico Monteleone, metanarrativo
sabato 3 settembre 2016.
 

Sarà per il momento, sarà per l’emozione, sarà per l’atmosfera che si era creata, sarà perchè Siracusa è la Città di Archimede, sarà perchè sarà, fatto sta che "datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo" - la famosa espressione del celebre matematico siracusano - mi è rimbalzata tra le pieghe della mente.

di Domenico Monteleone

Ero con Giuseppe Zeno, era da qualche settimana che ci dovevamo vedere e quell’incontro capitava proprio il giorno dopo che Margareth mi aveva detto che si sarebbero sposati. "Ma dimmi un po’ se devo venire a sapere che ti sposi dalla tua fidanzata!". Ho inviato questo messaggio scherzoso a Giuseppe subito dopo che Margareth era andata via. "Per domani è confermato?" è stata la sua risposta. "Confermato" la mia replica. Confermatissimo, era confermatissimo anche perchè - a quel punto - ero preso dall’idea di saperne di più, di sapere i dettagli, di sapere tutto dalla sua voce.

Quando l’ho visto ci siamo salutati affettuosamente come sempre, ci siamo messi a sedere e non abbiamo parlato di dettagli, lui non mi ha raccontato ed io non ho voluto sapere di cose da preparare, di cose da fare. Mi ha parlato, abbiamo parlato di sentimenti, di stati d’animo, di momenti giusti, di percorsi della mente e del cuore, di incontri folgoranti, di vita. "Ci sposiamo a Siracusa il 20 agosto" è stata la frase iniziale e la frase conclusiva della nostra conversazione. "Siracusa? Bellissima Siracusa, ma come mai?" "Beh, Lei è di Pachino e a Siracusa, a Ortigia, c’è una chiesa bellisssima, suggestiva, senza tetto. Ci sposeremo lì. Ci sarete?". Ci sarete? "Certo che ci saremo". Mi piacciono le maratone matrimoniali, faccio di tutto per non mancare alle cerimonie dove sono invitato e, di sicuro, non avrei mancato nemmeno quell’evento, per nessunissima ragione al mondo. L’invito - mi riferisco al bigliettino che si consegna agli invitati - è sempre un chiaro segnale di come sarà quel giorno e, probabilmente, è anche segno di come sarà quel matrimonio e di come sarà quella coppia. "L’ha predisposto Margareth" Quell’invito era delicatissimo, scritto in un corsivo elegante su una carta pregiata e la busta chiusa con un raffinato sigillo, riportante le iniziale degli sposi, impresso sulla cera lacca. Come si dice? Il buongiorno si vede dal mattino. "Ci piacerebbe se Nunzia cantasse durante la celebrazione in chiesa". Mancavano poco meno di due mesi all’evento e c’era tutto il tempo per prepararsi e per organizzarsi. Intendo dire che le donne - e mia moglie Nunzia naturalmente eccelle in questo - per essere pronte hanno bisogno di tempo per metabolizzare, decidere, scegliere, scartare, comprare, modificare, consigliarsi, prepararsi, e poi ancora decidere, scegliere, scartare, comprare, modificare, consigliarsi, prepararsi. Le donne sono così e, direi, guai se non fossero così. Nel giardino di casa loro - divenuto oramai un vero e proprio salotto della Capitale - abbiamo poi appreso anche i dettagli della festa. L’estate volgeva praticamente al termine ed era, così, giunta la mattina del 19 agosto, era un venerdì, eravamo a Taverna e - poco prima di partire per Siracusa - avevo fatto quello che si chiama Screenshot, si, avevo fatto attraverso il telefonino la fotografia all’immagine della prenotazione che Giuseppe mi aveva inviato per chat. In realtà, non ci avevo prestato molta attenzione al luogo di destinazione, avevo solo visto che si trattava di un appartamento, adibito a casa vacanze, in via Bagnara a Ortigia, e avevo focalizzato l’attenzione anche sull’indicazione secondo cui, proprio di fronte, c’era un ampio parcheggio pubblico per la macchina. Il viaggio non è stato granché, non so perché ma mi sentivo molto stanco ed anche la macchina sembrava come frenata dalla mia stanchezza. Una breve fila a Villa San Giovanni ha fatto da preludio ad una traversata dello stretto di Messina. Purtroppo abbiamo sbagliato zattera! Si, perchè ne abbiamo presa una che ci ha condotto non a Messina ma a Tremestieri. Non so come sia accaduto ma immagino che il bigliettaio che ha vidimato il ticket avrebbe dovuto vedere che eravamo diretti a Messina. E invece niente. Non ci ha detto nulla. E ci siamo imbarcati sul traghetto sbagliato. Insomma, ve la faccio breve, la traversata è durata oltre 50 minuti ma siamo sbarcati più a sud e - secondo la frase consolatoria di un membro dell’equipaggio - più vicini a Siracusa. Più vicini si fa per dire perché, con i 30 minuti soverchi che abbiamo impiegato nella traversata, sai quante volte vado e vengo da Messina a Tremestieri! Beh, oramai era andata, eravamo sbarcati in Sicilia e pronti per dirigerci a Siracusa, la città di Archimede. Nunzia è sempre emozionata e felice di tornarci perchè in passato è stata protagonista in una delle tragedie messe in scena al famoso ed antichissimo Teatro Greco.

Siracusa, quella era Siracusa, bella, adagiata su un lembo di terra baciata dal sole e con una guglia che si erge altissima su tutta la città, si tratta della chiesa della Madonna delle Lacrime. Eravamo arrivati.

“Metti il navigatore, via Bagnara, 13”. Via Bagnara è una viuzza, di quelle tipiche dell’isola di Ortigia, con a destra la cancellata di un grosso edificio - che con ogni probabilità era nei secoli passati adibito ad uso pubblico - ed a sinistra una piccola serie di casette, restaurate e dall’aria molto invitante. Entro con la macchina in questa viuzza e procedo con lentezza cercando di leggere il numero civico 13. “Siamo arrivati?” chiede Giuseppe, il figlio più piccolo. “Si, siamo arrivati”. “Qual’è l’hotel?” ha incalzato sempre Giuseppe, probabilmente per il fatto che quelle casette non avevano l’aria di un hotel. I bambini sono molto precisi perchè se vai fuori casa si aspettano di trovare un hotel, soprattutto con tante bandiere esposte al vento. Dopo circa quindici minuti non eravamo ancora riusciti a trovare il numero civico 13 e la cosa mi era parsa abbastanza preoccupante perchè si trattava di una strada di non più di 30-40 metri! In realtà, ero anche andato a piedi nelle viuzze trasversali che - non si sa mai - avrebbero potuto essere il proseguimento della via Bagnara. Niente. Ho chiesto. Qualcuno si è offerto anche di accompagnarmi in questa ricerca (sempre incredibile l’ospitalità e la disponibilità della gente del Sud), ho girato e rigirato, perchè avevo lasciato la macchina in un parcheggio a spina di pesce che si era liberato poco dopo il nostro arrivo, ma niente: quel numero 13 pareva non esistere. C’era solo una cosa da fare ovvero accedere alla posta elettronica e controllare la prenotazione che ci aveva mandato Giuseppe Zeno. “Abbiamo lasciato il tablet a casa” Gia, l’avevamo lasciato a casa, perchè si fa così, perchè è così, quando serve, il tablet o qualunque altra cosa non c’è. Mi sono ricordato dello screenshot, avevo fatto lo screenshot.

Così, apro il telefonino, vado sulle foto e trovo quella della prenotazione: vi si poteva leggere anche un numero di telefono relativo al gestore del servizio prenotazione. Lo chiamo.

“Pronto è il servizio booking, l’attesa è di almeno dieci minuti, si consiglia di riattaccare e riprovare più tardi per evitare di attendere a lungo.” Bisognava attendere, questa era la situazione e non c’erano alternative. Nel frattempo, mi sono premurato di mandare un sms agli sposi per dire che eravamo arrivati e tutto era ok. Falso come la carta da sei euro ma non potevo caricare gli sposi di questa nostra difficoltà.

“Verso le 20 e trenta saremo al bar vicino il duomo, vi aspettiamo con gli altri amici per un apericena” questo è stato l’sms di risposta di Giuseppe Zeno. “Se facciamo in tempo, ci andiamo” ci siamo detti con Nunzia. Fare in tempo, e come potevamo fare in tempo? Erano già le 18:30, eravamo ancora in alto mare - benchè sulla terra ferma - ed eravamo tutti sudati per il viaggio ed anche, inutile negarlo, per l’agitazione conseguente a questa situazione.

“Le risponderà l’operatore numero 1464” con questa frase una vocina elettronica mi avvertiva che l’attesa era finita. “Pronto, sono (mi ha detto il nome che però non ricordo) in cosa posso esserle utile?”.

“Mi può essere molto utile” così gli ho raccontato qual’era la nostra situazione e gli ho chiesto di darci una mano. “C’è stato un cambio, la prenotazione è stata cambiata, non vi è stato comunicato?” Un lampo, un autentico lampo nella mente mi ha ricordato che - si! - Giuseppe mi aveva avvertito del cambio ma io non ci avevo fatto molto caso e di ciò non me ne ero ricordato nel momento in cui avevo fatto lo screenshot. Si, mi era stato comunicato.

“No, non mi è stato comunicato, nessuno mi ha comunicato nulla!” il mio naso sarà cresciuto di qualche spanna. “Signore, la sua destinazione effettiva è Casa Marina in via dei Cordari, numero 30, dove le è stata riservato un appartamento con quattro posti letto”. “Aspetti che me lo segno, ecco, segnato, ha anche il numero di telefono?” “Si, ce l’ho” e mi detta il numero. Con la macchina era impossibile arrivarci proprio a ridosso, ce ne siamo resi conto appena nei paraggi, gira e rigira ci siamo trovati a parcheggiare ad una distanza che il navigatore segnava di circa un chilometro. A dire il vero, parcheggiare è un termine inappropriato giacchè ho buttato la macchina a ridosso di un muro e, praticamente, era rimasta appoggiata a due piante, una davanti ed una dietro.

Siamo scesi e mi sono caricato come un mulo di vestiti, borse, attrezzi e con la valigia con ruote che mia moglie mi aveva “affidato”. Abbiamo attraversato tutta la parte storica di Ortigia: negozi, piazzette, chiese, stradine. Mi sono sentito proprio bene perchè la Sicilia è meravigliosa, ed, in particolare, ho fatto più caso ai muri di Siracusa, pietre e cemento con sfumature giallognole, risvegliano in me sensazioni ancestrali.

Quando siamo arrivati in via dei Cordari mi è sembrata una specie di terra promessa, anche se il numero civico 30 era proprio in fondo alla discesa, dall’altra parte rispetto a quella di arrivo. Ci mancherebbe che fosse proprio lì all’inizio della via.

Il portone di ingresso era antico ma ben tenuto e rinnovato anche nello smalto. Il citofono riportava alcuni nomi ma nessuno aveva l’indicazione di Casa Marina. “Dove suoniamo?” “Sul portiere” Un congegno a distanza ha aperto il portone e ci siamo trovati in un androne che - più che essere un androne - era praticamente un anfratto. Appena a destra, c’era la porta di quella che sembrava una guardiola antistante l’appartamento del portiere. Ho bussato con le nocchie. Mi ha aperto una giovane donna, un po’ emaciata e dallo sguardo impaurito. Un forte e sgradevole odore è arrivato insieme ad un secco “non lo so!”. Era con ogni probabilità la portiera o una familiare del portiere titolare ma non sapeva se in quello stabile di appena due o tre piani ci fosse una casa per ferie! Sono rimasto per qualche secondo fermo, impietrito. Poi ho preso il mio cellulare, ho composto un numero, ma il telefono che mi avevano dato da Booking era muto. Inesorabilmente chiuso. “Troviamo un hotel” Era la voce di mia moglie che mostrava evidenti segni di preoccupazione.

“Intanto, mettiamo le valigie e le altre cose qui” ho risposto. C’era, in effetti, poco più avanti l’ingresso dell’androne - un metro dopo la piccola scala che saliva ai piani - una piccola zona illuminata dalla luce del sole, che praticamente era la base di una piccola chiostrina sulla quale trovavano affaccio tre o quattro tra finestre e balconcini. “Troviamo un hotel!” “Aspettiamo e vediamo se mi risponde” Niente, chiuso. Il telefono era addirittura chiuso. “Troviamo un hotel!” stava diventando quasi una filastrocca. “Chi cercate?” Ero seduto sulle scale che stavano alla base della chiostrina, quando - proprio mentre mi stavo pentendo di aver mandato quell’sms a Giuseppe Zeno, quello dove gli dicevo che tutto era a posto - ho sentito una voce proveniente da sopra la mia testa, una voce che, appunto, mi stava chiedendo cosa stessimo cercando. Mi sono girato carico di speranza. “Casa Marina, stiamo cercando una casa vacanze che si chiama Casa Marina” ho detto di slancio. “Casa Marina?” fa di rimando con una imponente inflessione dialettale siciliana. Dalla risposta mi era parso subito abbastanza chiaro che eravamo nei guai, già, perchè quel signore mi aveva dato l’impressione di essere uno di quelli che si impiccia, che chiede, che quindi sa tutto. Sapeva tutto ma - maledizione! - non sapeva la cosa che interessava a noi. Non sapeva che caspita fosse e, soprattutto, dove si trovasse Casa Marina. “Troviamo un hotel!” ancora una volta il nostro amato ritornello. “Aspetta, vediamo se mi risponde” Niente non mi rispondeva ancora. “Chi state chiamando? Se mi date il numero di telefono, riesco a capire di chi si tratta!” Mi stava dicendo che attraverso il numero di telefono, che stavo chiamando - e che non mi rispondeva, maledizione! - sarebbe riuscito a risalire al proprietario. Mi è sembrato bizzarro ma - con la stessa fiducia con cui ci si rivolge ad un ciarlatano - gli ho snocciolato il numero che invano stavo cercando di chiamare. “Ah, è del geometra, ho capito, è l’appartamento qui di fronte al mio (e me lo dice indicando un balconcino posto a non più di due metri difronte a dove lui si trovava) lo affitta ai vacanzieri. Siete vacanzieri?”. “No, siamo alieni, siamo sbarcati da vega, siamo vegani” Gliel’ho detto proprio mentre mia moglie - coprendomi - gli ha detto che si, eravamo vacanzieri. Mi copre sempre in queste occasioni, perchè dice che quando dico queste cose le prende il mal di stomaco. “E’ bello l’appartamento?” Alle donne non interessa altro, interessa se l’appartamento è bello, a noi uomini ci basta che ci sia un materasso, meglio se con cuscino, una cucina per il caffè ed il bagno. Alle donne interessa molto altro. “Bello è!” è stata la risposta, sempre in siciliano autentico. “Sicuro?” “Si signora, bello assai è!” Nunzia non sembrava appagata da questa risposta, ma io si, a me quella risposta era piaciuta e, d’altronde “ti pare che Giuseppe ci avrebbe mai riservato un appartamento che non fosse il massimo?” “Non è per Giuseppe, succede che sono queste agenzie che a volte ti fregano, magari lui ha pagato una cifra esorbitante e loro lo hanno imbrogliato” “Si vede che sei moglie di avvocato, anzi sai che ti dico? Ti dico che sei tu il vero avvocato” ho chiosato così mentre il signore del balcone di fronte aveva chiamato il geometra su di un altro numero ed ora lo stesso geometra mi stava chiamando sul mio. “Pronto!” “Si, pronto, sono l’incaricato per l’appartamento, ho atteso fino ad ora (erano quasi le diciannove e trenta) ed ho pensato che non arrivasse più nessuno” “No, no, siamo arrivati, come facciamo ora?” “Vi porto la chiave tra dieci minuti”.

Con i miei due figli abbiamo ritenuto di ingannare l’attesa posizionandoci proprio fuori la stradina e davanti il portoncino di ingresso. Guardavo a destra ed a sinistra per cercare di scorgere l’arrivo del portatore delle chiavi e, così, ad un certo punto ho visto che due signorine, due belle ragazze in verità, si erano immesse nella viuzza e si dirigevano verso di noi. Debbo dire che - man mano che si avvicinavano - mi si faceva sempre più chiara l’idea che si trattava di due bellissime ragazze, si, due bellissime ragazze. “Buonasera” con un sorriso pieno e aperto ci hanno salutato proprio mentre ci passavano davanti, ci hanno salutato con tanta grazia.

Ci siamo guardati spontaneamente io e mio figlio Francesco, eravamo un po’ sorpresi, e con un cenno di approvazione altrettanto spontaneo ci siamo sorrisi, come a confermarci “ammappete che belle ragazze!”.

“Sono le mie figlie!” Avevo colto che un signore stava profferendo qualcosa in alto, con cadenza marcatamente siciliana, dall’alto del piccolo palazzo ma non avevo ancora capito che si trattava proprio di lui, si, era il dirimpettaio di prima, l’impiccione che ci aveva risolto il problema. Era lui e non avevo ancora colto il significato di ciò che aveva detto. “Sono le mie figlie!” Quando ho realizzato mi sono sentito esattamente come Michael Corleone nella scena de “il Padrino”, quella in cui lui offende il padre di Apollonia, e poi lui si offre di sposarla, si tratta della scena girata in Sicilia. Ebbene: noi eravamo in Sicilia. Si, eravamo in Sicilia ma io non potevo mica offrirmi di sposarle, come aveva fatto il Padrino, sono già sposato io e, poi, erano in due, mica gli potevo dare mio figlio, è ancora adolescente. Su, non scherziamo! “Come?” gli ho chiesto “come?”, dando ad intendere di non aver sentito, e l’ho fatto solo per prendere tempo. “Sono le mie figlie?” “E come mai sono passate diritte?” “Come?” Adesso era lui a prendere tempo. “Abitano a Brescia” “Va be’, ma mica staranno andando lì, a Brescia!” “Come?” Meno male che forse non ci sentiva tanto. “No, niente, vado, arrivederci, statt’ buon’”. Ridendo e spingendoci per sottolineare la comicità dell’accaduto, ci siamo infilati nuovamente nell’androne dove Nunzia era al telefono. Il geometra non ha tardato ad arrivare.

La casa che Giuseppe ci aveva prenotato era bellissima, su tre livelli, con cucina, due bagni, televisori, aria condizionata, era anche nuova, con il cotto a terra, con arazzi sui muri, tende, ed anche un frigorifero pieno di frutta, latte, vino moscato di Sicilia. Era bellissima. “Hai visto?” “Se volete, ho la macchina parcheggiata qui vicino, quindi potete metterci la vostra perchè io la mia la porto via” “Ottimo, ottimo! Però bisogna andare a prenderla” “Dove ce l’avete?” “Poco oltre il porto turistico” “Bene, andiamo!” Ci siamo incamminati io ed il geometra, anche lui si chiamava Giuseppe.

Era un uomo dall’aspetto mite e sicuro e dotato di una serenità fuori dal comune. Durante il tragitto e piedi verso la mia macchina, abbiamo iniziato a parlare del più e del meno quando, ad un certo punto, il mio cellulare ha squillato. “Pronto!” Era una mia cliente alla quale ho dovuto dare dei consigli e indicare come comportarsi in riferimento ad una eredità. Ve la faccio breve, al geometra è piaciuto il mio eloquio: siamo rimasti d’accordo che mi sarei interessato di alcuni casi che lo riguardano. La sera di Siracusa ha dei colori incredibili. È stata una sera spensierata. Siamo andati nella chiesa dello sposalizio la mattina seguente, avevamo dormito molto bene e - nonostante avessimo fatto tardi tra le viuzze di Ortigia dove avevamo mangiato arancini e cannoli - ci siamo alzati appositamente di buon’ora. L’abbiamo visitata tutta, abbiamo visto le navate, il portale, l’accesso al sotterraneo, il tetto. Bello il tetto! L’abbiamo vistata tutta e solo guardando il tetto - ahimè! - ad un certo punto è giunta una nuova folgorazione, si perchè mi sono ricordato che gli sposi mi avevano detto che la loro chiesa, quella del loro matrimonio, non aveva tetto! Maledizione! C’era un errore, avevamo visitato la chiesa sbagliata! Ci eravamo sbagliati, eppure il quartiere era quello, eravamo nel quartiere della Giudecca. “Quante chiese ci sono in questo quartiere?” “Ce n’è un’altra a cento metri da qui, in quella direzione” così ci ha indicato la strada un anziano del posto. Qualche passo e siamo arrivati alla chiesa dove, nel pomeriggio, si sarebbe celebrato il Matrimonio dell’anno. Sorprendente. Sorprende una chiesa senza tetto. Eppure si presenta così maestosa, spirituale, bella! “C’era l’erba alta qui, fino a qualche anno fa, poi il nuovo parroco ha deciso di riaprirla al culto, così ci fanno le cerimonie importanti e i matrimoni” così mi ha detto una vecchietta che - senza che io chiedessi nulla - ha ritenuto di rispondere al mio stupore. Forse conosce il linguaggio extraverbale. Si in fondo è una pratica antica conoscere e interpretare il linguaggio extraverbale. Qui siamo in Sicilia poi.

“Bella!” “Possiamo andare adesso!” La chiesa l’avevamo dunque vista, si trattava adesso di organizzarsi fino alle sei del pomeriggio.

“Basta che vi trovate alle sei meno un quarto in chiesa per le prove di Nunzia, tanto la messa è prevista per le sei e mezza” così mi aveva indicato Giuseppe Zeno. Ci eravamo imposti - dopo l’abbuffata della sera prima - di mangiare poco a pranzo, ma eravamo in Sicilia, dai, come si fa in Sicilia a mangiare poco!?

Rientrati a casa dopo il pranzo la consegna è stata la seguente: “Sono le due e mezza, abbiamo circa tre ore per riposare e, poi, prepararci e uscire”. Erano le sei meno un quarto ed eravamo ancora a casa, in sostanza eravamo di nuovo in ritardo. Siamo usciti e io - non so se vi è mai capitato - quando siamo in ritardo, istintivamente, procedo più velocemente di mia moglie e dei miei figli e mi trovo a camminare davanti a loro di qualche decina di metri.

Appena mi ricordo che così fanno i mussulmani integralisti rallento e li aspetto. Ma poi ricomincio. È così, non c’è niente da fare. Mi domando se è così anche per i mussulmani, cioè se anche loro aspettano quando si rendono conto di camminare avanti. Boh! Siamo in ritardo, non c’è tempo per domande inutili. Bisogna accelerare. Bisogna accelerare ma siamo a Siracusa, siamo a Siracusa dove mia moglie ha cantato per l’Istituto del Dramma Antico, ha cantato al Teatro Greco, ha cantato per le tragedie greche, è una cosa istituzionale qui a Siracusa la tragedia greca.

Così, con tutto il ritardo accumulato, con l’ansia che ti prende lo stomaco, con tutto l’imbarazzo del caso, chi incontra tua moglie? Incontra uno che conosceva, è seduto ad un bar, è invecchiato perchè sono passati diciotto anni dall’ultima volta che si sono visti, mi sembra anche stanco e poco incisivo con la vista, si, mi sembra che ci veda poco.

“Guarda! Hai capito chi è” “Chi è? Non lo so. Sicuramente è uno che ci farà ancora più tardi di quanto non lo siamo già” “Michele!” dice mia moglie appena incrocia il suo sguardo. Era Michele, sul nome avevamo fatto un passo avanti. “Nunzia!” anche lui l’aveva riconosciuta.

Era un dirigente dell’Istituto del Dramma Antico. Adesso, però, dovevo trovare il modo di conciliare la “commozione” del momento con la fretta di arrivare a destinazione e la nostra destinazione era un matrimonio sul cui inizio non avevamo il benchè minimo potere. Non so come abbiamo fatto ma abbiamo salvato capre e cavoli, nel senso che abbiamo salutato adeguatamente quel Michele ed abbiamo, però, ripreso la marcia in tempi accettabili.

Davanti la chiesa sbagliata, cioè quella che avevamo visitato la mattina, c’era una carrozza bianca con cavallo nero, nerissimo. C’era un matrimonio anche là, ecco perchè ci eravamo confusi ed avevamo pensato che era la chiesa di Giuseppe e Margareth. Quel cavallo nero, a pelo lungo, è, però, un vero e proprio colpo allo stomaco. Non ho mai visto nulla di peggio per portare due sposi. Anzi forse si: una volta ho visto due sposi su di una Freemont, quel carrarmato della Fiat. Ma il cavallo nero, però, dai! Come si fa? Boh, contenti loro! Il passo accelerato ci aveva già portato a ridosso della piazzetta antistante la “nostra” chiesa”.

“Ehi Monteleone!” Che c’era? Mi aveva riconosciuto qualcuno degli invitati? No, semplicemente c’era che un signore - che abitava su di un balcone posto proprio a lato rispetto all’ingresso della chiesa - aveva il mio stesso cognome. “Capitano cose strane qui a Siracusa!” “No, dai, è che sei famoso” ho scambiato questa battuta con Salvatore, il fratello scrittore di Giuseppe Zeno. Davanti la chiesa c’erano due ragazzi che avevano l’incarico di gestire gli ingressi e di garantire la sicurezza. “Monteleone e poi Durante più due” “Si eccoli”. Siamo subito entrati nella chiesa perchè Nunzia doveva fare le prove con il piccolo organico che era già sul posto. Quell’affare dei “piacere, piacere”, come diceva Totò, e poi subito ad intonare e fare il check-sound. Gli invitati cominciavano ad affluire, tutti arrivando si guardavano intorno con una certa circospezione, era il segno che in pochi si conoscevano tra di loro. I miei figli si sono accomodati a metà della parte di destra, dove - dopo poco - si è seduto anche un attore napoletano che conoscevo e che mi aveva notato, salutandomi calorosamente, solo poco dopo. In alto, sulla sinistra rispetto all’ingresso della chiesa e proprio in perpendicolo con il portale, c’era una balconata dove stazionavano numerose signore che si toccavano col gomito, e indicando con la mano, quando pensavano di aver riconosciuto qualcuno o di aver visto qualcosa di particolare.

Una, in particolare, era munita di fotocamera e mi salutava ogni volta che alzavo lo sguardo. Sicuramente, mi deve aver scambiato per qualcun altro oppure dev’essere una che saluta a prescindere. Più tardi mi avrebbe chiesto - a gesti più che a parole - di far girare lo sposo verso di loro. L’attesa cominciava a farsi eccitante, c’erano tutti, c’erano le mamme degli sposi, i papà, i fratelli, i parenti, molti volti noti che non voglio nominare, c’erano tutti, c’era anche Nicola Rombolà, il giornalista attraverso cui - qualche anno fa - conobbi Giuseppe Zeno.

“Professore!” “Avvocato!” Ci siamo abbracciati lungamente, ci salutiamo sempre così. Avevo notato che, nel frattempo, la signora con la fotocamera sulla balconata si era portata velocemente dall’altra parte ed era sparita alla mia vista. Forse era il segnale che lo sposo era arrivato. Si, in effetti lo sposo era arrivato, lo avevano capito tutti e, ora, si precipitavano verso l’ingresso della chiesa dove cinque o sei scalini colmavano il divario con il pavimento della chiesa - che era dunque più basso - e portavano verso il piazzale antistante. Si sente il canto di Nunzia e si sente anche un dolcissimo violino. Il pianista cerca di assecondare entrambi come un rifinitore con le due punte in una squadra di calcio vincente. Dopo qualche secondo, anche a noi che eravamo rimasti dentro la chiesa - ed eravamo rimasti là solamente per non intralciare - appare Giuseppe Zeno, è proprio sull’ingresso, è uguale a quello di sempre, ha gli stessi occhiali di quando viene in palestra, è uguale, anzi no, è più uguale del solito, è più lui, è più carismatico, è più solenne, come dire, è sempre lui, lo stesso, ma è più bello, era lui stesso ma era più di lui stesso. Era carico di un qualcosa di misterioso. Davvero. Archimede aveva ragione! Si toglie gli occhiali ed entra in chiesa, saluta chi incrocia il suo sguardo, saluta anche me. Arriva nei pressi dell’altare, va a salutare Nunzia, abbraccio affettuoso, saluta anche gli altri musici e, poi, si sistema proprio davanti, insieme a sua mamma, sa che è presto perchè le spose si fanno attendere, per tradizione, e Margareth non vorrà essere da meno, sa che è presto ma si mette proprio là, quasi per provare i movimenti e per sentire, in anticipo, già adesso, l’emozione che sentirà più tardi, quando la sposa arriverà e si porterà verso di lui. Lo fotografo, lo fotografo ancora e lo vedo quasi sorpreso, sta evidentemente provando delle emozioni che non aveva immaginato, si, aveva già vissuto la scena, aveva provato a capire cosa avrebbe provato ma, vissuta per davvero è tutta un’altra cosa, l’emozione immaginata è già bella di per se ma l’emozione vissuta effettivamente e “tutta n’ata cosa!”.

Il sacerdote che celebrerà la messa matrimoniale fa anche lui il suo check-sound e, subito dopo, recita a memoria il passo del Paradiso di Dante dedicato alla Madonna. Mi emoziona molto questa cosa. Ci sono quelli di Vanity Fair, ci pensano loro al servizio, mentre io sono il solo, tra gli invitati, ad avere una fotocamera. Erano stati gli sposi a dirmi di fotografare tutto, a mio piacimento. Tra una foto e l’altra, io e Nicola Rombolà approfittiamo per scambiare qualche battuta con lo sposo, siamo stati i più restii ad avvicinarci, non volevamo disturbare, non volevamo risultare invadenti, non volevamo spezzare l’emozione del momento. “Professore, Avvocato, facciamo una foto!”.

Ci mettiamo in posa noi tre e flash, quelli di Vanity Fair scattano a ripetizione. “Speriamo che almeno una sia venuta bene” penso fra me e me, lo si spera sempre in questi casi. Chi vivrà vedrà.

“È arrivata!” C’è grande concitazione in tutti perchè è giunta voce che la sposa è arrivata. Si, dev’essere così perchè si sentono gli applausi ed anche dalla balconata guardano tutti verso il piazzale. Rimango dove sono e comincio a fotografare Giuseppe. In genere, in questi momenti, tutti gli obiettivi sono sulla sposa, giustamente, ed allora ho pensato che non ci sarebbe stato bisogno anche del mio obiettivo, forse era il caso di fotografare lo sposo, ma si, dai, fotografiamo lo sposo, immortaliamo lo sposo, così rimediamo ad uno squilibrio storico. No, scherzi a parte, ho pensato che le fotografie della sposa sarebbero state tante ed, allora, ho pensato di immortalare le espressioni e le emozioni di Giuseppe. E così ho fatto. A tratti impassibile, a tratti emozionato, a tratti incuriosito, a tratti sorridente, questo è stato lo sposo mentre guardava la sposa arrivare e, poi, procedere maestosa verso l’altare, accompagnata dal papà. E lei, la sposa, era radiosa, veramente radiosa, non tanto per dire, aveva stampato sul viso un sorriso pieno, gioioso, superbo, superbo nel senso di superiore, un sorriso d’altri tempi. Bella, bellissima, altera. Mi ero posizionato a lato rispetto alle poltrone degli sposi ed avevo, adesso, la piena visuale giacché riuscivo a vedere insieme i due sposi mentre prima ne vedevo ora uno ora l’altra.

La consegna del padre, il velo, il bacio, l’emozione delle mamme, il posizionamento davanti all’altare, era tutto avvenuto molto velocemente e pur tuttavia era avvenuto in maniera così puntuale, così precisa, così rituale da sembrare quasi un’esecuzione rallentata.

Si comincia, tutti prendono posto, tutti tranne me che vado in giro a posizionarmi per fotografare meglio. E scatta di qua, scatta di la, ad un certo punto mi si avvicina una signora, molto elegante nei modi, mi guarda, e quasi puntando il dito mi chiede: “è un parente lei?” La guardo, ero un po’ sorpreso “perchè mi fa questa domanda?” “Sono l’ufficio stampa degli sposi, abbiamo dato l’esclusiva a Vanity Fair, non si possono pubblicare foto, nemmeno su facebook, prima dell’uscita della rivista” Ho lasciato passare qualche secondo, poi, avvicinando la mia bocca al suo orecchio “Mi hanno chiesto gli sposi di fotografare, sono il loro avvocato” La signora ha portato leggermente all’indietro la sua testa come per rendersi conto, e mi è sembrato sia inizialmente rimasta male per me, cioè perchè forse temeva che io fossi rimasto male. Poi, con cadenza rassicurante “Ah, bene, chi meglio di lei allora!”. Ed un sorriso reciproco ha suggellato quel momento sottolineato anche da uno strano rumore. “Ah, niente, è un drone con telecamera”. Quella signora mi aveva colpito per i suoi modi ma anche perchè stava continuando a lavorare anche in quel momento, dimostrando di essere una grandissima professionista. “Sa per caso chi è quella che sta riprendendo?” “No, non la conosco” Adesso aveva chiesto a me. Più tardi l’ho vista avvicinarsi con un fiore in mano, un fiore di quelli che sono confezionati con la spilla da balia per essere infilati nel taschino delle giacche degli uomini. “Lei non ce l’ha, lo metta!” e lei stessa ha cercato di inserirlo nel mio taschino che, però, era ancora cucito. “Lo metto io”. Grande classe quella donna, l’ho vista anche scambiarsi effusioni con il suo uomo. La forza dell’Amore degli sposi stava trascinando tutti noi. Durante la celebrazione, infatti, gli sposi si erano sciolti, poco alla volta ed ora - eravamo allo scambio delle promesse e degli anelli - l’atmosfera seppur carica era molto più gioviale, più compiaciuta, più trainante.

Ci siamo, le promesse sono state scambiate e gli anelli anche, l’applauso parte solo dopo che Margareth si gira verso gli invitati e fa il gesto del braccio forzuto, come a dire “ce l’abbiamo fatta!”. Non finisce l’applauso che immediatamente - sempre Margareth - si gira nuovamente verso gli invitati e fa il gesto di chi si toglie il sudore dalla fronte.

Evidentemente, è contenta, è soddisfatta, è rilassata, è felice. Vuole farlo vedere, vuole condividerlo con noi invitati. E lo è anche Giuseppe che la guarda con incanto. Sono sposati, forse sembrerà strano agli sposi, così come succede a quasi tutti gli sposi, ma sono marito e moglie. Secondo la dottrina di Santa Romana Chiesa.

Parte l’Ave Maria di Schubert, è un momento di una intensità straordinaria, Giuseppe e Margareth si girano spesso verso Nunzia e con lo sguardo e con gli occhi cercano di trasmettere la loro approvazione ed il loro ringraziamento. L’Ave Maria è l’Ave Maria, ma cantata in quel modo, eseguita con l’accompagnamento di violino e pianoforte, con la voce che si libra leggera nell’aria mentre due sposi sognanti si scambiano le loro promesse, è tutta un’altra cosa, è qualcosa che chi non la prova non sa che gioia ti da dentro. Ho ripreso tutto con il mio telefonino, lo faccio sempre anche se so benissimo che le emozioni non si registrano, perchè, in verità, le emozioni differite, riviste successivamente, perdono sempre molto della loro carica. In ogni caso, io l’ho registrata.

La messa era finita ed io mi ero, adesso, appostato vicino la porta per fotografare meglio il deflusso degli invitati e degli sposi. Mi accorgo, però, che Nunzia era stata chiamata da Giuseppe e Margareth ed, ora, stavano parlottando. “Forse vorranno un bis” ho pensato. No, in realtà, stavano mettendosi d’accordo su come annunciare il luogo dove si sarebbero tenuti i festeggiamenti. Era stato tenuto segreto fino alla fine per evitare assalti di giornalisti in cerca di scoop.

Il piazzale davanti la chiesa era adesso tutto un turbinio di sorrisi, auguri, baci e non è mancato un “Signora, io adoro suo figlio!”. Era la signora della balconata, quella che mi salutava spesso, che si era rivolta in quel modo alla mamma di Giuseppe Zeno. Siamo arrivati in leggero ritardo - e come ti sbagli? - al Castello Pupillo, si, perchè eravamo passati da casa per riassettarci un momentino.

Il parcheggio era abbastanza anonimo. Un cameriere ci ha indicato l’entrata, ed era un’entrata che sembrava angusta ma che dava all’interno di un giardino in cui dominava un gigantesco ficus, era veramente enorme, sembrava avvolgerti con le sue ramificazioni e le sue radici che camminavano fuori dalla terra. In quel giardino ci è stato servito l’aperitivo. Certo che chiamarlo aperitivo sembra un tantino riduttivo perchè c’era di tutto in quell’aperitivo. I tavoli con le bevande, gli assagi, i food finger, erano sparsi per tutta l’ampiezza del giardino e - così come si fa in queste occasioni - si gira per ognuno di questi stands cercando di prendere le cose più sfiziose. “Prosecco?” Era Giuseppe Zeno che ci stava invitando ad un brindisi con lui. È un personaggio senza avere l’aria di esserlo, non si atteggia, si sente mentre ti parla, e lo fa con tutti i suoi amici.

Con il bicchiere in mano, chiama adesso un signore che mi vuole presentare, è un grosso personaggio di Torino. “Piacere” “Lei chi è?” Visto che Giuseppe mi aveva voluto presentare ed aveva presentato solo me, quel signore deve aver capito - erroneamente - che ero uno importante anche io. “E’ ...” chissà cosa stava per dire Giuseppe? “Sono il suo avvocato!” “Ah, servono sempre gli avvocati!” “Che bel giardino!” ho cambiato discorso, facendolo scivolare sulla festa. “Ci mettiamo a sedere su quella panchina?” Avevo notato una certa stanchezza in Nicola Rombolà, era arrivato in giornata perchè il giorno prima, la sera prima, aveva partecipato ad una iniziativa nella provincia di Vibo Valentia. I camerieri continuavano a scorrere, passandoci vicino, con una miriade di vassoi su cui erano adagiati le proposte gastronomiche e, poi, i contenitori solennemente vuoti. Alcuni ragazzini stavano tempestando i pesciolini della vasca con una pioggia di ghiaia, la prendevano da terra e la scaraventavano dentro l’acqua. Con le mamme lì vicino a loro. Ecco gli sposi insieme, ora in posa per le foto, mi ha colpito molto la luce di una foto scattata davanti al gigantesco ficus, non so come dire ma è come se il flash fosse durato di più consentendo di cogliere anche il dopo-scatto, quel momento in cui allenti la posa e sei più autentico. È stato un momento in cui ho colto la rilassatezza, l’appagamento in entrambi gli sposi. Rimarrà immortalata la posa ma credo, invece, sia quello il momento che dovrebbe restare, in eterno. Davvero.

Era ora tempo di passare alla sala degli antipasti. È stato in quel momento che abbiamo incominciato a capire dove eravamo ed a cogliere tutta la bellezza del luogo. Il passaggio dal giardino, dove era stato consumato l’aperitivo, al luogo dove era previsto l’antipasto ha sortito, più o meno, lo stesso effetto che sortiva la vista di San Pietro ai pellegrini che vi arrivavano praticamente di colpo, dopo aver percorso un dedalo di viuzze e casette che, adesso, non c’è più perchè abbattute per fare posto alla nota via della Conciliazione. In effetti, passando attraverso un angusto cancelletto si accedeva ad un’area antistante un castello, il quale era da lì visibile solo nella sua componente esterna. Ciò nonostante, l’impatto era molto suggestivo perchè si coglieva l’importanza che il luogo aveva avuto nel passato e che aveva tutt’ora. Si riusciva ad immaginare le feste, le riunioni, gli incontri, le partenze di cui era stato teatro. Anche qui vi erano numerosissime postazioni dove si preparavano e si servivano pietanze tra le più raffinate, ad esempio dal polipo cucinato davanti agli ospiti, ai formaggi serviti con le marmellate, agli arancini classici della tradizione siciliana, alla raffinatissima frittura di pescato. C’era di tutto e non mancava nessun tipo di antipasto. Gli invitati cominciavano a conoscersi e a dialogare più di quanto non avessero fatto sin lì ed anche noi eravamo molto coinvolti. Il passaggio degli sposi era sempre sottolineato da applausi e da sorrisi. Mi sembrava di essere già pieno, tutti lo erano, perchè - in queste occasioni - non si può fare a meno di assaggiare tutto. Mi sembrava di essere già pieno ma era arrivato il momento clou, un cameriere con fare molto delicato mi ha indicato un portale ad arco davanti al quale si era formata una fila e attraverso il quale si accedeva alla sala dove era prevista la cena vera e propria.

“Oh, mio Dio!” Non era una sala, era praticamente una piazza d’armi, era una corte posta proprio sotto le torri del castello. E lì tutto era stato apparecchiato in modo che gli ospiti facessero parte di un’unica grande tavolata, a forma di ferro di cavallo! Amazing! Direbbero di inglesi. Anche le luci trasmettevano un non so che di lontano, imperiale, attraente, probabilmente in forza dalle sfumature quasi gialle che sembravano abbinate ai tovagliati raffinatissimi. Non ci siamo praticamente accorti del tempo che stava correndo perchè gli sposi hanno coinvolto praticamente tutti gli invitati nella loro contagiosa allegria. Dopo la passerella iniziale, si è cantato, si è danzato, si è riso, Margareth si è esibita nel ballo con Peron così come aveva fatto in TV, Giuseppe ha mostrato un inedito talento da presentatore ed, infatti, ha parlato in milanese, in veneto, in calabrese, in siciliano oltre che, ovviamente, in napoletano. Diceva che la colpa era del buon vino e di qualche bicchierozzo ma non era vero, era ed è bravissimo, Margareth non era da meno, si è spinta addirittura a improvvisare un piccolo sfottò nei confronti dello sposo, sfottò che è sfociato nella sfida tra l’arte napoletana e quella siciliana. E come ti sbagli? Tutti gli artisti presenti si sono lanciati: “Vitti na crozza” contro “Tu si na cosa grande”, “Sciuri sciuri” contro “I te vurria vasà”, a tarantella contro le danze ritmiche siciliane. Mai sfida fu più divertente e travolgente. Il trenino, è partito persino il trenino, ma solo dopo che la sposa aveva ordinato di togliersi le scarpe per danzare meglio e più liberi. E non c’è trenino al mondo che non presenti delle sorprese e delle particolarità. In quello lì, c’era il normalmente compassato Professor Nicola Rombolà il quale - con giusto ritmo - si dondolava con la mano sinistra appoggiata alla spalla di chi lo precedeva e con la mano destra che faceva su e giù a tempo di musica. Una scena che difficilmente si potrà replicare. Uno spettacolo. C’era tanto divertimento ed il cibo - sempre raffinatissimo (in particolare, mangerei ancora volentieri quel tris di gamberone, tonno e pesce spada in salsa di pomodoro e cipolla) e sempre abbondante - insieme all’ottimo vino andava giù che era un piacere. “Papà voglio dormire” era il più piccolo dei miei figli che ora pretendeva di dormire sulle mie gambe. “Più tardi ci sono i dolci” siamo notoriamente golosi ed ho cercato di corromperlo con la promessa del dolce, ma niente, lui voleva dormire e si è messo a dormire sulle mie gambe. Così non ho potuto partecipare al lancio della giarrettiera, già, perchè dopo il classico lancio del mazzo di fiori da parte della sposa c’è stato il lancio della giarrettiera. E ad aspettare questo lancio vi erano praticamente tutti i maschi, scapoli e ammogliati, single e accompagnati. Forse aveva ragione Giuseppe, i bicchierozzi devono aver sortito qualche effetto ... Il lancio del mazzo di fiori della sposa è stato più classico, lei ha creato anche quel po’ di suspence giusta, si è preparata, è partita ed ha lanciato. Ed il mazzo è finito proprio ad una delle invitate che forse è in procinto di sposarsi perchè la presa è stata accompagnata da “ooooh!” di compiacimento e da abbracci di gioia. Per il dolce ci hanno fatto accodare nuovamente nello spazio dove avevamo consumato l’antipasto, c’erano le stesse postazioni ma ora - al posto del polipo e degli arancini e di tutto il resto - c’erano cannoli, c’erano pastarelle, c’erano bignè con creme e cremine, c’erano dolciumi di tutti i tipi, c’era anche un iperbolico tiramisù con la base di cioccolata. Il tiramisù - secondo me - generava dipendenza perchè non riuscivo a smettere di andare e venire dal banco dove erano sistemati in perfetta fila. Non so se per i dolci, e se per altro, anche Giuseppe - mio figlio - adesso era sveglissimo e mangiava, mangiava quei dolci mentre la cioccolata, che gli residuava sui contorni della bocca, ne tradiva, ovviamente, la sua fanciullezza. In quel frangente, la signora dell’ufficio stampa era al computer, stava scegliendo le foto migliori, presumibilmente quelle da far pubblicare. L’ho già detto: grandissima professionalità. Io, ad esempio, non avrei resistito al richiamo della foresta, cioè al richiamo delle migliaia di dolci e dolcini che chiedevano solo di essere mangiati! “La torta, è il momento della torta” mi aveva avvertito mia moglie. Era anche il momento delle fotografie con ciascuno degli invitati ed avevo notato che la sposa si era cambiata d’abito e lo portava con la stessa eleganza di sempre. Il taglio della torta è sempre un momento particolare anche perchè ti avverte che la festa sta per finire. Erano le tre della notte e credo che nessuno si era accorto che avevamo fatto così tardi. Ho visto i parenti degli sposi arrivare e stringersi attorno a Giuseppe e Margareth, mi è sembrato che - quasi - cercassero di riappropriarsi per un attimo dei loro due familiari che oggi, giustamente, era appartenuti a tutti, così come è normale che sia, così come è normale che anche i propri cari si vedano ritagliato il proprio spazio.

Non c’era tempo però per questi pensieri perchè tutto andava avanti veloce e il taglio della torta è stato sottolineato da una serie impressionante di fuochi artificiali. Tutti con il naso all’insù. Colori, musicalità degli spari, suggestione delle forme che essi disegnano, c’era tutto l’occorrente per sognare, per farsi trainare. In realtà eravamo già stati trainati. Tutti. Tutti noi eravamo come avvolti dall’incanto che gli sposi ci avevano trasmesso in quel lungo giorno di festa. Lungo pur senza farsene accorgere perchè erano quasi le quattro quando Margareth con al fianco il suo sposo - davanti a Nunzia ed ai nostri figli Francesco e Giuseppe - mi ha consegnato la bomboniera. “Tienilo questo perchè si può rompere” Per effetto di queste parole ho visto che, oltre la bomboniera, c’era anche un altro bijou. Anche la bomboniera è bellissima, molto siciliana, artistica, e campeggerà - insieme all’altro bijou - in un posto di rilievo della nostra teca delle bomboniere. Sarà per il momento, sarà per l’atmosfera che si era creata, sarà per l’emozione, sarà perchè Siracusa è la Città di Archimede, sarà perchè sarà, fatto sta che "datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo" - la famosa espressione del celebre matematico siracusano - mi è rimbalzata nuovamente tra le pieghe della mente. Si, perchè era stata una festa riuscita, si, una festa riuscita. Già, perchè c’erano tutti gli ingredienti, perchè, infatti, per considerare riuscita una festa matrimoniale è necessario che gli invitati siano stati bene, che si siano divertiti, che il cibo sia stato buono e abbondante, che la località prescelta sia stata di grande effetto, che la cerimonia sia stata molto intensa e partecipata, che gli invitati si siano presentati tutti molto eleganti e che, come già detto, nel finale e secondo un consolidato canovaccio, tutti si siano lasciati andare a balli, canti, risate, bevute, eccetera. Si, tutto questo è accaduto al Matrimonio di Giuseppe e Margareth, una festa, una festa molto partecipata, dove le persone sono state serene, gioiose, amabili. Tutto questo è accaduto, è accaduto davvero, ma è accaduto di più, molto di più, è accaduto che gli Sposi, come ho già detto, sono riusciti in qualcosa di straordinario anche se, forse, involontario, sono riusciti a trascinare gli invitati - come in una sorta di proiezione introspettiva - a vivere l’Amore, a vivere il proprio amore, a rivivere il loro amore, il loro incontro, il loro legame, la loro attrazione per un’altra persona, è accaduto che gli invitati hanno, per così dire, rinnovato il loro amore e lo hanno fatto magari in silenzio o solo per qualche secondo, e lo hanno fatto lasciandosi trainare da Giuseppe e Margareth, ideali alfieri di questa attrazione e di questi sentimenti. Elevare ad un piano superiore chi ti sta accanto: non ci può essere riuscita migliore per un incontro, per una cerimonia, per una festa. Ecco, allora, che tutto si compie e tutto assume un proprio senso: Siracusa ... gli Sposi ... la Spiritualità della Promessa ... il Panorama ... la Festa ... Archimede ...

Si, proprio Archimede che - Lui si! - aveva previsto tutto: “Datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo”. Aveva previsto Siracusa, aveva forse previsto questa dinamica, si, aveva previsto le conseguenze, aveva previsto le modalità, ma a pensarci bene aveva previsto anche questi Sposi, aveva previsto anche la Spiritualità della Promessa, aveva previsto persino il Panorama e la Città, perchè oggi il “Punto d’appoggio” sul quale sollevare il Mondo è stato - senza dubbio e per tutti noi - la consacrazione del legame tra Giuseppe e Margareth, il “Punto d’appoggio” è stato il Loro Amore.

Infiniti Auguri!


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